Un lupo morto appeso a un lampione come trofeo. Subito dietro, il cacciatore circondato da un gruppetto di bambini e da alcuni adulti.
I volti dei più piccoli sprizzano meraviglia per la mole dell’animale. Su quelli dei più grandi, c’è un sorriso, forse di sollievo. A quel tempo, i lupi erano il terrore della popolazione: attaccavano le greggi e non temevano di aggredire persino l’uomo. I pastori e i contadini erano i più esposti al rischio di imbattersi nell’animale perché costretti ad allontanarsi dal paese e a ritornare verso casa a tarda ora dovendo spesso percorrere strade e sentieri nei fitti boschi dei nostri monti.
Nel mese di agosto del 1918, in particolare, un lupo azzannò più di una decina di contadini nel territorio di Capracotta ai confini con Vastogirardi, uccidendone alcuni e ferendone più o meno gravemente altri. L’animale fu ammazzato a Vastogirardi dopo un duro scontro corpo a corpo con un contadino, Antonio Di Salvo.
L’uomo, benché ferito, riuscì a stringergli con le dita la mandibola inferiore. La belva cercò in tutti i modi di divincolarsi finché cadde tramortita per due colpi di randello ben assestati sulla testa dal figlio quindicenne di Antonio, Pasquale. Altri contadini lo finirono sparandogli diversi colpi di fucile.
Il coraggioso contadino fu immediatamente trasferito a Napoli per essere visitato in ospedale per il timore di un’infezione da rabbia. Il corpo senza vita del lupo, invece, fu esposto in una sala del palazzo comunale di Vastogirardi. Non sappiano se il lupo della foto sia quello abbattuto a Vastogirardi, vista la concomitanza tra le due date. Resta il fatto che, come si vede nell’immagine, anche a Capracotta c’era l’usanza di esporre pubblicamente l’animale ucciso.
Di solito, il cacciatore veniva ricompensato direttamente dalla popolazione con piccoli premi in generi alimentari per l’importante servizio reso a tutta la comunità.
Il lupo, comunque, non solo incuteva paura nella vita quotidiana dei nostri antenati ma popolava anche i lati peggiori delle loro fantasie. Lo studioso Oreste Conti, autore di una pregevole “Letteratura Popolare Capracottese” nel 1911, ricorda due superstizioni legate a questo famigerato predatore. Se una donna incinta avesse mangiato una pecora scannata dai lupi, avrebbe partorito un “allupato”, cioè un figlio che «mangerà più che se fosse affetto da tenia e avrà istinti sanguinari». Guai, poi, allo sventurato che sarebbe venuto al mondo nella notte di Natale. Sarebbe stato un lupo-mannaro!
Francesco Di Rienzo
Dal volume “Capracotta 1888 – 1937: cinquant’anni di storia cittadina nelle foto del Cav. Giovanni Paglione”, edito dall’Associazione “Amici di Capracotta”