Letteratura capracottese: “Afa” di Marco Rufini

Mio padre era un uomo buono e semplice, i radi capelli crespi, le mani sempre in movimento. A sei anni era rimasto orfano. Si chiamava Loreto, Loreto Di Vito, ma tutti lo chiamavano Totò, perché rassomigliava un po’ al grande comico napoletano. Faceva il sarto a Capracotta, mio luogo di nascita, che vanta una tradizione antica di sartori e li esporta in tutta Italia: anche Gianni Agnelli lo vestivano i miei compaesani. Aveva una casetta di proprietà comprata con i suoi risparmi. Stavamo in via Maestro Paglione, proprio sotto Piazza Falconi, dove c’era il municipio e il bar Bernardo. La bottega-laboratorio si trovava a piano terra, buia e umidiccia. Quando lavorava, il babbo teneva sempre la radio accesa e lo scaldino in mezzo alle gambe. Cantava pezzi di canzoni in coro con la radio, la voce da tenoretto e l’inflessione dialettale.

Marco Rufini, “Afa”, e/o 2007

Articoli correlati:

https://www.amicidicapracotta.com/letteratura-capracottese-vita-in-villa-di-clotilde-marghieri/