Questi episodi che verranno narrati sono dovuti ai ricordi a suo tempo esposti oltre che da mio zio Antonino anche dai miei nonni e da mio padre Angelo che vissero per quasi 40 giorni nascosti assieme agli altri, come precedentemente ricordato, alle pendici di Monte Campo e io non ho fatto altro che elaborare e riportare i loro particolareggiati racconti.
In seguito all’imboscata effettuata ai danni dei tedeschi, in piazza Stanislao Falconi fu affisso un manifesto che testé affermava:
1) Consegnare tutte le armi da spari in possesso;
2) Sarà punito mediante fucilazione chiunque: a) fosse stato scoperto ad aiutare i militari nemici; b) fosse stato sorpreso con armi addosso; c) fosse stato sorpreso a compiere azioni militari contro l’esercito tedesco.
Nei giorni seguenti l’agguato, in località Guastra, ormai deserta, fu attuato un capillare rastrellamento da parte dei tedeschi per scovare gli autori dell’attentato, non vennero a capo di niente ed è ovvio che l’accaduto lasciò il segno per il seguito degli avvenimenti. Fu rafforzato il controllo territoriale con la dislocazione di pattuglie sistemate nei punti strategici, una di queste si posizionò nell’orto del casolare di mio nonno Filippo prospiciente la Fonte della Lama e un’altra a Colle Pizzuto, da lì controllavano tutti i territori di Guastra e di Macchia, precludendo così la via di fuga, precedentemente sfruttata con l’aiuto dei locali attraverso le “Matasse Nete” – Portella ceca – Orto Ianiro – Guastra, dei militari evasi dal campo di concentramento di Sulmona che cercavano di raggiungere e superare Bagnoli del Trigno, dove era ubicato il Comando Generale Tedesco, per poi congiungersi con gli Alleati che provenivano da Sud. Il bivio di Guado Liscia era presidiato dai tedeschi occupatissimi a far scavare con manovalanza locale le trincee per bloccare qualsiasi mezzo nemico cingolato e non per il già previsto ritiro oltre il fiume Sangro, il destino di Capracotta e di altri Comuni prospicienti il fronte era stato già definito dalla fine del settembre del ’43.
Il 27 settembre, alle ore 17, le avanguardie dell’VIII Armata inglese, precedute da alcuni reparti di paracadutisti, entrarono a Foggia dove si verificarono degli isolati scontri a fuoco con gli ultimi soldati tedeschi ancora presenti in città.Il 29 settembre Foggia fu completamente occupata mentre il 1° ottobre furono occupati gli aeroporti intorno alla città: terminava così l’Operazione Avalanche. Gli americani utilizzarono il sistema delle “grelle” per realizzare le piste, le grelle erano lamiere opportunamente traforate che venivano facilmente fissate sul terreno, in questo modo si poteva pavimentare una pista d’atterraggio in brevissimo tempo. In Puglia infatti ebbe la base la XV Forza aerea statunitense creata per l’occasione, composta fra l’altro dalla 5th Bomb Wing con sede a Foggia, dalla 49th Bomb Wing con sede a Incoronata, dalla 304 Bomb Wing con sede a Cerignola. Da lì partivano i Bombardieri e i caccia con le loro missioni distruttive verso Sulmona (sede del dinamitificio “Nobel”) e Avezzano e per le incessanti incursioni verso quest’ultima città la contrada Guastra e il fiume Verrino vennero a trovarsi perfettamente centrali e allineati con la direzione di volo dei bombardieri e dei caccia.
Dopo venti giorni e precisamente nella prima decade di ottobre una parte dei fuggitivi rientrò in possesso dei casolari lasciati in fretta e furia, i meno fortunati li trovarono con i portoni di accesso fracassati e si cercò di continuare quello che si faceva prima: zappare, raccogliere frutta e pascolare le pecore che non erano state requisite. Appena lo stormo di bombardieri e di caccia alleati sbucavano da Poggio Sannita la contraerea tedesca iniziava il suo cannoneggiamento fino a quando non sparivano dopo Capracotta. Le schegge dei proiettili ricadevano e se non si fosse trovato subito un riparo c’era il rischio di essere colpiti con gravi danni alla persona, ecco che come protezione si tagliavano le lamiere ondulate di opportune dimensioni (le famose “stagnarole”) e attraverso due buchi si legavano con lo spago intorno al capo a mo di casco.
