Festa della Liberazione: il ricordo di Francesco Paolo Potena

Nella giornata del 25 aprile, Festa della Liberazione, vogliamo ricordare la vicenda umana del sergente maggiore Francesco Paolo Potena, ucciso a Hildesheim dai Nazisti nel 1945, nella testimonianza fornita dal figlio Lorenzo Potena lo scorso 2 novembre in occasione del 70° Anniversario della distruzione di Capracotta e pubblicata recentemente sul sito web del Comune negli atti della manifestazione medesima (http://www.capracotta.com/files/statici/2nov.pdf) organizzata dall’amministrazione comunale di Capracotta per non dimenticare quei giorni tristi per l’intera comunità.

Lorenzo Potena al convegno sulla distruzione di Capracotta
L’intervento di Michelino Potena al convegno sulla distruzione di Capracotta. Alla sua destra, il fratello Lorenzo

Con questa testimonianza, io, la sorella Pina e il fratello Michelino, con la certezza di non dover dimenticare le sofferenze, i danni e i lutti subiti, proviamo a dare voce alle informazioni e notizie circa le circostanze che determinarono la tragica morte di nostro padre Francesco Paolo, avvenuta in Germania nell’ambito degli avvenimenti della seconda Guerra Mondiale.
Nostro padre si chiamava Francesco Paolo e nacque a Capracotta nell’anno 1910 da Leonardo e Maria Giuseppa Sozio. Terzo figlio dei sette: sei maschi ed una donna di nome Erenia, l’unica ancora vivente, di anni 89. Fu chiamato alle armi, per la prima volta, all’età di anni 21, ossia nel 1931 e rinviato in congedo provvisorio illimitato per aver due fratelli in servizio militare. Nell’anno 1939 fu richiamato alle armi per esigenze militari di carattere eccezionali e partì per l’Albania, alla quale l’Italia aveva dichiarato guerra. Nell’anno successivo, (1940)ritornò per una breve licenza ma fu costretto a ripartire per la Grecia,perché l’Italia aveva dichiarato guerra anche a quest’ultima. Trascorse un lungo periodo tra la Grecia e L’ Albania,interrotto da brevi ritorni a casa, e ai confini tra queste due nazioni si trovava il 3 settembre, insieme ad altri soldati italiani, sbandati e abbandonati, e senza ordini dal comando militare, perché Badoglio aveva firmato la resa dell’Italia con gli Inglesi e gli Americani. Tra il 9 e il 20 di settembre,invece, arrivarono i tedeschi che lo fecero prigioniero. Deportato in Germania, fu internato in un campo di concentramento, dove nostro padre incontra il compaesano Igino Paglione, destinati ai lavori forzati. I due lavorarono come internati militari in una miniera per l’estrazione del ferro: nostro padre all’aperto, mentre Igino era in miniera alla profondità di 120 metri. La miniera si trovava nella cittadina di Peine, da dove poi furono trasferiti in quella di Hildesheim, a nord della Germania, vicino ad Hannover.

Il 22 marzo 1945 la città fu bombardata dagli Americani ed dagli Inglesi e furono colpiti essenzialmente le vie di comunicazione e i depositi di cibo. Gli italiani internati furono chiamati a collaborare per aiutare i feriti, a dissotterrare i morti dalle macerie del bombardamento, a ripulire le strade. Nell’ambito di questi lavori, il 26 marzo, era la settimana santa, furono portati a sgomberare i resti di un magazzino di viveri della Gestapo. L’edificio era stato completamente distrutto ed i generi alimentari erano divenuti inservibili a causa dell’incendio. Per questo motivo , gli stessi soldati tedeschi che erano di guardia al deposito, avevano autorizzati gli abitanti del quartiere e gli internati militari italiani a prendere le scatolette di formaggio, visto che erano a digiuno da qualche giorno. Nel tardo pomeriggio i soldati italiani, mentre facevano ritorno ai loro alloggi, si imbatterono in pattuglie di polizia, Gestapo e SS, dalle quali vennero perquisiti, portando in prigione tutti coloro che furono trovati in possesso delle scatolette di formaggio, in base alla legge marziale allora in vigore per la quale ogni azione di “sciacallaggio” era punita con la morte.

