Dalla fine di ottobre e fino a metà novembre del ’43 i tedeschi furono impegnati ad attuare “Terra Bruciata” prima di attestarsi sull’altra sponda del fiume Sangro creando il fronte di guerra dal nome “Gustav”. Gustav era il nome dato al cannone utilizzato dai tedeschi durante l’assedio di Sebastopoli sul fronte russo nel 1941-1942, era lungo 47,3 metri e sparava proiettili da 7 tonnellate a 47 chilometri di distanza!
I tedeschi di notte dalla Madonna a S. Giovanni, mentre operava il coprifuoco, attaccarono delle pagnottelle di dinamite collegate fra di loro con un’unica miccia e la mattina presto senza tanti complimenti svegliavano i semiaddormentati occupanti avvisandoli che di lì a poco l’edificio sarebbe saltato in aria con tutti gli annessi e connessi! All’inizio si pensava che fosse uno scherzo, anche il banditore Gildonno aveva capito che tirava una brutta aria, si era in pieno autunno, faceva freddo e la neve iniziava a far capolino!.
Capracotta, per effetto di questa “terra bruciata”, fu quasi rasa al suolo con bombe incendiarie e dinamite dall’ 8 novembre al 12 novembre del ’43 e il 13 novembre fu definitivamente resa inutilizzabile con rostri e dinamite la rete ferroviaria AGNONE – PESCOLANCIANO. Il giorno 13 novembre il gruppo della contrada Guastra fu informato che gli occupanti erano andati via cosicché la sera stessa tornarono a prendere possesso delle loro case coloniche lasciate in fretta e furia per effetto del saccheggio che veniva operato dai gruppi di tedeschi che sostavano nelle case coloniche con la loro postazione antiaerea.
Durante i 50 giorni di permanenza nei boschi, gli anglo-americani che stazionavano nei rifugi di Sant’Angelo del Pesco venivano costantemente informati da questo gruppo di tutto ciò che accadeva nel circondario in quanto mio nonno Domenico aveva trascorso una parte della sua gioventù negli Stati Uniti e parlava un discreto “americano”. La maggior parte delle case coloniche avevano subito danni per effetto del rastrellamento alla ricerca dei soldati nemici e/o partigiani, i portoni di accesso e le finestre erano stati sfasciati, mentre alcune erano state utilizzate come rifugio dei militari addetti alla vigilanza territoriale. Per riscaldarsi avevano usato la legna accatastata oppure le mangiatoie, così facendo le travi in legno dei solai erano state rese inservibili e pericolose per effetto del fuoco, in alcuni casi il solaio era crollato.
Quella di mio nonno materno Domenico (era anche un’apicoltore), non subì danni particolari, in quanto era stata circondata ai quattro i lati dalle arnie! I militari tedeschi ebbero l’accortezza di non avvicinarsi. Il rientro coincise con lo sfollamento di Capracotta, moltissimi sventurati e la maggior parte dei parenti, furono ospitati nelle case coloniche, gli uomini dormivano nelle “pagliere” e nei tolos. Alcuni Comuni limitrofi, non colpiti dalla furia devastatrice e distruttrice tedesca , si girarono dall’altra parte facendo finta di non vedere e/o sentire, fu l’inizio della diaspora capracottese!.
Purtroppo l’inizio fu duro, mancavano i viveri e mancava la legna per riscaldarsi, non era stato possibile provvedere alle necessità future per il fatto che la mano d’opera valida era stata forzatamente esiliata nei boschi ai confini con Pescopennataro. Buona parte delle vettovaglie era stata requisita a suo tempo e l’unica cosa che si poteva fare era quello di ammazzare i suini, pecore e vitelli sopravvissuti. Dopo i primi giorni di adattamento e di sistemazione si decise di ammazzare i maiali all’interno del “vallone” protetto dagli sguardi inopportuni. Si contribuivano con tutte le forze disponibili, grandi e piccoli. Per evitare che i maiali grugnissero durante il loro abbattimento veniva infilato nella bocca un pezzo di sapone.
Durante uno di questi frangenti , per festeggiare il ritorno degli esuli dai boschi, a un gruppo di giovinastri (mio padre Angelo, i miei zii Antonino ed Emanuele e Mario Paglione (Rannacquot’) venne la geniale idea di dar fuoco a un mucchio di munizioni di moschetto raccattate qua e là. Sembrava che ci fosse in atto uno scontro fra soldati nemici e nel vallone alla voce “son ritornati i tedeschi” ci fu un fuggi fuggi lungo e in mezzo al torrente pieno di spini, rovi e quant’altro, calzante era l’equiparazione con il passaggio e la fuga di un mucchio di cinghiali! Alla fine della corsa si contarono e si controllarono i danni, erano tutti insanguinati, con distorsioni e contusioni, esausti e tremanti per la paura e/o per il pericolo scampato! Dopo alcuni anni mio padre mise al corrente suo suocero Domenico Di Nucci del loro gesto, se l’avesse fatto prima sicuramente per lui sarebbe stato difficile sposare mia madre!
L’arrivo dei canadesi e dei polacchi coincise con la messa in opera di una stazione di rifornimento di carburante a Monteforte, era prospiciente la casetta adibita a dormitorio estivo dei bovari. Di notte, nel pieno delle bufere di neve e/o quando non c’era la luna che illuminava a giorno, quasi tutto il gruppo di Guastra, effettuava dei prelievi di nafta con taniche di 25 lt, veniva utilizzato sia per riscaldarsi e sia per l’illuminazione interna/ esterna con lanterne e lampade.
Per tre anni da ottobre a marzo, durante la notte, a Guastra non c’era masseria che non si illuminasse a giorno o si riscaldasse con la nafta prelevata, le case coloniche agnonesi confinanti con Guastra non avevano problemi di illuminazione perché la corrente elettrica non mancava! Per la ricostruzione delle case coloniche danneggiate e delle case di Capracotta demolite con la dinamite si rese necessario la ricostruzione dei solai con travi di fortuna, non si poteva certo disboscare! ecco che per la soluzione del problema si pensò di provvedere utilizzando i binari della ferrovia (AGNONE-PESCOLANCIANO) distrutta.
Di notte con i buoi, nascosti alla vista di chicchessia, si prelevavano le traversine spaccate e/o divelte (da utilizzare come legna da ardere, la puzza di catrame era indicibile, ma bisognava pur riscaldarsi!) e i binari dritti e/o contorti che venivano interrati e nei periodi di calma venivano tagliati secondo le necessità e messi in opera. Capracotta, fu accusata di aver smantellato la ferrovia e di aver provocato la mancata ricostruzione della ferrovia lunga a suo tempo 37.5 km con i suoi 75.000 metri di binari. Sicuramente non fu solo Capracotta a usufruirne, ma ciò era dovuto alle necessità del momento e ipotizzando di averne prelevato dai 15.000 ai 20.000 metri mancano all’appello dai 60.000 ai 55.000 metri di binari!
La Contrada Guastra era costituita da circa una quarantina di case coloniche, durante il periodo novembre ’43 – maggio ’44 furono ospitate circa 500 persone senza contropartita, era forte il senso di solidarietà e fratellanza e da questa forzosa comunanza nacquero nuove e future unioni di parentela. Di Capracotta, in queste dolorose circostanze, la contrada Guastra era diventato un quartiere, una casa: in poche parole un’unica famiglia!
Filippo Di Tella