La vecchia campana di Roio del Sangro
Cassino, Pietrabbondante, Roio del Sangro e Solofra. Cosa hanno in comune queste cittadine con Capracotta? Una campana. O meglio il suo autore. Nel senso che gli artisti che, dalla fine del Quattrocento a quella del Cinquecento, hanno forgiato questo prezioso strumento musicale nei quattro centri del Mezzogiorno erano tutti originari di Capracotta. Siamo in un periodo storico molto importante per la cittadina altomolisana: quello della dominazione iberica: aragonese prima (1442-1501) e spagnola poi (1501-1707). Le numerazioni dei fuochi ci hanno tramandato importanti dati fiscali e demografici sulla popolazione. Capracotta, all’inizio della dominazione aragonese, è un borgo medievale dalle stradine strette, delimitato da mura e difeso da torri, una struttura urbanistica che risente delle influenze costruttive normanno- angioine sull’impianto radiale di età longobarda. La riorganizzazione dell’industria del bestiame ed il commercio della lana portano un certo benessere nella comunità. La popolazione aumenta, l’abitato cresce per dimensioni. Tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, all’esterno del perimetro cittadino sorgono nuovi edifici residenziali ed iniziano a distinguersi per importanza le prime famiglie. Proprio in questo clima di crescita generale, si sviluppa un artigianato di altissima qualità: quello dei mastri campanari.
Nel 1481 Donato Antonio Perillo realizza una delle cinque campane del campanile della chiesa di san Germano a Cassino, denominata “Lo Squillone”. A questa campana la tradizione attribuisce un miracolo. Nei primi anni del Settecento, nel suo giro di predicazioni, passa da quelle parti il francescano san Leonardo da Porto Maurizio. È notte fonda: prima di giungere in città il religioso è preceduto dal suono dello Squillone. Richiamato dallo scampanare, insolito per quell’ora il popolo accorre in piazza e grande è lo stupore nel constatare che la campana suona miracolosamente da sola. Nel frattempo, giunge in città l’umile fraticello con la bisaccia a tracolla. Questi, meravigliato della presenza di tanta gente a quell’ora con un gesto della mano ferma la campana e inizia la sua predicazione. Il sacrestano del tempo notava che la fune era misteriosamente attorcigliata attorno al campanone. Lo Squillone oggi non esiste più. È stato rifuso tra il 1940 e il 1941 dopo che un gruppo di facinorosi, nella notte dell’ultimo di Carnevale, aveva scardinato la porta del campanile ed era salito a suonare il campanone tanto a lungo da farlo rimanere lesionato. Nel 1944, in seguito ai bombardamenti, lo Squillone si è distaccato dal suo supporto piombando intatto su una lamia sottostante e rimanendo sepolto sotto un cumulo di macerie. Lo ritrova il reverendo Francesco Varone che, tuttavia, non riesce a metterlo in salvo: alcuni spregiudicati lo frantumano con dell’esplosivo per ricavarne bronzo da vendere.
Nel 1566, Nicola da Capracotta costruisce la vecchia campana della chiesa parrocchiale di Roio del Sangro. Oggi, questa campana non è più in funzione ma esiste ancora: è esposta nell’atrio della chiesa. L’autore è ricordato nella Numerazione dei fuochi di Capracotta del 1561 col titolo di “Magnificus”, riservato a personalità eminenti. Secondo un documento del 1686, Donato Antonio Petrillo di Capracotta è l’autore, nel 1571, della “campana vecchia” della chiesa di santa Maria Assunta a Pietrabbondante. Infine, sappiamo che un nobile solofrano, Pietro Giacomo Pandolfelli dona alla chiesa di Santa Croce una campana fusa da Donato di Capracotta. Anche in questo caso la chiesa non esiste più. La campana, però, è conservata sotto una teca di vetro e attende alcuni interventi di restauro.
Purtroppo, non sappiamo se, tra questi artigiani, ci fossero vincoli di parentela visto che all’epoca le arti e le professioni si trasmettevano generalmente di padre in figlio: due mastri hanno soltanto il nome, altri due invece nome e cognome, peraltro molto simili pur se attivi a distanza di un secolo. Non abbiamo documenti in mano per avanzare qualche ipotesi. Va però sottolineata una curiosità. Le forme Perillo/Petrillo generalmente sono riconducibili al personale Pietro, probabile capostipite della famiglia medesima. Ma Perillo è, nella lingua di Cicerone, il lavoratore di metalli nell’antica Atene. Che coincidenza! Se questa interpretazione fosse giusta, ci troveremmo, allora, di fronte alla prima attestazione di un cognome capracottese derivante da un’attività professionale. Per un altro, Paglione, dobbiamo aspettare un’altra ottantina d’anni.
Francesco Di Rienzo