Lo stemma dei Baccari di Capracotta sulla lapide funeraria del vescovo Nunzio nella chiesa dello Spirito Santo dei Napoletani a Roma
La famiglia Baccari arriva a Capracotta verso la fine del XV secolo. Si stabilisce nel quartiere nuovo di Sant’Antonio di Padova e Santa Maria delle Grazie sorto a mezzogiorno e a occidente del nucleo originario della Terra Vecchia costruendo quell’ampio palazzo trasformato nel corso del tempo in Asilo e, più recentemente, in Residenza per Anziani. Il primo esponente noto di questa famiglia, però, ha un altro cognome: Rosa. Si tratta di quel Nicola Rosa che il 13 ottobre del 1495, in qualità di “camerarius” (amministratore del patrimonio comunale), sottoscrive nella Chiesa Madre di Capracotta, insieme ad altri amministratori e notabili della comunità cittadina del tempo, un accordo con una delegazione istituzionale della città regia di Agnone per garantire la protezione della vita e dei beni di tutti i compaesani di fronte alla minaccia di aggressione militare negli anni dello scontro armato tra Aragonesi e Francesi per il predominio sull’Italia Meridionale. Nicola Rosa è citato in diversi documenti di epoca aragonese e successiva. Nel 1494, Isaia e Nicola Rosa succedono al fratello Domenico nel feudo de “Li Staffoli”. Altri documenti, relativi ai suoi discendenti, aggiungono al suo nome la formula «del Baccaro/de lo Baccaro». Dai Cedolari, si evince che nel 1525 Nicola de Rosa è tassato per la metà del feudo di San Mauro nel territorio di Vastogirardi. Nel 1552 è tassato il figlio di Nicola, Quintiliano del Baccaro (alias de Rosa). Infine, nel 1573, è tassata una Altavilla de lo Baccaro, alias de Cola de Rosa (cioè di Nicola di Rosa). Tale confusione tra il cognome Rosa e quello Baccari persiste nei documenti di Capracotta fino a epoca piuttosto tarda tanto è vero che, nell’elenco dei «confirmati» del “Catalogus Ominum Rerum Memorabilum iuxta Rituale Romanum” custodito nell’archivio della Chiesa Madre, alla data del 29 settembre del 1660 una figlia di Francesco Rosa e Caramanda de Gabriele è registrata con il cognome «de Baccarÿs».
Nella Numerazione dei Fuochi del 1561, sono citati Paolo «de Baccaro», il magnifico Bernardino «Baccarius» e Giovanni «de Baccaro». Nel 1656, i Baccari sono una delle famiglie più colpite dall’epidemia di peste che, in quaranta giorni, uccide a Capracotta 1126 abitanti su circa duemila residenti. Muoiono 32 Baccari. Se esaminiamo attentamente i loro nomi, possiamo cogliere ulteriori informazioni su questa famiglia. Tra questi, compaiono soprattutto una Marfisa e un Ruggiero, che richiamano i gemelli guerrieri dell’Orlando Innamorato di Matteo Maria Boiardo e dell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, segno evidente dell’elevato livello culturale oltre che sociale di questa famiglia. Da un punto di vista economico, i Baccari traggono la loro ricchezza dalla transumanza per la quale ricoprono incarichi amministrativi di rilievo nella Regia Dogana delle pecore, tra cui quello di sindaco generale che riescono a tramandarsi di padre in figlio per tre generazioni: Filippo, Giacomo Antonio (eletto nel 1669) e l’altro Filippo, rispettivamente nipote e figlio dei due precedenti. L’ultimo Filippo, definito «una persona onesta e ben nota e cugino del viceregente di Roma» (Nunzio Baccari, ndr) nei documenti della Dogana del XVIII secolo, viene considerato addirittura «fratello» di quest’ultimo dal notaio Pietro de Stephanis (1807–1894) nella sua monografia sulla cittadina abruzzese di Prezza per l’opera di Filippo Cirelli “Il Regno delle Due Sicilie descritto e illustrato”. In realtà Filippo è il nipote di Nunzio, Francesco e Prospero, fratelli del padre Giacomo Antonio. Nella Numerazione dei Fuochi del 1732, c’è chiaramente scritto che «tiene il detto Filippo due zii, uno chiamato D. Nunzio Baccari, che è Vescovo di Buiano, e Viceregente in Roma, e l’altro D. Francesco Baccari, che è Vescovo di Telese», con i quali condivide la proprietà dell’orto e del palazzo di famiglia di «membri 31» nella contrada di Sant’Antonio di Padova e Santa Maria delle Grazie dove abita con la moglie Barbara Iusii di Introdacqua e i figli.
