Presiedere l’Accademia dei sartori, la più antica associazione al mondo dedicata all’abbigliamento, non è cosa da poco. La prestigiosa istituzione ha oltre quattro secoli di esistenza alle spalle, essendo nata nel 1575. L’attuale Accademia nazionale dei sartori, che dal 1947 riunisce circa 250 maestri del “su misura”, trae infatti origine e tradizione dall’antica Università dei sartori voluta da Papa Gregorio VIII poco dopo la metà del cinquecento, mentre Torquato Tasso terminava i venti canti della “Gerusalemme liberata” e il Veronese iniziava gli affreschi di Palazzo Ducale a Venezia. Altro che grandi opere e ponte sullo Stretto.
Ecco perché Sebastiano Di Rienzo, capracottese a Roma ma anche cittadino del mondo, da anni presidente del prestigioso convivio, è di diritto uno dei molisani che fanno massimo onore alla sua terra. Se la sartoria è un’arte, il Molise, attraverso un alto numero di sartori che hanno saputo trasmettere la propria creatività a questo mondo elitario, ha contribuito non poco alla sua crescita e alla sua affermazione. A livello mondiale. Perché la scuola italiana della sartoria su misura è conosciuta ed apprezzata in tutto il pianeta: per politici che hanno segnato la storia (è il caso di Gorbaciov ma anche di Tito), per attori che hanno vinto premi Oscar, per scienziati di fama (è l’esempio di Dulbecco) il concetto dell’abito cucito a mano è stato sempre legato ad una dimensione di prestigio e di esclusività.
Molti molisani hanno lasciato la propria terra con ditale e aghi. Riuscendo poi ad affermarsi in tutto lo Stivale e nel mondo. Capracotta vanta una tradizione unica in tal senso: il caposcuola della sartoria italiana su misura, Ciro Giuliano, era originario proprio del centro altomolisano. Sebastiano Di Rienzo è uno dei suoi degni discendenti. Perché molti capracottesi, anche a Roma, svolgono l’attività di sarto. Con successo.
L’INTERVISTA. Quando taglio e cucito fanno grande il “made in Italy”
ROMA – Entrare nel suo laboratorio è un’emozione. Sebastiano Di Rienzo, originario di Capracotta, ci accoglie nel suo studio-atelier tra modelli e la pila di riviste e foto accumulate in quasi quarant’anni di attività di sarto-stilista. Oltre ad aprire il suo atelier (moda donna) e il suo studio di modellistica, ha creato rapporti con le signore più prestigiose del mondo, estendendo il suo lavoro all’insegnamento. Di Rienzo, infatti, è docente di modellistica all’Istituto europeo di design a Roma da venti anni. Segretario nazionale dell’Accademia dei Sartori e segretario generale dell’Accademia mondiale dei sartori, è riuscito – è il caso di dirlo – “a ritagliarsi” un ruolo di prestigio nel panorama della moda italiana e internazionale vantando anche una serie di pubblicazioni: “Tecnica della moda”, “Professione moda” e “Moda nell’industria”. Di Rienzo è anche collaboratore della rivista “Tutto motori” sulla quale cura una rubrica di moda e costume. A lui sono state dedicate tre tesi di laurea, segno che professionalità e talento gli hanno permesso di essere annoverato tra i migliori sarti del nostro Paese.
– Di Rienzo, com’è nata la sua passione per la moda? Da dove ha mosso i primi passi?
“All’età di dieci anni e mezzo avevo già finito le scuole elementari. Fu la mia famiglia ad indirizzarmi verso la sartoria. Mia nonna disse “il ragazzo è delicato, gli facciamo fare il sarto”. L’apprendistato l’ho fatto presso Giovanni Borrelli, conosciuto come il migliore. Una lunga gavetta culminata a ventidue anni con l’assunzione, in qualità di tagliatore modellista, dal noto stilista Valentino. Lessi un’inserzione su un giornale e così mi presentai nelle case di moda più prestigiose ma fu Valentino a volermi prima come capogruppo. Da lui sono stato tre anni e mezzo, poi ho creato una mia attività. Ma prima dell’esperienza romana c’è stata un’altra importante avventura, quella a Como, come apprendista nel 1957 nell’atelier di Angelo Casale di Bojano. È stato lì che mi sono avvicinato alla moda femminile perché la moglie di Casale confezionava vestiti per donne e io la aiutavo. Sempre perché avevo un particolare tocco, quella grazia che in genere i ragazzi non avevano”.
