Le Papillon, journal d’un romantique: pic nic a Prato Gentile

Pic nic nel bosco. Foto Cav. Giovanni Paglione

Pubblichiamo a puntate alcuni brani estratti dal volume “Le Papillon: journal d’un romantique” dello scrittore francofono belga Christian Beck relativi a Capracotta e al suo territorio nella traduzione di Paolo Trotta. Christian Beck è nato a Verviers nel 1879. Mistico e agnostico, naif e cinico, romantico e visionario, occupa un posto speciale nell’ambiente culturale del XX secolo. Nei panni di Voldemar, il suo doppio letterario, Beck è testimone di un’epoca e di tutto ciò che contava per quest’uomo curioso e attraente: le donne, i viaggi, la tavola, il vino, il gioco, la filosofia e la letteratura. Scrittore vagabondo, percorre buona parte dell’Europa a piedi. Nell’estate del 1909, visita Capracotta e trascorre le sue giornate passeggiando per i boschi: si innamora dell giovanissima Maria Pia Falconi che immortala col nome di “Trianon” nel suo capolavoro «Le Papillon», stampato l’anno successivo a Liegi. In questo libro, non compare mai il nome di Capracotta (il paese porta il nome di Rocca Luparella), tuttavia la descrizione dei luoghi (Prato Gentile, in primis), l’altitudine e altri evidenti elementi disseminati nel romanzo riconducono senza alcun dubbio alla nostra cittadina. Beck muore nel 1916, all’età di 37 anni, colpito dalla tubercolosi. Sua figlia Béatrix Beck vincerà il premio letterario “Goncourt” nel 1952 con il libro «Léon Morin, prete».

Pic nic nel bosco. Foto Cav. Giovanni Paglione
Pic nic nel bosco. Inizi Novecento. Foto Cav. Giovanni Paglione

Ieri  siamo  stati  a Prato  Gentile:  questo  nome  di  casa  di  campagna,  fu  dato  dagli abitanti di Rocca Luparella, al più incantevole luogo della terra. Un prato verde e senza pendio, dove passano  in semi-libertà gruppi di cavalli, con i piedi anteriori legati, circondato da ogni lato da profondi boschi di faggio. Al fondo del quadrilatero si sviluppano archi naturali di alberi, sotto i quali ci si può sedere.

Con noi sono venute le figlie di don Prospero, l’uomo più ricco di Rocca Luparella, dicono i paesani (i quali, impressionabili e senza vanità, come molti italiani, non cercano per niente di dissimulare la loro ammirazione per la ricchezza). Don Prospero, vecchio sindaco del nostro comune, l’inverno risiede a Roma: ha l’aria di un sacrestano, sembra che porti una parrucca e faccia una collezione di orologi da tasca moderni.

Le sue figlie paiono infagottate, la loro espressione è quella della povertà, sono misere: quella che compie 18 anni sembra non averne più di 12. Un vescovo del villaggio in visita, che conduceva il senatore (un anziano di piccola statura con cravatta bianca come nel 1860), presidente della Corte dei Conti, l’aria da capoufficio, molto versato, raccontano, sulla contabilità del Regno.

 La madre di Trianon, sua sorella, i suoi 4 fratelli, una giovane (il cui padre si è trasferito in una bella foresta di abeti per il tempo in cui dovranno essere tagliati), i due nipoti dell’ultimo Duca- perché Rocca Luparella ha un Duca- i cui antenati possedevano Rocca Luparella, alcune zie delle figlie di Don Prospero, muli carichi di provviste, completavano il nostro corteo.

In breve, l’inevitabile pic-nic.

(…)

La salita rocciosa con sentieri sul letto del torrente è piacevolissima. Ma passare  un’intera  giornata su questo “Prato”, da cui ho preso,  allorché ero solo, tutto ciò che mi poteva dare, mi rende, temo, molto imbarazzato. Ma da 15 giorni non ho vissuto una sola ora senza pensare a lei, a Trianon. Ma perché la chiamo così? Questo soprannome che lei ignora è ridicolo.

E’ scaturito così, naturalmente, dalla sua grazia, che non ho potuto astenermi dal farlo. Lo pronuncio solo per me, e mi sembra come una sorta di pudore a non darle il suo nome.

Allo stesso modo, la sua famiglia e le persone del suo giro, la chiamano in maniera diversa dal suo nome. Il suo nome mi sembra di non poterlo pronunciare, come parole indistinte ove l’animo sviene e si sente morire prima di vincere e di rinascere; come si strappa un velo, come ci si abbandona alle ali della preghiera, o al furore radioso della tempesta: perché la preghiera è violenza, e “i cieli”, Trianon, sono per i violenti che si ravvedono.

Ohimè! La mia ultima violenza è morta. Non sarò mai più un “lupo rapace”.

 (…)

Per un lupo la giornata d’altronde, non è stata male a Prato Gentile.

Ho notato subito che non provavo piacere accanto a queste signorine, tutte, a parte Trianon e sua sorella, abbastanza sciocche.

Le Papillon: journal d’un romantique, pagg. 27 – 29

Edizioni Zellige, Parigi, 2012

Traduzione: Paolo Trotta

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