Nell’azione di controllo fu sorpreso anche nostro padre, il quale, pur essendo stato avvertito da qualche soldato della presenza della polizia, proseguì per la sua strada con le scatolette di formaggio in tasca, con la convinzione di non aver commesso nulla di male. Ma le sue buoni ragioni non fecero cambiare idea e comportamento alle SS e allo Gestapo, che lo presero e lo portarono, insieme ad altri, alle carceri che si trovavano vicino al cimitero. Dove, alcuni vi rimasero e fra essi, forse, anche nostro padre, accatastati nelle gabbie di ferro, altri furono portati sulla piazza del mercato della città. Ecco, di seguito, come il prof. Loreto Di Nucci sulla Rivista il Mulino- Ultimi fuochi di ferocia nazista. Il massacro degli internati militari italiani di Hildesheim nel marzo 1945 – ricostruisce ciò che avvenne in piazza e poi nella prigione: “Nella piazza del mercato, dove si era radunata una piccola folla plaudente, incominciarono le impiccagioni, con modalità raccapriccianti. I prigionieri venivano fatti sdraiare faccia a terra, in attesa di andare al patibolo. Quando arrivava il loro turno, prima dovevano partecipare al recupero della salma di chi li aveva preceduti e poi erano costretti a salire su un bidone alto sessanta centimetri. A questo punto, un funzionario della Gestapo, o lo stesso Huck (un componente delle autorità locali del regime nazionalsocialista) metteva loro un cappio intorno al collo, il bidone veniva spostato e iniziava l’agonia del condannato. Per velocizzare le operazioni, un aiutante del boia tirava i prigionieri per le gambe. Gli ultimi cadaveri vennero lasciati penzolare dalla forca, con un cartello in cui era scritto: “chi saccheggia muore”.

Molte altre esecuzioni ebbero luogo nella prigione vicino al cimitero; coinvolsero, oltre agli italiani, belgi, francesi e polacchi, e durarono fino al giorno prima dell’arrivo degli alleati.  La forca era costituita da una sbarra di ferro, incastonata nel frontone ovest dell’edificio e sorretta da un palo. Questa volta non c’era un bidone per salire sul patibolo, ma un ceppo quadrato, un tronco di legno alto quaranta centimetri. Le esecuzioni avvenivano in questo modo: il “candidato alla morte” doveva salire sul tronco; il boia gli metteva il cappio intorno al collo e poi dava un colpo al ceppo. Mentre stava morendo il primo, saliva sul tronco, nel frattempo rimesso in piedi, il secondo candidato a morte, che veniva a trovarsi vicinissimo al compagno di sventura che lo aveva preceduto. Questa procedura, davvero disumana, veniva ripetuta fino a veder pendere tutti e cinque i corpi dalla sbarra di ferro. Quelli che si rifiutavano di salire sul patibolo, venivano passati per le armi. Per non far sentire i colpi di pistola, veniva acceso un motore, che si trovava dietro l’angolo della prigione.

Le esecuzioni durarono dalle 19 alle 3 del mattino, ma fra le 22 e le 24, dopo aver uccisi i primi trenta, Huck e suoi uomini interruppero il massacro per cenare. A svolgere il ruolo di carnefici erano due russi, che impiccavano gli italiani, li caricavano su un carretto e poi gettavano i loro corpi in una fossa comune. Stando agli studi più recenti, che riportano stime attendibili, duecentootto cadaveri furono sepolti nella fossa centrale del cimitero. Fu fatta eccezione per un tedesco, poiché, ribadendo fino all’ultimo la gerarchia razziale nazista, fu sepolto separatamente e con una lapide.

La fossa comune fu scoperta dagli altri internati  militari italiani, scampati al massacro, fra cui Igino Paglione, l’8 aprile, all’indomani dell’arrivo degli anglo-americani. Paglione ritrovò anche, nella prigione, taluni effetti personali appartenenti a Paolo Potena: i fregi  del berretto, il grado che aveva sulla giubba e la posta che era arrivata dalla famiglia. Luigi Tedeschi trovò invece gli stivali, dai quali il sergente maggiore Potena “non si separava mai”. Sulla considerazione che i luoghi delle esecuzioni furono due: la piazza del mercato e la prigione, solo per un valore simbolico, resta dare la risposta di dove avvenne quella di nostro padre. La Croce Rossa, con una nota del 18.4.1947 diretta al Sindaco di Capracotta, comunicò che il Sergente Maggiore Francesco Paolo Potena era deceduto il 26-28 marzo 1945 nella piazza del Municipio (o del mercato) di Hildesheim. In altri documenti ufficiali questa notizia non c’è, ma da testimonianze da noi raccolte, soprattutto da Michelino, (gli effetti personali, gli stivali, dichiarazioni di altri militari scampati alla morte ) la esecuzione di morte avvenne presso le carceri della prigione, con successiva sepoltura nella fossa comune, provata dai seguenti atti:

