Capracotta in una causa civile del 1737

La Real Camera di Santa Chiara fu un organo del Regno di Napoli con funzioni giurisdizionali e consultive, istituito l’8 giugno 1735 da Carlo di Borbone, intenzionato a dar vita ad un «governo giusto, forte, uniforme, tranquillo, duraturo e incorruttibile». Composta dalla Cancelleria, dal Consiglio e dalla Segreteria, nonché da un Tribunale di prima istanza, la Real Camera – la cui competenza territoriale si estendeva a tutto il Regno – deliberava su questioni di natura ecclesiastica e laica relative ai benefici, ai regi patronati e alle libere collazioni. I magistrati venivano nominati direttamente dal re su proposta degli stessi membri della Camera ed erano ordinati in una gerarchia che prevedeva al vertice i cosiddetti capiruota ed un presidente. La storia che vado a raccontarvi non è che il dispiegarsi di una causa civile presentata direttamente al re, dunque alla Real Camera di Santa Chiara, e che ha per protagonisti un libero cittadino e un’istituzione ecclesiastica, probabilmente la chiesa della Madonna dello Spineto. Vedremo poi quale sarà il ruolo di Capracotta e dei capracottesi in questa illuminante vicenda giuridica.

Tutto comincia nell’estate del 1737 allorquando il sig. Vito Antonio de Juliis, di Gamberale, intentò una causa contro la badia di Quadri, forte del contratto siglato venticinque anni prima con l’abate Giulio de Juliis (un suo parente?) per i diritti di enfiteusi su una vigna, «coll’annuo canone di una salma, e mezza di mosto». Infatti, Vito Antonio sostenne convintamente che dal 1712 aveva migliorato le condiziuoni della vigna «con averla oggi ridotta a perfezione, ed in ogni anno puntualmente ha sodisfatto il canone al detto reverendo abate de Juliis, e dopo la di lui morte all’odierno abate successore don Simone Calabrese». Ciononostante il querelante accusò il nuovo abate di «pretendere con violenze, e minaccie spogliare de facto il supplicante del possesso di detta vigna coll’aura di esser egli ecclesiastico contro ogni ragione, e giustizia». Il 31 agosto di quell’anno la Real Camera di Santa Chiara – nelle persone dei quattro capiruota Orazio Rocca, Antonio Maggiocco, Francesco Ventura e Carlo Danza – intervenne scegliendo un giudice delegato per dirimere la contesa: la nomina cadde sul regio consigliere Giuseppe Casimiro Capozzuto. Il 13 settembre 1737 questi dichiarò di aver preso visione dei documenti e decise di citare in giudizio tutti i contumaci, vista l’involontaria lontananza dei soggetti dalla sede del processo. Al fine di notificare la decisione Capozzuto ordinò di affiggere l’editto di citazione sia a Napoli, presso la Ruota di sua pertinenza, sia nella città in cui il contenzioso aveva luogo, ovvero la casa dell’Università di Quadri – come veniva allora chiamato il municipio.

A Napoli l’editto venne affisso da Francesco Cassano, portiere della Sacra Camera, il 17 settembre. La medesima affissione in terra quadrese avvenne il giorno seguente e il 1° ottobre il notaio Nicola Ignazio Vizzoca inviò da Capracotta la relazione ufficiale alla Real Camera. Evidentemente il nostro paese esercitava allora una qualche forma di giurisdizione sul villaggio di Quadri, tanto che da qui in poi Capracotta entrerà a far parte dell’istruttoria in quanto centrale di comunicazioni per il querelante, per il querelato e per i testimoni. Trascorso il periodo necessario alla raccolta di tutte le informazioni preliminari, il 24 ottobre 1737 il consigliere Capozzuto richiese l’invio d’una testimonianza, utile al prosieguo della causa. Ed ecco che puntualmente, il 21 gennaio 1738, a Capracotta venne firmata la deposizione del teste Giacinto Polce di Gamberale, vidimata dal nostro luogotenente Cosimo Campanelli. La formula depositoria recita:

«Signore, tutto e quanto V.S. mi ha letto, e spiegato, ho inteso benissimo, e sono a fare informata V.S., che un territorio nelle pertinenze delli Quadri detto N. era sterpato, che non ce n’era principio, ma poi il reverendo abate don Giulio de Juliis lo diede in enfiteosi al magnifico Vit’Antonio de Juliis, e quello lo fece coltivare, e ci fece pastinare una vigna, e l’ha sempre lo medesimo posseduto pacificamente, e senza alcuna perturbazione, e questo averà da sotto a trent’anni, e questo lo so, perché ci tengo la sorella di mia moglie in detta terra delli Quadri, ed ho veduto, che sempre se l’ave vindemiata, e fatta vindemiare il detto Vit’Antonio fino all’anno passato; però in quest’anno ho veduto benissimo, che se l’ave vindemiata don Simone Calabrese, abate presentemente di detta terra delli Quadri, e se la vendemiò avanti il tempo, e non era fatta buona l’uva, perché dicea, che detta vigna era della badia; e questo lo so, perché sempre vado a vedere mia cognata alli Quadri».

Il 1° febbraio la Real Camera, nella persona del consigliere Francesco Crivelli (subentrato al Capozzuto), fece sapere di aver tutti gli elementi per poter emettere una sentenza, che effettivamente verrà prodotta il 20 febbraio 1738 e nella quale si leggerà che «est esse concedendum Vito Antonio de Juliis regale præsidium, donec de justa possessionis causa constiterit». Insomma, il re garantì la propria protezione a Vito Antonio de Juliis esclusivamente in merito al possesso della vigna, visto che la proprietà restava ovviamente all’abbazia di Quadri.

Accuso sempre un pizzico di emozione quando leggo il nome del nostro paese e dei nostri compaesani nelle pagine della storia. Nel caso specifico è per me fonte di interesse sapere che nella prima metà del ’700 Capracotta godesse di una giurisdizione tanto ampia, fino a comprendere i comuni dell’Oltresangro; vieppiù, è stimolante leggere i nomi dei capracottesi Nicola Ignazio Vizzoca e Cosimo Campanelli in documenti ufficiali della Real Camera di Santa Chiara. Ma quello che più mi stupisce sta nell’efficienza e velocità della giustizia borbonica. Nel 1737 un processo civile di primo grado cominciò il 31 agosto per terminare il 1° febbraio dell’anno seguente: 155 giorni. Nell’Italia di oggi la durata media di una causa civile di primo grado è di 367 giorni. Ai posteri l’ardua sentenza.

Francesco Mendozzi

Bibliografia:

–       L. Ricci, Praxeos formulariæ judicii executivi, et ordinarii, vol. III, Tip. Roselli, Napoli, 1758, pp. 159-164.

–       P. Giannone, La Real Camera di Santa Chiara nei primi anni del Regno di Carlo di Borbone, in Annali del seminario giuridico economico della Regia Università di Bari, vol. VIII, Bari, 1935, p. 14.

–       F. Mendozzi, Guida alla letteratura capracottese, vol. I, Youcanprint, Tricase, 2016, p. 100.

–       D. Stasio, Giustizia civile: nel 2016 i tempi in tribunale scendono a 367 giorni, in «Il Sole 24 Ore», 4 maggio 2016.