Adesso Via Trigno, già Via Mulino Nuovo e Fonte Giù, in dialetto Fundeione (dal nome di una grossa sorgente). Una conca naturale da dove prende forza, durante le piogge o lo scioglimento della neve, un rivolo che ha profondamente inciso le terre fino al Verrino. Ancora oggi è l’ultimo gruppo di case di Capracotta verso valle. E’ cambiata molto la zona negli ultimi 50 anni: alcune case si sono aggiunte proseguendo la fila verso monte anche se c’è ancora, tra la casa de Paciglie (Di Lullo) e quella de Zi E’rriche (Enrico Matteo) lo stesso buco per una casa distrutta dai tedeschi e mai ricostruita; lungo la vecchia mulattiera che costeggiava l’orto di don Giacinto, dove erano presenti solo i ruderi della casa de re regeniéglie (casa dei piccoli re), ora c’è un lunga fila di case ed una strada asfaltata.
La mulattiera che partiva dal fontanino a colonna, che non c’è più, vicino a Zia Assunta re Cataliane (Assunta Catalano) oggi è asfaltata e porta ad Agnone innestandosi al Ponte Casciano; nel prato della Fonte , dove abitualmente c’erano re stiglie (pagliai) da poco è venuta su una grande costruzione. Oltre il fosso davanti casa c’è da poco la zona degli insediamenti produttivi compreso il prato di Conti verso re cuasine; nella piana dove sostava la trebbiatrice de Ze Vengiénze re Mulenare ci sono capannoni, stalle e case. Anche nel prato di Conti, dove si sciava, cemento su cemento. Solo in buona parte la Vecènna, gli orti, il prato di Mosca e il Tirassegno, sono rimasti così com’erano.
Allora lungo la mulattiera passava continuamente gente: c’era chi andava a lavorare nei campi, chi a lavare i panni al Verrino; tutti i ragazzi di Capracotta passavano lì per andare a giocare a pallone al Tirassegno, sfidando le ire de Ze Pascuale Recocche (Zio Pasquale Di Tanna che aveva in affitto il prato) ed anche per dare una rapida occhiata all’orto delle meraviglie che Papànonno curava. Mucche, pecore, capre quasi ogni giorno passavano per andare al pascolo; asini, cavalli e muli al tempo della mietitura arrancavano trasportando manuocchie (covoni); era caratteristica la cigolante traglia (slitta) carica di letame o de manuocchie, trainata dalle mucche de Ze Pèppe de Curdische (Giuseppe Di Nucci). I due orti che Papànonno teneva coltivati, divisi dall’orto di Saverio, sono ancora lì; nessun ragazzo va ormai a rubare noci, lécene, vangrò e péra (susine e pere); gli alberi di frutta sono ormai vecchi e cadenti.
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La terra a ridosso delle case della Fundeione, verso Capracotta, è indicata ancora oggi Vecénna: ha rappresentato per anni la fonte più consistente del reddito agricolo della mia famiglia. In origine di proprietà del Comune, che l’aveva acquistata dalla Mensa Arcipretale di Capracotta nel 1917, fu affittata intorno al 1924 a Carmenone e Curdische (Carmine e Vit’Antonio Di Nucci), i due fratelli andarono ad abitare nei due gruppi di case sotto e sopra il prato della fonte (che dava il nome alla zona). Come risulta dall’atto notarile del 22 giugno 1934 redatto dal notaio Luigi Rungi di Baranello, la Vecènna ricadeva nelle contrade Sant’Antuono, Pianopiccola e Vicènne; il Comune avendo bisogno di liquidi, offrì in vendita il terreno ai due fratelli affittuari Carmenone e Curdische; mentre Ze Lurite ( Zio Loreto) ritenne l’acquisto, visto il prezzo, quasi folle, Tatucce (mio bisnonno) non si lasciò impressionare e acconsentì. All’epoca ai grandi invalidi di guerra, se agricoltori, erano concesse facilitazioni per l’acquisto di terreni e così Papànonno fece ricorso ai mutui ed ai benefici previsti dalle leggi vigenti. Complessivamente il terreno costò, comprese le spese e senza gli interessi (al 5. 50%!), 27. 500 lire.
Per anni, nonostante le facilitazioni, il debito contratto da tutta la famiglia gravò in maniera pesante sulle risorse di tutti e solo nel 1949 finalmente furono completati i pagamenti. Oggi nessuno degli eredi di Carmenone fa il contadino di professione. Qualcuno lo fa per hobby. Siamo sparsi qua e là per il mondo e la Vecènna da anni è un prato. Il nuovo piano regolatore, oltre ad una parte destinata a zona espansiva ed una parte a zona edificatoria da lottizzare, ha destinato quasi un terzo a zona edilizia economica e popolare e quindi soggetta ad esproprio per pubblica utilità. Strano il mondo ed ancor più strano è il modo in cui una pubblica amministrazione procede: prima vende a privati un terreno, poi dopo 65 anni, ne espropria un terzo per pubblica utilità.
Domenico Di Nucci