Aldo Trottta in una recente iniziativa dell’Associazione “Amici di Capracotta”
“My fairy tale of the snowplough” (La mia favola dello spartineve): così intitolavo, molti anni fa’ un piccolo componimento in lingua inglese nel periodo in cui frequentavo dei corsi serali per adulti di questa lingua, divenuta cosi indispensabile per tutte le professioni; ricordo lo stupore dell’insegnante che, pur nel fraseggio assai elementare ed alcuni inevitabili errori, aveva intuito quanto fosse importante, tra i miei ricordi infantili, quello dell’arrivo dello spartineve a Capracotta: sottolineò infatti scherzosamente che sembrava io descrivessi l’arrivo di una persona cara piuttosto che quello di una macchina.
Lo spartineve, acquistato per iniziativa e con il sacrificio dei concittadini emigrati negli Stati Uniti d’America, doveva essere un dono di Natale per Capracotta nel lontano 1949: arrivò invece un po’ in ritardo, forse per le complesse procedure di spedizione da New York verso il porto di Napoli, diventando così il più prezioso regalo per tutti poco dopo l’Epifania ed esattamente il 16 Gennaio 1950. Io avevo allora meno di 7 anni e per i miei coetanei e tutti noi alunni della Scuola elementare fu l’attesa più spasmodica che avessimo mai vissuto: tale da farci dimenticare lo stesso periodo natalizio, pur non riuscendo a capire del tutto perché un simile dono fosse tanto desiderato dai nostri genitori e dagli adulti; avevamo anche provato ad immaginare come apparisse nella realtà un grande “spartineve americano”, ma le nostre idee migliori non andavano al di là di un rumoroso trattore cingolato né qualcuno ci aveva mostrato la sua foto, già comparsa in anteprima su alcuni giornali americani per raccogliere la grossa somma necessaria al suo acquisto. Ci appariva, oltre tutto, assai sconfortante che la neve, in quegli anni di solito così copiosa, non fosse ancora caduta nel periodo che sto ricordando: e per noi bambini, del tutto sinceramente, la neve non aveva mai rappresentato un problema, ma piuttosto una fantastica quanto insostituibile “compagna di gioco”.
Ad ogni modo e dovunque in paese fremevano i preparativi per accogliere le autorità che ci avrebbero consegnato un dono così “storico” e che, per unanime previsione, ci avrebbe liberato dal rischio frequentissimo di restare del tutto isolati nel periodo invernale: con i tanti pericoli ad esso correlati e che noi piccoli avremmo compreso in seguito; basti pensare alla sfortunata occasione di qualche inverno più tardi (1956) in cui l’impossibilità immediata di una riparazione meccanica allo spartineve provocò un blocco prolungato delle vie di accesso al paese e fummo costretti a ricevere viveri e medicinali con il lancio di paracadute dagli aerei; debbo confessare però che anche allora, per quanto fossimo già più grandi, fu assai piacevole goderci lo spettacolo dal terrazzino del campanile salutando festosamente i nostri “soccorritori”.
A Natale ignoravo ancora che mi avrebbero affidato, fra tanti bambini, un compito assai privilegiato e cioè quello di accogliere la consorte dell’ambasciatore americano in Italia, Sig.ra Dunn che sarebbe arrivata da Napoli con il corteo di automobili e prima che salisse sul palco allestito in piazza Falconi: per di più rivolgendole un indirizzo di saluto in versi ed offrendole un mazzo di fiori; quando ne fui informato, all’entusiasmo iniziale seguì la preoccupazione di non essere all’altezza del compito e per giorni e giorni ebbi cura di imparare molto bene non solo i versi da recitare (come se la Sig.ra Dunn avesse potuto comprenderli!), ma soprattutto le regole di cortesia e di galateo per una occasione così “speciale”.
Nel fatidico giorno, ancor prima che lo spartineve giungesse vicino al palco su cui mi avrebbero fatto salire, un po’ sballottolato dalla marea dei presenti, mi sono trovato di fronte a S.E. l’ambasciatore ed alla sua signora; ho avuto un attimo di grande perplessità ed esitazione, ma non per tutto ciò che avevo previsto e temuto; ero infatti solo intimorito, nell’abbraccio affettuoso della Sig.ra Dunn cui offrivo le rose, dalla sua splendida pelliccia di visone che mi capitava di vedere (e di toccare) per la prima volta nella mia vita: non credo infatti che allora vi fossero altre signore di Capracotta a possederne una e confesso che rimasi piacevolmente sorpreso della sua estrema e quasi vellutata morbidezza. Non ho purtroppo conservato il testo di quel mio indirizzo di saluto né potrei ricordarlo dopo 60 anni: tanto più che, già nel pomeriggio dello stesso giorno, invitato a ripeterne i versi dinanzi ai microfoni di Radio Pescara (allora il Molise era una sola Regione con l’Abruzzo), me li ero già in parte dimenticati per la grande emozione e nel comprensibile disappunto di mia madre Cesarina che cercava di suggerirmeli da lontano; tanto meno ricordo le parole, certamente molto affettuose nel loro tono, ma per me incomprensibili, della Sig.ra Dunn e me ne dispiace ancora adesso.
