«Te ne può ì», decètte Pambanucce | Amici di Capracotta

«Te ne può ì», decètte Pambanucce

Appena dopo la Seconda Guerra Mondiale, se vi era urgenza di confezionare nuovi vestiti soprattutto femminili, si ricorreva alle tante sartine che spesso venivano a lavorare in casa. Per i rari vestiti maschili destinati ad essere indossati nelle grandi occasioni ci si rivolgeva alle varie sartorie o a qualche parente  sarto. E così per il vestitino della mia prima comunione, essendosi già trasferito a Roma Zio Mario Di Tanna fratello di mia madre, fui mandato da Pambanucce (Panfilo Antonio  Monaco) che lavorava a San Giovanni.

Sia io che tutti i miei coetanei eravamo  sempre in imbarazzo durante le prove: non indovinavamo mai quando iniziavano né quando finivano né cosa fare nel frattempo che eravamo nella sartoria. E poiché nessun bambino stava lì come una statuina , dopo un poco passavamo il tempo giocando con i fili e con le pezze di stoffa, toccando tutto fino al momento del proprio turno; è facilmente immaginabile come il mastro e i lavoranti fossero distratti dalla nostra presenza e come la bottega fosse messa sottosopra!

E Pambanucce, quando aveva finito di provare, ci diceva spazientito: «Te ne può  ì» (te ne puoi andare). E questo suo dire diventò popolare per far capire a chi ti stava vicino che era ora di sloggiare.

Domenico Di Nucci