Domenica scorsa, i veneziani hanno celebrato la Festa del Redentore per ricordare la costruzione, per ordine del Senato della Serenissima (4 settembre 1576), della Chiesa del Redentore sull’isola della Giudecca quale ex-voto per la liberazione della città dalla peste del 1575-1577. Questo flagello provocò la morte di più di un terzo della popolazione in appena due anni.
Se i veneziani hanno voluto tramandare nei secoli il ricordo di un evento così drammatico per la propria comunità, i capracottesi hanno, invece, completamente rimosso dalla memoria collettiva le (altrettanto) drammatiche conseguenze del medesimo morbo che flagellò la nostra comunità nel (meno) lontano 1656.
In quell’anno, una terribile epidemia di peste si abbatté sull’allora Viceregno di Napoli. Il primo caso di peste a Capracotta si registrò il 4 agosto: un certo Giambattista di Nucci. Nel giro di 40 giorni, persero la vita 1126 persone su una popolazione di poco meno di duemila anime. L’ultima vittima fu Isidoro Mosca, deceduto il 13 settembre. Tutte le famiglie capracottesi dell’epoca furono duramente colpite dal morbo: alcune furono letteralmente spazzate via. In quella occasione, fu sterminata l’intera popolazione del casale di San Nicola della Macchia, che da allora non fu più abitato. L’anno successivo, quale effetto dello sbandamento della macchina statale di fronte alla virulenza della peste, Capracotta fu saccheggiata da una banda di 104 banditi: depredarono le case uccidendo tutti coloro che opposero resistenza, ivi compreso un vecchio sacerdote che stava officiando la santa messa nella Chiesa Madre. Alla fine, andarono via con un bottino di 30.000 ducati.
«Da questi eventi dolorosi e inaspettati- scrive Luigi Campanelli nel suo saggio storico “Il territorio di Capracotta”- il paese tutto restò decimato e sconvolto. Il numero dei fuochi (le famiglie, ndr) che nel 1652 ascendeva a 254 scese a meno di 150, la casa dei Pettinicchio non si riebbe dal grave colpo patito. Ma la popolazione si riebbe: presto molti matrimoni riempirono i vuoti formatisi nelle famiglie, e un nuovo ardore di fede sembrò risorgere in coloro che erano scampati alla morte, ai pericoli».
Furono proprio questi due eventi a spingere i nostri antenati a ricostruire dalle fondamenta la vecchia Chiesa Madre, a quell’epoca ancora in stile rinascimentale. Questi «due luttuosissimi avvenimenti», afferma Campanelli, «desolando il paese, avevano inquinata la salubrità degli edifici, e della Chiesa specialmente, la quale era stata pure contaminata col sangue d’un ministro della fede, sparso sacrilegalmente e compromessa la santità stessa del tempio».
Per questo motivo, probabilmente, decisero di ristrutturare completamente la chiesa parrocchiale, a quel tempo in stile rinascimentale. La consacrazione definitiva dell’edificio sacro nelle sue nuove linee barocche avvenne soltanto nel 1755 per una serie di conflitti tra i fedeli di Capracotta e la diocesi di Trivento.
Francesco Di Rienzo