Belli o brutti, sfiziosi o irripetibili, insignificanti o balordi, ancora oggi i soprannomi sono il mezzo più sicuro per identificare una persona. L’origine dei soprannomi coincide con l’inizio della vita in comune: essi hanno accompagnato l’uomo da sempre. Basta dare una superficiale occhiata a qualsiasi testo di letteratura latina ed ecco che nel 300 a.C. incontriamo Appio Claudio Cieco (poverino oltre che zoppo era anche cieco!); il crudele console romano Publio Claudio fu detto Pulcro (il bello) anche se zoppo, Quinto Fabio Pittore lasciò il pennello e combatté contro i Galli, mentre Lucio Cincio Alimento aveva nel suo nome tutto un programma culinario. Sicuramente Marco Porcio Catone detto anche “Il Censore” doveva aver avuto in famiglia qualcuno collegato ai maiali; Lentulo Lupo (che strano un lupo alquanto lento!) ha ancora tanti discendenti, mentre Licinio Calvo forse già usava una parrucca.
Ma fu intorno al secolo IX che la scomparsa del sistema onomastico classico rese importantissimo il soprannome, essendo indispensabile aggiungerlo al solo nome di battesimo per identificare una persona. I soprannomi di allora divennero, a seguito dei dettami del Concilio di Trento, i cognomi che portiamo oggi, estesi come furono alla famiglia e ai discendenti. Mentre quei soprannomi vecchi di secoli fanno bella mostra, registrati come sono all’anagrafe, tanti altri durano per poche generazioni: spuntano come funghi, vivono una vita intensa e poi scompaiono. Ogni volta che un soprannome cade in oblio, una fetta di cultura, di storia, di tradizioni inevitabilmente svanisce nel nulla. Rimandando ad altro scritto l’analisi delle storie e delle vicende legate ad alcuni soprannomi ancor oggi in voga nella nostra zona, quale migliore occasione per chiudere con un aneddoto che vede coinvolti due soprannomi ed un oste poco previdente?
Orbene tanti anni fa, quando il commercio ambulante si muoveva a dorso di mulo e le trattorie erano spesso poste nei punti strategici dei tratturi o delle mulattiere, un oste fu avvisato che nel tardo pomeriggio si sarebbero fermati a pranzare da lui, di ritorno da un fiera che si era tenuta in un paese lì vicino, quaranta di Agnone e cinquecento di Capracotta. L’oste allertò tutti i familiari, mise man forte a tutte le provviste, macellò alcune pecore e sudò letteralmente sette camicie per preparare la cena a 540 persone. Sul fare della sera, arrivarono all’osteria due forestieri ed a mala pena consentì loro di sedersi ad un tavolo appartato per cenare, euforico ed in attesa com’era di veder comparire quella moltitudine di gente che aspettava… I due, mangiando mangiando, accortisi di tanta agitazione, chiesero all’oste chi mai dovesse arrivare e saputo che dovevano giungere quaranta di Agnone e cinquecento di Capracotta per poco non morirono per le risate, essendo uno dei due Quaranta, di cognome, di Agnone e l’altro Cinquecento, di soprannome, in quel di Capracotta! L’aneddoto non ci riferisce come la prese il povero oste, ma certamente da quel giorno maledì tutti i soprannomi ogni volta che qualcuno alludeva, anche larvatamente, al famoso pranzo dei 540.
Domenico Di Nucci