Martedì 27 dicembre 2016, alle ore 17.30, sarà presentato il volume “Chɘ m’accundɘ? Lemmi e motti della parlata di Capracotta”, scritto da Felice dell’Armi, Domenico Di Nucci e Francesco Di Rienzo ed edito dall’Associazione Amici di Capracotta, presso la Società Operaia di Mutuo Soccorso di Capracotta. L’evento rientra nel programma delle iniziative organizzato dal Comune e dalla Pro Loco di Capracotta per le festività natalizie 2016 – 2017. Pubblichiamo in anteprima la prefazione del sindaco di Capracotta, dott. Candido Paglione.
La “parlata capracottese” presenta tratti che la rendono estremamente interessante, in particolare sotto l’aspetto fonetico. Il Dizionario, che qui viene presentato, consente, per questo, un immediato approccio al mondo storico e culturale dal quale trae origine il nostro lessico.
Grazie a questo volume, infatti, ci viene offerta una comoda chiave di accesso specie a noi che abbiamo una certa familiarità con il nostro dialetto, ma anche a chi vuole essere curioso e intende addentrarsi nella lingua capracottese.
E’ una sorta di fotografia del dialetto di Capracotta in questo scorcio di tempo, dagli anni trenta ad oggi, fra l’emigrazione, che in molti casi ha rappresentato una sorta di fermo immagine di quello che era il dialetto capracottese di allora e la modernità che ha portato, invece, alla perdita conseguente di una parte dell’antico bagaglio lessicale, con l’uso, in altri casi, di vocaboli che non esistevano in precedenza e che oggi ritroviamo nel nostro linguaggio quotidiano.
Il mondo, naturalmente, evolve e non c’è da stupirsi se ciò accade anche per il modo di parlare.
Per questo è difficile, per non dire impossibile, segnare una linea di demarcazione fra quello che era il dialetto, legato alle nostre tradizioni e ad una storia che non c’è più, e quello che è, invece, oggi, all’interno di situazioni sociali, culturali ed ambientali oggettivamente cambiate, a volte anche in modo radicale.
Sono grato agli autori perché ora possiamo finalmente disporre anche per la nostra comunità di un dizionario della nostra lingua che va giusto nella direzione di salvaguardare il nostro modo di essere stati e, spero, di continuare ad essere capracottesi e, quindi, le nostre tradizioni.
Secondo la definizione che ne fornisce l’autorevole enciclopedia Treccani, tradizione, infatti, vuol dire “trasmissione nel tempo, da una generazione a quelle successive, di memorie, notizie, testimonianze”; racconti storici, miti, poesie, formule sacre, talvolta trasmesse di bocca in bocca, di generazione in generazione.
Tutto contribuisce a formare la memoria collettiva, l’identità. La nostra identità.
In questo ambito il dialetto riveste un ruolo fondamentale.
Il dialetto è la nostra lingua e attraverso quella abbiamo tramandato il nostro passato, le nostre memorie.
Per molti le tradizioni e il dialetto sono addirittura sacri e per noi che facciamo parte del mondo più semplice, quello agricolo-pastorale, lo sono ancora di più perché per centinaia di anni abbiamo comunicato solo con il dialetto, l’unica lingua conosciuta e usata.
Dunque, li consideriamo parte essenziale di quel patrimonio, culturale e morale, ricevuto dai nostri avi e di cui dobbiamo fare tesoro di vita, trasmettendone i contenuti ai posteri.
Ecco perché questo prezioso volume servirà soprattutto per porci nelle migliori condizioni di rispondere a chi ci chiede, prima di tutto ai giovani, di conservare e tramandare le nostre memorie. E di custodirle gelosamente.
Usanze, consuetudini, comportamenti, leggende, proverbi, semplici parole che non si sentivano più, modi di dire non più utilizzati, quasi sempre declinati con il dialetto capracottese: sono per noi fonti di insegnamento e guida, rivelano la saggezza e l’esperienza provenienti da un passato veramente vissuto.
Tuttavia rischiano di cadere nel dimenticatoio, sono per certi versi fragili, minacciate anche dalle rapide trasformazioni di una società costantemente in evoluzione, dall’individualismo, da certi vezzi intellettualistici, da influenze di altre culture e civiltà che contaminano e arricchiscono, ma rischiano anche di snaturarle. E dalla globalizzazione che impone un’unica, semplice e povera lingua.
Valida per tutte le latitudini, in una società che corre veloce, che si affida alla macchine, ai computer, che tende a cancellare la memoria, col rischio di cancellarne anche i valori.
Ecco allora che operazioni come quella tentata in questo dizionario appaiono per intero nella loro importanza: quella di affidare ai posteri le nostre tradizioni più autentiche, tra cui in primo luogo proprio il dialetto, custodirle, metterle in cassaforte, direi.
Perché una comunità senza memoria è come una pianta senza radici. Destinata a morire.
Candido Paglione
Sindaco di Capracotta