Quella che mi appresto a proporre è una storia degli anni Venti del ’900 che il roccolano Ugo Del Castello (1953) – responsabile del settore finanziario del Comune di Pescocostanzo, nonché appassionato studioso di storia locale – decise di non inserire nel bel libro “Cinque Miglia di nostalgia” (2007), scritto a quattro mani col giornalista di La7 Stefano Buccafusca (1962). L’autore ancor oggi afferma di essere «sconvolto e amareggiato» da ciò che il suo amico Alberto gli raccontò, ovvero la storia d’un “incidente” occorso a uno sciatore capracottese sulle nevi di Roccaraso. Il racconto proviene dalle vive parole di Del Castello, il quale cita a memoria un ricordo di Alberto:
“Un giorno dei primi anni Sessanta, Alberto si trovava a Sulmona, lungo una stradina del centro storico che lo conduceva alla fermata dell’autobus per tornare a Roccaraso e, a metà percorso, stretto in mezzo a due file di case, incontrò una persona ormai anziana, che scambiò con lui alcune parole e appresa la sua origine roccolana lo fermò e incominciò ad agitarsi. Mentre si toglieva la giacca, la camicia e la maglia intima di lana gli disse che era di Capracotta e da giovane aveva partecipato a tante gare di sci di fondo; ma una, in particolare, lo aveva segnato nello spirito e soprattutto nel fisico: quella che si svolse a Roccaraso nei primi anni Venti. L’uomo si calmò, in silenzio scoprì, nonostante l’età, un fisico da atleta e sulla schiena possente apparve un segno spesso e violaceo che sbiadiva nel rosa da una scapola all’altra. Alberto non capì cosa gli fosse accaduto e, disorientato per quell’improvviso gesto, chiese timidamente una spiegazione. La spiegazione gli fu data mentre dovette aiutare quella persona a rivestirsi, e lo fece con tanta attenzione quasi per chiedere scusa a ciò che non avrebbe mai immaginato di sentirsi dire. La ferita, ormai rimarginata, era il segno lasciato da una catena di ferro vibrata di nascosto lungo il percorso della gara per far sì che quell’uomo abbandonasse la competizione; era uno degli atleti più forti e forse avrebbe vinto. Alberto finì di aiutare il vecchio atleta e a malapena riuscì a mormorare qualche incomprensibile parola che esprimeva tutta la sua amarezza. In un attimo gli apparvero davanti agli occhi quelle valli, quei pendii, quei prati pieni di fiori, percorsi mille volte per appagare un suo costante desiderio di vivere giornalmente la natura che rigogliosa circondava il suo paese e cercò con lo sguardo perso e annebbiato, come se ci fosse un turbinio di neve indefinita, di capire dove si fosse trovato quell’uomo nel momento in cui fu colpito. Fu un breve momento, Alberto tornò alla realtà e cercò di vedere con gli occhi, umidi di commozione, ma anche di indignazione, dove fosse l’uomo di Capracotta per chiedergli il luogo preciso dell’episodio. L’uomo non gli era più vicino, lo vide appena scomparire in fondo al vicolo. Alberto corse, cercò di raggiungerlo per esprimergli tutta la sua solidarietà, ma dietro l’angolo non c’era più nessuno, l’uomo si era infilato in uno dei tanti vicoli lì d’intorno dove era scomparso per sempre”.
Cerchiamo adesso di capire chi possa essere quello sciatore che subì l’infame cinghiata a Roccaraso negli anni ’20. Dal racconto si evince che il colpo di catena precluse una vittoria al nostro atleta e che nei primi anni ’60 questi era anziano, il che ci costringe a ricercarlo negli annali anteguerra dello Sci Club. È risaputo che Capracotta, prima della Seconda guerra mondiale, partorì su tutti due grandi sciatori che si distinsero oltre i nostri confini: Mario Di Nucci e Noè Ciccorelli. Sentiamo di poter escludere il primo giacché nacque soltanto nel 1918; Ciccorelli, al contrario, venne alla luce sul finire dell’Ottocento e certamente gareggiò a Roccaraso negli anni ’20, ma i suoi risultati furono quasi sempre di ottimo livello e, visto che fu a lungo attivo sulla scena culturale e politica capracottese anche nel dopoguerra, probabilmente non avrebbe taciuto il triste ricordo dell’incidente. D’altronde, nella seconda metà degli anni ’20 un altro capracottese fece molto parlare di sé per i risultati agonistici, anche se in pochi si ricordano di lui: ci riferiamo a Giuseppe Potena, vincitore il 7 marzo 1927 della Coppa Mussolini, disputata sulle nevi dell’Aremogna. Da un articolo dell’epoca del “Corriere della Sera” (8 marzo 1927, p. 6) sappiamo che il Potena percorse i 10 km. della gara in 50’13’’. Tuttavia sentiamo di poter escludere anch’egli dalla nostra indagine perché, effettivamente, la gara la vinse. In quello stesso articolo appare però un altro capracottese, tale Giuliani (sicuramente Giuliano) in quarta posizione con un tempo di 1.1’9’’, il che lascia supporre che sia stato “ostacolato” durante lo svolgimento della competizione. Potrebbe quindi essere lui il vecchio atleta su quel tram di Sulmona. Soltanto i discendenti di Noè Ciccorelli, di Giuseppe Potena o del Giuliano possono dirci se il loro defunto parente portasse addosso le profonde cicatrici di quel colpo di catena. Fatto sta che Ugo Del Castello termina il suo racconto chiedendo perdono, a nome della comunità roccolana – anche se non è dato sapere se il vigliacco fosse di Roccaraso! –, al nostro sciatore e a tutta la comunità di Capracotta. Dopo quasi un secolo non possiamo far altro che accettare le scuse e ringraziarlo di cuore.
Francesco Mendozzi