Piovigginava paradossalmente quel 16 Gennaio, con tanto freddo, quando il magnifico autocarro “giallo” (non cingolato) cui era stato assegnato il nome di “Capracotta Clipper” si avvicinò al palco nel suono inconfondibile delle sue trombe: con un assurdo quanto pericoloso grappolo di persone a bordo, preceduto da tanti giovani con gli sci in spalla e tra gli applausi scroscianti della folla; e posso assicurare che lo spettacolo di quella mattina superò di gran lunga ogni nostra fantasia lasciandoci letteralmente a bocca aperta per la grande sorpresa. Io ricordo poi di essere rimasto buono, buono per tutta la cerimonia, con un buffo cappellino di lana sulla testa ed ormai in grande confidenza con la Sig.ra Dunn che mi teneva per mano, quasi “avvolto” dalla sua calda pelliccia; mi scuoteva ogni tanto l’emozione per alcune espressioni nel discorso appassionato del nostro Arciprete Don Nicola Angelaccio, che comprendevo solo in parte, mentre avevo necessità, ogni tanto, di essere rassicurato dallo sguardo compiaciuto di mia nonna Guglielma che, ospite per l’occasione della cara amica Penelope Carnevale Ianiro, mi sorvegliava dalla sua finestra proprio sulla piazza.
Poco più tardi ed ormai rilassato, mi distraevo ad osservare un robusto signore accanto a noi che indossava una tuta chiara: ho appreso poi che si chiamava Armand ed era l’autista inviato appositamente dagli Stati Uniti a fornire le indispensabili “istruzioni” per l’impiego pratico dello spartineve; se solo me lo avessero consentito, avrei interrotto la cerimonia in corso per salire con lui alla guida pregandolo di mostrarmi come avrebbe funzionato l’immenso vomere di quella macchina: ma un coro già intonava la famosa “canzone dello spartineve” appositamente scritta in dialetto dal reverendo Don Gennaro di Nucci e vedevo che molti… si asciugavano gli occhi facendo finta che fosse per le strane gocce di pioggia gelata che cadevano. E’ per queste ragioni che, durante la visita ufficiale a Capracotta (nel Settembre 2006) di tanti concittadini provenienti dagli Stati Uniti, ho affettuosamente rivendicato il “diritto” di essere ospitato sullo stesso imponente spartineve durante il corteo di automobili che si è snodato per il paese al loro arrivo: mi sono trovato così nella cabina, accanto a Ennio Di Nucci che lo conduceva, a ricordare le diverse occasioni di vero e proprio “soccorso in emergenza” di cui era stato protagonista il vecchio “clipper”; era il modo più bello e spontaneo per rinnovare la gratitudine di tutti noi nei confronti di coloro che, tanti anni prima e nel periodo così critico del dopo-guerra, ce lo avevano donato: e mai il suono delle sue trombe, rimasto del tutto uguale nel tempo, ci è sembrato così somigliante a quello di un antico piroscafo di emigranti (da Capracotta?).
Sono ora nonno da tempo ed anche i miei nipotini più grandicelli, Lorenzo e Andrea, saliti per la prima volta in quella occasione a bordo dello spartineve prima del corteo, hanno dimostrato di essere assai meravigliati: non tanto e non solo dell’aspetto elementare e quanto mai “spartano” dei suoi comandi e delle sue leve, che comprensibilmente si attendevano più tecnologici, ma sopratutto del mio singolare “privilegio” di poter restare accanto all’autista: quasi fossi di nuovo, unico tra i bambini, sul palco di piazza di Falconi ed accanto all’istruttore americano.
Sono stato costretto perciò, ancora una volta, a riassumere quella che io chiamo la “mia favola dello spartineve” ed in particolare a raccontare un sogno che ancora adesso e di frequente ricorre nel mio riposo. In una notte di neve, di vento e di bufera che mi svegliano intimorito come da bambino, il grande faro giallo centrale dello spartineve squarcia il buio, mentre nel più silenzioso fruscio del suo potentissimo motore, tra due altissime pareti di ghiaccio, le sue trombe rassicuranti echeggiano a lungo: con un suono ancora più struggente, come quello delle zampogne per la Novena di Natale. Mi riaddormento poi rapidamente, davvero tornato piccolo, in una nuvola di piccoli “cristalli argentati” che mi sommerge piacevolmente e quasi mi fa’ dimenticare tutte le angosce presenti. Così, grazie alla curiosità dei bambini, la mia favola continua ad essere narrata…:” tanti anni fa’ a Capracotta, piccolo paese di montagna che rimaneva spesso isolato per la neve, arrivò in dono da lontano un grande spartineve giallo…” e sono certo che la mia favola non verrà dimenticata dalle nuove generazioni.
Aldo Trotta