Un pomeriggio, presieduto da una leggera foschia, accadde che un aereo precipitò fra i Comuni di Belmonte del Sannio e Agnone e due piloti a intervallo di tempo si erano lanciati con il paracadute, uno cadde nelle vicinanze di Capracotta, mentre l’altro atterrò nel Comune di Agnone appena sotto le Guastre. I tedeschi subito iniziarono le ricerche per la cattura dei due militari, non riuscirono nel loro intento, sembravano spariti nel nulla! Il secondo, pur avendolo sotto gli occhi e sotto i piedi non riuscirono a beccarlo! Fu tenuto nascosto per due giorni e due notti con addosso il paracadute dentro il pozzo dell’acqua del casolare e poi come l’altro fu aiutato a raggiungere il gruppo a Sant’Angelo del Pesco: era più facile risalire che cercare di superare Bagnoli del Trigno. E’ ovvio che con questi episodi a loro ostili i tedeschi sicuramente si erano convinti della presenza di qualche cellula partigiana che aiutava gli anglo-americani senza sapere invece che erano persone comuni che aiutavano degli esseri umani per solo spirito fraterno.
Il ricordo e la riconoscenza verso i Fratelli Fiadino
Per quanto riguarda la cattura dei fratelli Fiadino è stato già raccontato e riportato nelle deposizioni a suo tempo raccolte da padre Mario, quello che si può aggiungere è che come si sa Alberto era riuscito a scappare prima del processo tenuto a Bagnoli del Trigno, mentre gli altri due Gasperino e Rodolfo assieme ai militari anglo-americani per uno o due giorni furono tenuti reclusi nel comando antiaereo di Agnone, questo fu dedotto dal trambusto di camion e dal via vai di militari d’alto grado che nei giorni precedenti la fucilazione si avvicendavano mentre continuavano a operare e vigilare le solite vedette nascoste appena sopra le case coloniche del Piasciarello. Un giorno di novembre, appena finita la guerra, successe un fatto strano: un aereo proveniente da Campobasso (forse dall’aeroporto di Foggia) viaggiava a bassa quota seguendo la direzione del Verrino e di Avezzano, dopo un’ora con un rumore assordante ripassò in picchiata, sfiorando la cascata del Verrino, per dirigersi verso le case dove prima era ubicata la contraerea tedesca lasciando cadere qualcosa che inizialmente non si riuscì a capire cosa fosse, in quanto in quell’occasione non fu possibile recuperarla. Lo stesso episodio, sempre agli inizi di novembre, si verificò per due-tre anni consecutivi, quello che il pilota lasciava cadere non era altro che una corona di fiori! «Forse era uno dei due piloti» come raccontavano mio padre e mio zio.
Dopo 56 anni, il 20 ottobre 1999, si presentò a Capracotta un arzillo signore neozelandese di 81 anni: era il soldato Francis “Bill” Parker, accompagnato da due dei suoi sei figli, Francis jr e Lindsay. Aveva affrontato un viaggio di oltre 15 mila chilometri durato più di 23 ore di volo per sciogliere un voto di riconoscenza verso chi l’aveva aiutato, morì l’anno dopo, ma il suo legame di riconoscenza si perpetua attraverso suo figlio che, oltre a intrattenere uno scritto epistolare, nell’agosto del 2011 è tornato a Capracotta per incontrare di nuovo gli eredi dei fratelli Fiadino. Ecco il perché della bandiera della Nuova Zelanda esposta al Municipio di Capracotta il 4 novembre: era stata donata in quell’occasione al Comune di Capracotta dal soldato Parker.
Leggendo un passo della ricostruzione della fuga di Alberto ad Ercole Conti, quest’ultimo si è posto il problema se con il suo gesto “non avesse aggravato la posizione dei fratelli e indotto il tribunale a irrogare loro la pena estrema”, sicuramente furono determinanti gli episodi precedentemente esposti (l’agguato alle cascate del Verrino e la salvezza dei due piloti) a far sì che il Destino dei due fratelli si compisse tragicamente.
Filippo Di Tella
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