Don Giacinto Conti, farmacista, coltivava un orto sotto la cantina di Zia Assunta Catalano. Mio nonno Domenico (Minghe de Carmenone) era un cliente abituale della cantina e lì si recava ad una cert’ora del tardo pomeriggio per gustare un bicchiere di vino in compagnia dei suoi umili e fidati amici tra i quali Caitane Latine con i figli Menghétte e Giuanne, il cognato Michelangelo Di Bucci, Luciano Sozio parente e compare.
Anche mio nonno coltivava un orto sotto casa alla Fundione. Entrambi avevano piantato alberi di lécene (susine gialle), di vangroghe, (susine verdi dorate), di cascaville (piccole susine verdi), di noci, peri e meli. Coltivavano anche insalata, sedano, ceci, piselli, fagioli e taratuffele (Elianthus tuberosus detti anche Tupinambur). Mio nonno tentò perfino di coltivare l’uva a Capracotta piantando una vite con caratteristiche foglie frastagliate che logicamente dava uva mai matura.
Ogni tanto i due ortolani si scambiavano notizie e quant’altro sulle tecniche di coltivazione, in una sana e non sempre amichevole competizione agricola. Una sera don Giacinto sapendo che era da Zia Assunta, lo cercò nella cantina e gli regalò tre belle e grosse noci (i cosiddetti cocchi) consigliandogli di piantarle, facendo una buca ben profonda con letame sul fondo e terriccio sciolto per favorire la crescita. Mio nonno accettò ben volentieri il dono e tornato a casa pensò bene di esaminare a fondo quelle belle noci: aveva avuto qualche dubbio perché le sentiva troppo leggere e si insospettì, conoscendo anche la vena burlesca che ogni tanto animava don Giacinto. Scoprì che le noci erano vuote e che il caro don Giacinto aveva con maestria ricongiunto i gusci con la colla. Non fece trapelare la notizia che aveva scoperto l’inganno anzi disse ai suoi amici che aveva piantato le noci, ben sapendo che alla prima occasione avrebbero informato del fatto don Giacinto.
Mio nonno si riforniva di sementi dalla rinomata ditta internazionale Fratelli Ingegnoli (ancora oggi attiva sul mercato) e tra le altre ordinò una bustina di un varietà di sedano gigante. Mise in giro la voce che aveva piantato e raccolto, come in effetti fece, una varietà di tal sedano, bello da vedersi e buono da consumare. Anzi ne inviò una “testa” anche a don Giacinto. Don Giacinto non pensò minimamente che quel dono facesse parte di un articolato piano per ricambiare lo scherzo e quando chiese ad un amico comune di procurargli i semi di quel sedano gigante, chiedendoli a mio nonno, cadde in trappola.
Infatti mio nonno aveva già cercato tra le varie piante selvatiche che crescevano a Capracotta quella con i semi più simili ai semi del sedano gigante: li mise nella bustina originale e li mandò all’amico burlone. Don Giacinto seguì alla lettera le indicazioni dei Fratelli Ingegnoli e per un paio di mesi non fece altro che sarchiare, innaffiare, estirpare erbacce e concimare un angolo del suo orto attendendo con impazienza la crescita delle piantine. Crebbero belle e vigorose. Solo alla fine si accorse dell’inganno e si ritrovò, dopo tanto lavoro, una rigogliosissima coltivazione di un’ombrellifera che a Capracotta è chiamata “Cervegliuole!”. Entrambi presero lo scherzo con filosofia e, quando si incontravano, si salutavano con un leggero e beffardo sorriso.
Domenico Di Nucci