L’origine del culto della Madonna di Loreto a Capracotta si perde nella notte dei tempi. Una leggenda popolare parla della miracolosa apparizione della Madre di Dio ad alcuni popolani su un tronco d’albero nel bosco senza però fornire una data precisa. L’avvocato e appassionato cultore di storia locale, Luigi Campanelli, nel suo libro “Il territorio di Capracotta” del 1931 colloca la fondazione della piccola chiesa intitolata alla Vergine lauretana nella parte terminale del territorio comunale «in tempi imprecisati» agganciandola al rito della transumanza e, in particolare, alla devozione per la «Madonna protettrice dei viaggi» da parte dei pastori e delle loro donne che, agli inizi dell’autunno, «dopo gli ultimi addii raccomandavano nella preghiera l’incolumità dei cari partenti» per la Puglia. Infine, da un verbale ecclesiastico del 1622 sappiamo che questa chiesa era considerata già «antichissima» per l’epoca.
In teoria, l’inizio della venerazione può, tutt’al più, risalire al primo decennio del Trecento, quando il pontefice Clemente V con una bolla conferma indirettamente l’autenticità della Santa Casa della Madonna, che la tradizione raccontava essere stata trasportata per opera degli angeli dalla Galilea fino al “Colle dei Lauri” vicino alla città di Recanati, dopo tre tappe intermedie, il 10 dicembre del 1294. Infatti, a Loreto, più che un’icona sacra, si venera uno dei luoghi simbolo della Cristianità: l’edificio dove Maria ebbe l’Annunciazione e dove Gesù trascorse l’infanzia, l’adolescenza e la gioventù. Gli atti di un processo del 1315 testimoniano che Loreto è già una meta di pellegrinaggio per quei fedeli che dal Nord- Europa si dirigono a Roma e a Gerusalemme. Nei due secoli successivi, il flusso diventa enorme fino a indurre nel 1520 Papa Leone X a equiparare il voto dei pellegrini nel santuario marchigiano a quello di Gerusalemme. Da questa data, nel pieno dello scontro tra la Chiesa di Roma e i seguaci delle teorie riformatrici di Lutero, il culto si diffonde a macchia d’olio in tutta l’Europa cattolica secondo una regia ben pianificata.
I nostri antenati non ci hanno tramandato alcuna informazione dettagliata sulla originaria «antichissima» chiesa «extra moenia». Sta di fatto che la leggenda, i riti e l’attuale iconografia della Vergine lauretana capracottese sono un esempio di applicazione perfetta dei dettami del Concilio di Trento (1545-1563). Nella città alpina, il Papato non sceglie la linea del dialogo ma quella dello scontro erigendo un muro invalicabile contro gli “eretici” protestanti. Il culto della Madonna di Loreto si presta molto bene allo scopo. Viene sviluppata con forza la devozione per le immagini e le reliquie dei testimoni della fede: la Santa Casa è sicuramente la reliquia più importante di tutto l’Occidente cristiano. La devozione per la Madonna di Loreto viene diffusa sfruttando quella funzione di “guardiana dei confini” che, già in passato, la Vergine aveva svolto nei confronti dell’orbe musulmano: di qua c’è il Bene, di là il Male. Nel giro di pochi decenni, vengono costruiti, o ristrutturati, edifici di culto in suo onore nell’Europa cattolica e lungo tutta la frontiera con i Paesi protestanti: chiunque si allontana dal territorio della Cattolicità si affida a Lei contro i pericoli del viaggio. La formula è abbastanza stereotipata: la Madonna “attiva” o “risveglia” il culto apparendo ai fedeli che subito corrono a innalzarle un tempio oppure a risistemare quelli già esistenti.
Queste apparizioni si adattano alle caratteristiche dei luoghi medesimi: a Peschici, la Madonna compare sul la terraferma per indicare la rotta ad alcuni pescatori che erano stati colti di sorpresa in mare da una improvvisa burrasca; nella cittadina di Carpinone, invece, in sogno a un tal Biagio Marella; a Capracotta, quindi, necessariamente nel bosco. Non solo. Nella nostra cittadina, la pieve viene completamente ristrutturata nel 1622, trasformandosi da una piccola cappella di periferia in un baluardo cittadino: coloro che lasciano il borgo natio per raggiungere altre città vi entrano per chiedere la protezione di Maria contro i pericoli e le incognite del cammino. Tra questi, soprattutto i pastori che hanno rappresentato per secoli la categoria professionale numericamente più consistente. Ma la “nostra” Madonna è tridentina anche per la rappresentazione iconografica e i riti. La Madre di Dio venerata nelle Marche ha la carnagione scura e il simbolo delle falci di luna sulla veste che la associano alla dea egizia Iside. La “nostra”, invece, è un’icona tipicamente medievale col suo incarnato pallido, importato in Italia nel Medioevo dai conquistatori d’Oltralpe. Ed è una “regina”, come proclamato dalle “Litanie Lauretane” che si impongono proprio in quegli anni. Il Concilio di Trento promuove anche forme pubbliche di devozione come le processioni. Ma con un’ottica diversa: queste ultime non sono più un atto privato di fede del credente verso la divinità ma la dimostrazione pubblica della sua ortodossia nei confronti del clero, sempre pronto a prendere nota e spedire l’incartamento al Sant’Uffizio. A Capracotta, il corpo ecclesiastico viene completamente riorganizzato nel 1622.
Motivi di spazio mi inducono a una eccessiva semplificazione. Voglio, però, chiudere con una curiosità. L’ipotesi della fondazione longobarda della nostra cittadina parla di un rito della immolazione della testa di una capra (caprae caput) in onore del dio della guerra Thor che si sarebbe svolto sulle alture della Terra Vecchia tra il VI e il VII secolo. Il capo dell’animale è definito in alcuni documenti papali del tempo come “diabolus”. La sosta per due notti della Madonna di Loreto nella Chiesa Madre durante i festeggiamenti (7 e 8 settembre) sembra voler riaffermare solennemente l’ortodossia cattolica, allontanando in questo modo qualsiasi possibile tentazione diabolica nella parte più sacra dell’abitato e cancellando quel “peccato originale” di natura pagana della nostra piccola ma grande comunità.
Francesco Di Rienzo