Credo che difficilmente Capracotta, nella sua storia, abbia dovuto affrontare una situazione tanto critica e disastrosa quanto quella degli anni che vanno dallo scoppio della prima guerra mondiale alla fine della seconda guerra mondiale. Già durante la prima guerra mondiale il tributo fornito alla patria fu pesante come testimoniano le cifre: di 4715 abitanti 663 soldati e sottufficiali e 27 ufficiali furono impegnati nelle azioni di guerra, cioè il 16, 5% della popolazione. Morirono in 65, mentre i feriti furono 47 e gli invalidi 40 tra cui mio nonno paterno di cui porto il nome. I decorati furono 11 e quasi ogni famiglia trascorse giorni non proprio allegri. Ma nonostante i lutti e le disgrazie, almeno la guerra ebbe scenari lontani.
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Durante la Seconda Guerra Mondiale perirono 12 capracottesi combattendo, 12 per scoppi di mine, 2 fucilati dai tedeschi; 11 furono i dispersi, 6 i feriti e 9 i mutilati. A questo tragico elenco, bisogna anche aggiungere che quasi tutte le case di Capracotta furono o incendiate o fatte saltare in aria con la dinamite; salvo 74 persone che furono autorizzate dagli inglesi a svernare a Capracotta, tutta la popolazione fu costretta allo sfollamento.
Come bilancio fu davvero drammatico se si pensa che dal tempo della terza guerra sannitica, mai più nella storia della nostra zona si era abbattuta una calamità di tali proporzioni investendo pesantemente le popolazioni residenti. Forse solo l’epidemia di peste del 1656 fu altrettanto tragica.
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Anche se da sempre i suoi abitanti erano stati costretti a confrontarsi con inverni lunghi e rigidi, con terre poco produttive e con difficoltà di ogni genere nemmeno i più pessimisti avrebbero potuto immaginare quanti e quali sofferenze un’intera popolazione si sarebbe trovata ad affrontare a causa di una guerra che sembrava, all’inizio, tanto lontana.
In quel periodo, poche erano le famiglie di ricchi e possidenti; quasi tutta la popolazione era dedita all’agricoltura ed alla pastorizia con gli stessi problemi di miseria diffusa; ci mancava la guerra ad aggravare la situazione con le tante difficoltà, con l’ammasso obbligatorio del grano e del rame per giunta non sempre gestito da incaricati onesti.
In una di queste occasioni, in Piazza a Capracotta tutti erano obbligati a consegnare un certo quantitativo di grano; obbediente anche se non contenta, ogni famiglia si assoggettò alla legge. Prima di partire dalla Fundeione (zona così detta per la presenza di una grossa sorgente e ubicazione della casa paterna dove abitavamo), mio padre pesò accuratamente il grano con la statéla (bilancia tipica dei carbonai) che usava per pesare i carboni nei boschi.
In Piazza però il peso non corrispondeva e, convinto della disonestà degli incaricati, li aggredì e volò anche qualche pugno… i disonesti dovettero i precipitosamente fuggire!
Domenico Di Nucci
Dal volume “I Fiori del Paradiso. Antologia di fatti e ricordi, storie, storielle, usi e costumi di un paese e di una famiglia”, Di Nucci, Agnone, 2005