E’ sabato pomeriggio, il primo di aprile, e quando arrivo la cittadella Salesiana è in pieno fermento. All’oratorio arrivano genitori che affidano i propri figli agli animatori, dai campetti di calcio, pallavolo e basket arrivano le grida dei ragazzi impegnati nelle rispettive dispute ed i collaboratori vanno e vengono.
Lo vedo, immerso nei suoi pensieri, seduto sul terrazzino della casa canonica e lo raggiungo. Lui è Vincenzo Costantino Carnevale, per tutti Don Carnevale, Salesiano di Don Bosco che da qualche anno è nella comunità parrocchiale di Cristo Re a Sulmona. Segni particolari: è nato a Capracotta, luogo per il quale condividiamo una profonda passione. Dopo aver chiesto notizie di mia madre, sua compaesana, mi porge il suo cellulare e mi prega di chiamare Valeria, sua collaboratrice, per chiederle a che ora verrà. Se Don Carnevale non ha premura arriverà per le 18,30 è il messaggio che riferisco. Questa telefonata mi ricorda quella che mi fece fare nell’immediato dopo terremoto de L’Aquila al dottor Aldo Trotta. Venne in ufficio con una ragazza a cercarmi: dobbiamo trovare con urgenza Aldo (il dottor Trotta) questa collaboratrice è una sua paziente ed ha necessità di essere visitata da lui per continuare le cure e non riesce a rintracciarlo. Ciò la dice lunga sul suo temperamento indomito ed intraprendente e sulla volontà di aiutare il suo prossimo, sempre. Così mi siedo accanto a lui, gli chiedo di raccontarmi la sua storia e lui mi accontenta.
Ho lasciato Capracotta nel 1924 per andare a studiare nel Collegio Salesiano di Genzano di Roma. E’ lì che l’11 febbraio 1929, giornata nella quale vennero stipulati gli storici accordi fra la Chiesa Cattolica e lo Stato Italiano noti come Patti Lateranensi, feci la prima professione. C’era la neve a Genzano. Fui ordinato sacerdote nel 1939 a Roma nella Basilica dei Santi Pietro e Paolo. Sono stato parroco e ho insegnato religione nelle scuole pubbliche ed ora eccomi qua.
Frattanto passa un collaboratore e nel salutare Don Carnevale gli chiede come va: Che domanda! Andava meglio qualche anno fa! Risponde con tono fermo. Si affaccia Don Waldemar, il parroco polacco, per verificare che sul terrazzino non si avvertano correnti d’aria e dopo aver accertato che l’aria di primavera è mite e gradevole se ne va.
Sollecito il nostro colloquio parlandogli del cappellano di Capracotta di Addio alle armi e, senza lasciarmi finire, con l’aria di chi ha già capito tutto mi dice: no, io non ho conosciuto Hemigway dato che nel corso della Grande Guerra ero un bambino. Ho avuto quel ruolo tuttavia nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Nel 1943 fui nominato dal Ministero della Guerra cappellano militare col grado di tenente e mandato presso l’Ospedale Militare di Bari. A settembre ebbi la notizia che, di lì a qualche giorno, avrei dovuto raggiungere il Montenegro. Quando chiesi una licenza di qualche giorno per raggiungere i miei familiari, al fine di salutarli ed informarli della mia nuova destinazione, mi fu negata. Quel giorno ero davvero contrariato ma raccolsi i pochi paesani che erano ancori a Bari, acquistammo una cassetta d’uva e andammo in campagna: dovevamo in qualche modo festeggiare col pensiero rivolto alla Madonna di Loreto e a Capracotta… e qui Don Carnevale che parla un italiano perfetto privo di cadenze dimostra tutta la sua capracottesità… quel giorno era l’ott Sttiembra! Quando rientrammo in città avemmo notizia dell’armistizio e il Montenegro mi fu risparmiato.
Gli chiedo cosa pensa di papa Bergoglio: è un missionario nel vero senso della parola accetta il dialogo con tutti: cattolici e non, lo apprezzo molto per questo suo spalancare le porte della Chiesa a tutti. I papi sorgono secondo le necessità della Chiesa dei tempi e papa Bergoglio è arrivato proprio nel momento in cui la Chiesa aveva bisogno di lui. Mi ispira molta simpatia e poi ti dico una cosa: conosce Capracotta! Si, gliene ha parlato il nostro compaesano Pierino Campagna, che emigrò in Argentina come accadde alla famiglia Bergoglio, e fu suo amico. Chissà che un giorno non venga a visitarla…
Cosa pensi dei Capracottesi? I giovani di oggi non sono quelli di ieri ma sono certo che abbiano mantenuto quello “spirito di corpo” che da sempre ha caratterizzato i Capracottesi.
E ultimamente sei stato a Capracotta? Vado sempre volentieri a Capracotta, ultimamente sono stato con Alfonso (anch’egli oriundo Capracottese) ospite del parroco, torneremo quanto prima, quando Alfonso sarà disponibile.
A questo punto ho il dovere di riportare un ricordo a proposito di Alfonso e della sua famiglia e per comprendere lo “spirito di corpo” dei Capracottesi di cui parlava Don Carnevale. Nel novembre 1943, quando i tedeschi in ritirata rasero al suolo lo scalo ferroviario San Pietro Avellana – Capracotta, una delle tante famiglie rimasta priva di dimora raggiunse Sulmona dopo un estenuante viaggio a piedi, della durata di alcuni giorni. Qui, i sei componenti, trovarono rifugio e ospitalità per quaranta giorni nella casa dei nonni di Alfonso. Si trattava della famiglia di mia madre e non è mai abbastanza rimarcare il profondo legame che ci unisce a quella di Alfonso.
Per Don Carnevale è ora di rientrare in casa, nel salutarmi mi invita a tornare presto per poter continuare a conversare.
Intanto consapevole della grande passione che lo anima per il luogo dove è nato il 5 aprile, sono certa di fare cosa gradita se affido a questa pagina i miei auguri, come quelli di tutta la comunità parrocchiale, di buon compleanno al sacerdote che ha lasciato un ottimo ricordo in tutti i luoghi ove è stato parroco: lo testimoniano le numerose cittadinanze onorarie che gli sono state conferite e all’uomo che non finirà mai di sorprendermi.
Alda Belletti