Grande Guerra: il soldato italiano morto «a causa di Hemingway»

«A Capracotta negli Abruzzi» è la promessa che Frederic, alias Ernest Hemingway, fa al cappellano di Capracotta in Addio alle Armi, uno dei romanzi che hanno reso famoso lo scrittore americano; promessa che ritroviamo anche in una lettera all’amica Grace Quinlan nel 1921. In una intervista rilasciata da Mary Welsh, sua quarta moglie, scopriamo che Hemingway in un momento della sua vita pensava di trasferirsi stabilmente «negli Abruzzi, di cui avvertiva un fascino primigenio» attratto dall’ambiente quasi mitico «abitato da contadini ospitali che ti chiamano “don” e ti chiedono l’onore di sedere alla loro mensa»1; proprio come descritto a Frederic dal cappellano  che lo invita a casa dei suoi a Capracotta.

La promessa di Hemingway di recarsi negli Abruzzi sarà purtroppo disattesa in quanto lo scrittore deciderà poi di trasferirsi a Parigi, frequentata dai più importanti scrittori dell’epoca, e dare avvio alla sua carriera letteraria fino a conseguire il Premio Nobel.

Sono comparsi in questi giorni su alcuni giornali articoli, riguardanti «Il soldato italiano che salvò la vita ad Hemingway», dal titolo piuttosto fuorviante.

Fedele Temperino, toscano di Montalcino, non fu un eroe, come scritto da qualcuno, ma purtroppo solo vittima dell’imprudenza di un giovane autista di ambulanze della Croce Rossa Americana con l’incarico di portare beni di conforto ai soldati in prima linea. Si chiamava Ernest Hemingway, ferito a Fossalta la notte dell’otto luglio 1918 e decorato di medaglia d’argento al valor militare; non fu neanche lui un eroe ma, indirettamente, il responsabile della morte di Temperini che gli salvò, suo malgrado, la vita. Al posto dell’americano infatti qualunque soldato italiano sarebbe finito davanti alla corte marziale quale responsabile di grave imprudenza che causò la morte di un uomo ed il ferimento di altri.

Hemingway si era infatti recato, non autorizzato, in un posto d’ascolto del 69° Reggimento Fanteria della Brigata Ancona, sulla riva del Piave, a poche decine di metri dall’avamposto degli austriaci i quali, dopo aver sentito trambusto al di là del fiume, temendo un attacco, spararono causando la morte di Temperini ed il ferimento di altri tra cui lo stesso Hemingway.

Henry Villard, ricoverato a Milano con Hemingway e successivamente ambasciatore americano in vari Stati, riferisce: «Era un luogo in cui non doveva andare, che gli era stato proibito espressamente» ed Emmet Shaw, collega di Hemingway a Schio scrive: «Alla notizia del suo ferimento, francamente pensammo che fosse tutta colpa sua, non si va a gironzolare nella terra di nessuno durante un bombardamento».2 E i colleghi autisti americani di Schio giudicavano Hemingway “un ragazzo impulsivo e presuntuoso, che aveva bisogno di azione e voleva partecipare alla lotta”.3

Giovanni Cecchin, studioso di Hemingway e della Grande Guerra, definisce quell’episodio “il fattaccio”.

La relazione ufficiale della Croce Rossa dice che: «Hemingway è stato colpito da un proiettile di mortaio da trincea atterratogli a circa un metro di distanza, uccidendo un soldato che si trovava tra lui e il punto di esplosione e ferendone altri». Non riferisce alcun atto eroico compiuto da chicchessia! Ma allora perché la medaglia al valore?

L’intervento degli americani con l’apporto di uomini, armi, mezzi e beni di conforto,  aveva capovolto le sorti della guerra; il ferimento di un americano non poteva passare inosservato!

Il diciannovenne Hemingway, giovane di bella presenza, esuberante ed irrequieto, imprudente, sarebbe poi diventato scrittore di fama mondiale e premio Nobel; amante della vita, del cibo, del vino e delle donne avrebbe in fondo conservato, anche successivamente, lo spirito del giovane  eccessivo ed un po’ spaccone. Sappiamo ora che il suo talento si è potuto successivamente esprimere solo grazie al sacrificio di un giovane soldato italiano, Fedele Temperini, che gli salvò involontariamente la vita.

Vincenzino Di Nardo

 

Conti M.: Cominciando da Ursula, Scoop storico-letterari, Panorama, 8 settembre 1985, Anno XXIII, pp. 132-138

Cecchin G.: Hemingway: Americani e Volontariato in Italia nella Grande Guerra. Collezione Princeton, Bassano del Grappa, 1999, p. 119.

 Griffin P.: Along With Youth: Hemingway, the Early Years. Oxford, UK: Oxford UP, 1987, p.70.

Di Nardo V., Roos M.: Addio alle Armi: la figura del Cappellano, Ettore Moretti e Nick Nerone.

Ácoma, Rivista Internazionale di Studi Nordamericani , N° 15 – Anno XXV, p. 134-141.