1- In una nota del Consolato Generale d’Italia di Hannover si legge: “nell’anno 1951, durante i lavori del cimitero, venne scoperta una fossa comune contenente i resti di 208 persone, buona parte delle quali erano italiane. In questo caso si tratterebbero degli impiccati sulla piazza principale, di altri uccisi in carcere e di altri prigionieri. Nessuno fu identificato e i loro resti riposano nel cimitero di Hildesheim sotto una lapide genericamente dedicata a “208 sconosciuti”. In questa fossa comune dovrebbero trovarsi tutti i resti degli italiani non trasferiti al cimitero di Amburgo né rimpatriati, quindi anche quelli del Sergente Maggiore Francesco Paolo Potena”.
2- Dalla documentazione del Ministero della Difesa – Commissariato Generale Onoranze Caduti in Guerra – risulta: “ Il Sergente Maggiore Francesco Paolo Potena, impiccato assieme ad altri connazionali per aver asportato scatole di generi alimentari da un magazzino semi-distrutto da un bombardamento, venne sepolto sul luogo, in una fossa comune”.

Il responsabile dell’eccidio fu individuato nel sopra citato Huck che non venne affatto punito. Infatti, dopo vari procedimenti giudiziari, con l’accusa per “crimini contro il genere umano”, la Corte di Assise di Hannover gli infisse una condanna a cinque anni di reclusione, ma nel 1953 la Corte di Appello della stessa città, lo assolse. La Procura fece ricorso e nel 1954, la Corte Federale respinse la richiesta di revisione del processo perché “chiaramente infondata”. La vita di una persona valeva meno di una scatoletta di formaggio. Concludo con l’invio di un pensiero a tutti i caduti in guerra e alle loro famiglie.

Lorenzo Potena

P.S. Igino Paglione, ricordava e parlava di nostro padre con intimo affetto e ha sempre detto che, per merito suo, evitò l’esecuzione della impiccagione. Infatti nel giorno in cui furono presi gli italiani dalle SS e dalla Gestapo per aver prelevato le scatolette di formaggio, Igino aveva chiesto” visita “ e fu proprio nostro padre, responsabile del campo,che l’autorizzò a restare nel capannone dove alloggiavano, sotto uno strato di paglia per difendersi dal freddo. Marco Potena, già residente a Poggio Imperiale (FG) e, all’attualità, ospite della Casa di Riposo di Capracotta, più volte ha riferito che la signora Maria Donato, residente a Lesina e sua conoscente, aveva un figlio di nome Saraceno, il quale le diceva di essere stato testimone ad Hildesheim, della volontà di nostro padre di offrirsi in cambio dei prigionieri a lui sottoposti. La notizia non è stata da noi verificata né accertata, quindi non può essere ritenuta certa; ma non si può neanche escludere, soprattutto dopo aver conosciuto nostro padre tramite le testimonianze in nostro possesso e tra queste anche quelle , non secondarie, di Igino Paglione. Di quello che accadde nel marzo dell’anno 1945 nella città di Hildesheim, si conosceva poco o nulla per l’ignavia e l’indifferenza dei ministeri e degli uffici storici dello Stato. Soltanto nel mese di febbraio del 1988 , il giornale La Stampa di Torino pubblicò, due articoli, con il titolo “1943-’45, storie di morti dimenticati”.  Successivamente nell’anno 1996 il giornalista Lazzaro Ricciotti diede alla stampa il suo libro “ Gli schiavi di Hitler” – I deportati italiani in Germania nella seconda guerra mondiale – dove l’evento viene ricordato. In tempi più vicini a noi, il professore Loreto Di Nucci, dell’Università degli Studi di Perugia, per la rivista il Mulino ( Ricerche di Storia Politica 1/2011) ha scritto un ampio e specifico documento storico sulla tragica circostanza in cui fu vittima anche nostro padre: Ultimi fuochi di ferocia nazista.Il massacro degli internati militari italiani di Hildesheim nel marzo 1945.

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