– La mantella “capracottese”, il “cappotto a ruota”, il “tabarro”. Sono tutti termini coniati da lei ed assunti a livello nazionale, persino al “Costanzo show”…
“Il tabarro capracottese (che ci mostra provandolo) sarà uno degli oggetti di una mostra che il museo d’arte moderna di Villa Giulia esporrà insieme ai libri”.
– Poi l’incontro con la cultura orientale, la Cina. Come definirebbe questo incontro?
“Tutto è iniziato nel 2002, quando ero presidente dell’Accademia dei sartori. Fui contattato dal Comune di Tianjin, il porto di Pechino, e da allora è iniziato un sodalizio che continua ancora oggi e che ha permesso all’Accademia dei sartori di esportare il binomio creatività e qualità in un Paese che sta cercando di occidentalizzarsi ma che risulta essere molto lontano, per cultura e tradizione, dai livelli raggiunti dalla moda italiana. Oggi circa l’8% dei cinesi è ricchissimo, contrariamente a quello che si pensa. I cinesi puntano a crescere soprattutto nell’oreficeria e nella sartoria, ma per farlo hanno bisogno di ispirarsi a modelli che non hanno nel loro Paese. Sono molto corteggiato dall’associazione degli industria dell’abbigliamento di Tianjin, che è l’unico vero insediamento italiano in Cina, che vorrebbe aprire un negozio con il mio marchio. Dal 2002 ad oggi sono stato in Cina sette volte, tre nell’ultimo anno. Segno che questa partnership è destinata a cementarsi. Ho portato il Molise anche lì, visto che la mia regione è sempre nel mio cuore. Ho organizzato l’elezione di Miss Capracotta, un vero e proprio concorso di bellezza, cercando di veicolare il concetto di intreccio di culture e di tradizioni. Ogni volta che mi reco in Cina, resto senza parole di fronte alla loro cultura, al loro senso di ospitalità. Credo che per l’Italia e per l’Europa oggi la Cina rappresenti una risorsa importante”.
– Deve essere una bella soddisfazione per lei, aver esportato addirittura in Cina uno stile, la sua moda. Ma quanto è stata influenzata dalla cultura orientale?
“Sono orgoglioso di essermi fatto portatore di un scambio di culture anche grazie all’importante contributo di Maria Luisa Fratamico, di origine molisana, che cura i miei rapporti con la Cina. Oltre ad aver studiato in Cina, Maria Luisa è una grande appassionata della cultura cinese e conoscitrice delle loro attività industriali. Tornando all’influenza della cultura sui miei abiti, inevitabilmente in qualche creazione si nota un influsso orientale, di forme. Gli abiti esprimono sempre una sensazione, parlano delle esperienze che si fanno, evocano immagini che restano impresse nella mente. Come è capitato, ad esempio quando, per realizzare un abito, l’ispirazione mi è venuta dal titolo di un giornale che paragonava gli ultimi giorni di Papa Woityla ad un angelo muto. Beh, quelle parole mi hanno evocato un’immagine che io poi ho trasformato in creazione”.
Dalla Cina, alla Thailandia, passando per l’Arabia Saudita e il Kuwait, New York, Barcellona e Atene, Di Rienzo ha portato nel mondo passato, presente e futuro in un mix esplosivo che ne esalta l’eleganza, lo stile inconfondibile, inossidabile con il trascorrere del tempo. Un viaggio che lo ha condotto a vivere il periodo più esaltante del nostro Paese – gli anni sessanta – quelli che Di Rienzo ricorda “non volgari, quando la gente era semplice” e che oggi rivivono nelle sue creazioni. Saranno oggetto di una sfilata di cui è ancora tutto top secret. E di cui non potremo non parlare nella prossima puntata di questa affascinante avventura tra il gusto del bello.
Ida Santilli e Giampiero Castellotti
Fonte: Forche Caudine, l’intervista: quando taglio e cucito fanno grande il “made in Italy”