Con la terribile epidemia di peste de 1656 la popolazione di Capracotta fu falcidiata: i morti registrati furono 1126 e i fuochi, cioè le famiglie, passarono da 280 a 150. Un’epidemia del genere alterò certamente tutto il tessuto sociale, sconvolse le famiglie e ridimensionò tutte le attività. Anche la pastorizia, vera e propria industria capracottese, subì un tracollo al punto che nel 1660 le pecore registrate alla Dogana di Foggia furono solo 3030, tutte appartenenti alla Cappella di Santa Maria di Loreto, mentre nel 1639 erano 20120.
I sopravvissuti non si persero d’animo e già nel 1669 i fuochi aumentarono a 183. Anche le attività subirono un incremento che possiamo dedurre dall’andamento del numero di pecore registrate alla Dogana di Foggia che nel 1710 erano complessivamente 15110, cinque volte di più. Oltre alla Cappella della Madonna di Loreto, si erano aggiunti come proprietari il Duca, la Duchessa e Giuseppe Michelangelo del Baccaro. Inoltre dopo l’epidemia, si registrò anche una notevole immigrazione dai paesi vicini e molti immigrati si stabilirono definitivamente a Capracotta.
Non ci sono documenti dell’epoca che ci consentano di analizzare il rifiorire delle attività. Solo nel 1708, quando gli abitanti erano già 1383, c’è nel Libro delle Memorie un interessante documento che riguarda “coloro che fanno industria”. Questo singolare documento ha per oggetto l’imposizione all’allora magnifico sindaco da parte di 6 amministratori (diremmo oggi 6 consiglieri comunali) di far pagare la tassa per chi gestisce attività “come Pizzicaria, Merciaria, Spetiaria, Calcare, Scarperie, Ferrarie, Forno, ed ogn’altra industria che si farà in questo paese” secondo gli ordini ricevuti dalla Regia Camera. In caso contrario i firmatari minacciano lo stesso sindaco, chiedendo che sia lui a pagare tutto l’importo. L’importante documento prosegue con l’elenco delle persone che dovevano pagare la tassa e fra le “industrie” vi sono:
– due spetiarie (quasi equiparate alla farmacie di una volta): una molto importante e con un volume di affare notevole intestata a d’Andrea, mentre l’altra intestata a Campanelli pagava quasi la terza parte della prima;
– tre forni: quello intestato a Liberatore del Castello era il più tassato; gli altri due forni erano intestati a Sofia (senza citazione del cognome) e a Maria di Luca;
– un Maestro scarparo di Capracotta , Pietro Boccalupo, che pagava la terza parte di un “Botegaro d’Agnone anco scarparo”;
-quattro venditori di vino “a soma”: Nuntio di Francesco, Carmine di Tella, Amico Carnevale e Giulio Mendozzi che pagavano la stessa tassa.
Vi sono indicati altri che pagavano la tassa senza specificare il mestiere: Antonio di Tella (nel 1720 registrato nella Dogana di Foggia come Locato, con 2700 pecore); l’erede di Giuseppe di Lorenzo; Maestro Giulio e Francesco di Buccio; Maestro Antonio di Vito; Maestro Carlo Casciero; Maestro Domenico di Buccio e Maestro Marco di Buccio. Altri tassati erano i calcaruoli (artigiani che producevano calce viva per l’edilizia).
Firmarono questo documento Nazario Angelaccio, Giustiniano Caporiccio, Savino Ferraro, Giovanni Pizzelli, Liberatore del Castello (con segno di croce) e Martino Caraccio (con segno di croce). È da sottolineare che Liberatore del Castello era uno degli abitanti che faceva industria possedendo un forno, che doveva pagare la tassa e che, come firmatario, imponeva al sindaco di fargli pagare il dovuto; non solo ma era uno dei governanti che aveva quantificato la tassa!
Domenico Di Nucci