Il 29 settembre reparti tedeschi si accantonarono in alcuni paesi sotto Pretoro. Giovani compresi nelle classi richiamate si diedero alla montagna. Essendo i nostri esposti a rappresaglie per causa nostra, decidemmo di raggiungere la Puglia. Bisognava farlo al più presto, finché il fronte era in movimento e la mia esperienza m’insegnava che, malgrado notizie false a sproposito trasmesse dalla radio inglese, si poteva passare. «Restate con noi» ci dicevano gli ospiti «non preoccupatevi di rappresaglie. Divideremo qualsiasi sorte». «Restate» diceva la vecchia dal suo angolo, levando verso di noi la mano da cui pendeva la corona. Ma noi li salutammo. Dopo poche ore fu come non ci fossimo mai fermati. Solo, questa volta, in luogo delle vecchie scarpe che m’avevano piagato i piedi, calzavo comodi sandali di Virgilio, i quali, a detta d’Antonio, mi davano un’opportuna aria pastorale. Sulla montagna di Capracotta ricoperta d’un interminabile bosco d’abeti, c’imbattemmo in un gruppo di ex prigionieri inglesi. Sentendoci nel bosco fuggirono con tintinnio di gavette. Noi dapprima incerti, per il colore intravisto delle divise e quel suono. Poi a ricercarli con pungente curiosità. Apparve tra gli alberi una bassa costruzione simile a una cappella: dal tetto s’alzava un tenue pennacchio di fumo. Era, come apprendemmo poi, la cella abbandonata d’un “romito”, e in quella abitavano gli ex prigionieri. Li rassicurammo entrando; mostrammo loro, sulla cartina, il punto più vicino cui secondo la radio erano arrivate le loro truppe. Ma non comprendevano una parola d’italiano e non conoscevano l’uso della cartina. A Pretoro ci era stato detto che, essendo l’alto paese di Capracotta luogo di villeggiatura, v’avremmo trovato alberghi per riposarci. Dei luoghi di villeggiatura aveva infatti la riduzione di tutto a superficie e la sgargiante monotonia.
Eugenio Corti, “I poveri cristi”, Garzanti 1951