Il Verrino
Avevo 4 anni e abitavamo da Bacchettone perché la casa alla Fundeione era ancora in ricostruzione. I miei genitori mi comprarono un paio di sandaletti estivi, con la suola di gomma e la tomaia di pezza colorata. Quello fu il mio primo paio di scarpe e, essendo abituato a camminare scalzo, andavo in giro tenendole in mano. Giocando giocando, alla fine del pomeriggio tornai a casa con una sola scarpetta e a nulla valsero le ricerche di mio padre per ritrovarla.
Per altri quattro anni utilizzai le scarpe dimesse da Zio Emilio, poi, a otto anni giunse il momento di ordinare a Pasqualine Garofane (Pasquale Di Tanna), mastro calzolaio capracottese che lavorava in Agnone, un paio di scarpe per me e per mio padre. Il mastro le aveva confezionate talmente a regola d’arte che le espose a una fiera dell’artigianato a Campobasso e vinse il primo premio.
In piena estate il grande avvenimento: un bel paio de zappettune (scarponacci), a punta quadra, con morbida tomaia, creiuole (strisce di pelle di cane) come leacci (stringhe) e robuste cendrélle (chiodi con la testa semisferica) sulla pianta e sul tacco.
Appena le provai ebbi l’impressione che il piede ci ballasse dentro. Mia madre mi spiegò che normalmente ai bambini le scarpe nuove si compravano più grandi di qualche numero perché crescendo… Quelle scarpe erano ottime per camminare su terra e sulla neve, pessime sulle pietre e sul ghiaccio perché scivolavano come saponette. Uno straccetto in punta e le doppie calze contribuirono per molto tempo a renderle più comode.
Un giorno, con Zi Emiglie ed altri, arrivammo fino alle sorgenti di Verrino in cerca de ravascine (ribes grossularia). Avevo ai piedi l’unico paio di scarpe che possedevo. Al ritorno salimmo lungo il fosso dell’acqua piovana e su quei lastroni di pietra feci una fatica d’inferno: non mi reggevo letteralmente in piedi, facevo un passo avanti e giù scivolavo indietro. Ogni tanto Zi Emiglie mi spingeva da dietro e mi incitava con un ngricca zezì (forza, non arrenderti) che da quel momento entrò nel nostro linguaggio quotidiano quando dovevamo spronare qualcuno incitandolo a non mollare.
Domenico Di Nucci