Luigino Conti
Emanuele Gianturco non era di Capracotta ma era lucano. Chi era? Tra le varie cose, avvocato e professore di Diritto Civile presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Napoli. Come mai venne qui? Perché difese i diritti degli abitanti di Capracotta davanti alla Corte di Cassazione di Roma nella questione dell’uso civico dei boschi. Quando venne qui? Nel 1902, cioè nell’anno in cui vinse la causa contro le pretese dei feudatari del bosco di Ospitaletti. Cos’era successo? C’era una signora di Vastogirardi, tal Pasqualina Scocchera: aveva in feudo quella località e pretendeva il diritto a percepire un canone da chiunque entrasse in quel bosco a raccogliere legna. Questo feudo passò, nel corso della durata della vertenza, per via ereditaria alla figlia Giacinta Marracino che sposò un tal Selvaggi di San Massimo. Il bosco, a quei tempi, significava la vita per un paese. La povera gente, fino a quando sono stato bambino e adulto, andava nel bosco a raccogliere le fascine, che noi chiamiamo “ceppe”, per riscaldarsi d’inverno. In pratica, il cosiddetto “uso civico” per cui si batté in tribunale il nostro Gianturco.
Cos’era successo prima? Nel 1806, i Francesi di Napoleone crearono la Provincia del Molise, che prima non c’era. I re napoleonidi, prima Giuseppe e poi Gioacchino Murat, introdussero nel Regno di Napoli le grandi idee della Rivoluzione francese. Tra le varie cose, emanarono la legge sull’eversione della feudalità. Questa legge diceva: i diritti sui prati appartengono ai privati ma quelli sui boschi ai Comuni. Questo provvedimento fu una liberazione per gli abitanti del Regno: tutti potevano andare liberamente nei boschi a rifornirsi di legna per l’inverno. Nel 1861, ci fu l’Unità d’Italia. Nel 1863, i nuovi governanti prepararono una nuova legge: i diritti sui boschi dovevano ritornare ai vecchi proprietari insieme con quelli sui pascoli. A questo punto, la turbolenza fu grande, anche qui a Capracotta. La reazione fu così forte e diffusa che non se ne fece più nulla. Nel 1876, la storia d’Italia ricorda la caduta della Destra storica e l’inizio dell’esperienza governativa della Sinistra storica, più aperta sui temi di carattere sociale. In sostanza, però, i due schieramenti politici rappresentavano pur sempre lo stesso ceto sociale: la borghesia, cioè chi comandava.
In quell’anno, arriva un ordine dal Consiglio di Disciplina della Prefettura di Campobasso che riaccese la questione dell’uso civico dei boschi: la decisione reintegrò la signora Pasqualina Scocchera di Vastogirardi nei suoi diritti feudali nel territorio di Ospidaletti. Il giorno dopo, la popolazione di Capracotta scese in piazza con i forconi in mano: molti uomini decisero di andare a Vastogirardi a farsi giustizia da soli. Soltanto la grande autorevolezza e il sangue freddo del sindaco, Agostino Conti, riuscì a impedire il peggio: intimò a tutti di non oltrepassare la chiesetta della Madonna di Loreto all’ingresso del paese. La situazione si bloccò e si incancrenì fino al 1901. In quest’anno, dalla Prefettura di Campobasso giunse una nuova direttiva che ribadì i diritti di taglio nel bosco di Ospidaletti a favore di Giacinta Marracino, figlia di Pasqualina. A quel punto, l’amministrazione comunale guidata da Agostino Santilli decise di passare alle vie legali e a ricorrere in Cassazione. E a chi si rivolse? Al grande avvocato Emanuele Gianturco. Non volle essere pagato. Fece tutto gratis. Nel mese di marzo del 1902 questo signore riuscì a spuntarla. La sentenza della Corte di Cassazione sancì definitivamente l’uso civico nel bosco di Ospedaletti. La gioia della popolazione di Capracotta fu infinita. Quest’uomo dovette venire qui a Capracotta: gli fu tributata la cittadinanza onoraria. Si trovò a battezzare Emanuele, l’ultimo figlio di Tommaso Mosca, il procuratore generale della Corte di Cassazione di Napoli, nostro illustre concittadino. I due uomini di legge erano quasi coetanei: due anni di differenza. Il professore si prestò volentieri.
Fu accolto da una popolazione in festa. Il povero uomo di legge, però, non ebbe molto tempo per gustare questo successo: morì cinque anni dopo, ad appena cinquant’anni di età. Era stato ripetutamente sottosegretario al Ministero dell’Economia, ministro della Pubblica istruzione e, alla fine, ministro delle Ferrovie. Ma per meglio apprezzare l’uomo bisogna ricordare che, mentre studiava all’Università, seguì anche i corsi di musica presso il Conservatorio di san Pietro a Majella a Napoli segnalandosi pure in quel campo.
Quando giunse la notizia del decesso di Gianturco a Capracotta, fu decretato il lutto cittadino e si stabilì che gli sarebbe stata dedicata questa piazza. Nel 1912, fu inaugurata nel tripudio generale questa statua che ancora oggi ricorda quegli avvenimenti di cui fu protagonista. Un bel busto dell’avvocato e poche ma significative parole: «A Emanuele Gianturco il popolo di Capracotta memore e grato 1912». Non dimentichiamolo mai.
Luigino Conti