Secondo una leggenda, i Baccari e l’altra importante famiglia cittadina dei Di Maio sarebbero stati costretti in epoca imprecisata ad abbandonare Capracotta per il loro forte antagonismo da un altrettanto imprecisato ente superiore. Si racconta anche che, sulla via dell’esilio, i membri delle due famiglie si sarebbero incontrati presso una fontana del Molise che, dopo la loro riappacificazione tra lacrime e dolore, avesse preso il nome di “Fontana del Pianto”. I Baccari si sarebbero trasferiti a Bonefro e i Di Maio a Deliceto mantenendo intatto nei secoli successivi il loro prestigio e decoro.
In verità, i documenti raccontano altro. Il dottore in legge Giuseppe Di Maio (1660-1708) sposa l’11 giugno del 1684 «Angela del Baccaro» nella Chiesa Madre di Capracotta. Il matrimonio è celebrato dall’arciprete Pietro Paolo Carfagna. I testimoni sono Leone d’Andrea e Marcello Campanelli. Di Maio, Baccari, Carfagna, D’Andrea e Campanelli: nell’atto sono presenti quasi tutte le famiglie della nobiltà civile cittadina del tempo. Dall’unione, nascono cinque figli: due maschi e tre femmine. Dopo la morte della moglie, Giuseppe Di Maio rinchiude nel monastero di Santa Chiara ad Agnone due figlie (la terza andrà in sposa a Errico d’Andrea) e si trasferisce in Puglia come governatore della terra di Deliceto agli inizi del XVIII secolo. Qui, sposa la nobildonna locale Chiara Aprotino dalla quale ha un figlio: Innocenzo. Nell’anno 1700, Giuseppe Di Maio possiede 5563 pecore: un capitale enorme per quell’epoca. A Capracotta, come esponente della famiglia, resta solo il fratello minore Domenic’Antonio. Sposa Angela Mosca. Hanno tre figli: Corrado, Giovanni e Leandra. Nella Numerazione dei Fuochi del 1732, Domenic’Antonio e Corrado sono deceduti. Leandra ha sposato Gerardo Baccari e ha lasciato la casa paterna. Mentre Giovanni, ultimo figlio maschio, è stato ordinato sacerdote nel 1731 dal vescovo di Larino, Mons. Giovanni Andrea Tria. Nello Stato delle Anime del 1758, l’unico Di Maio registrato è proprio il reverendo. La famiglia Di Maio, quindi, non solo è strettamente imparentata con i Baccari ma si estingue a Capracotta nella seconda metà del XVIII secolo per assenza di eredi maschi.
Il maestoso Palazzo Baccari a Bonefro accanto alla chiesa di Santa Maria delle Rose. Foto: Luigi Venditti
Per quanto riguarda i Baccari, intorno alla metà del XVIII secolo, sono presenti contestualmente sia a Capracotta sia a Bonefro smentendo categoricamente qualsiasi ipotesi di trasferimento in massa dalla prima alla seconda cittadina. Nel Catasto Onciario di Bonefro del 1743, è registrato il magnifico Giuseppe Baccari, 36 anni, massaro. Abita nel grande palazzo di famiglia sotto il castello, è vedovo e ha quattro figli piccoli: Arcangelo (7 anni), Matteo (6), Vincenzo (5) e Pietro Paolo (4). Lo zio Giovanni è l’arciprete della Chiesa Madre di Bonefro e abate di Sant’Angelo. Ha un fratello sacerdote (Giacomo) e un altro chierico (Beniamino). Ma, soprattutto, può vantare un’ascendenza diretta accertata a Bonefro almeno dall’anno 1602, data di nascita di un Matteo Baccari, e una discendenza “bonefrana” altrettanto certificata fino ai giorni nostri. Nel Catasto Onciario di Capracotta, anch’esso del 1743, sono annotate due famiglie Baccari: quella di Filippo, nipote dei vescovi Nunzio e Francesco, e l’altra di Gerardo, marito di Leandra Di Maio. Nello Stato delle Anime del 1758, l’unica famiglia Baccari è quella di Gerardo. Filippo e la sua famiglia si sono trasferiti a Prezza, in Abruzzo, per gestire l’eredità del suocero Simone Iusii di Introdacqua. Gerardo vive con la moglie Leandra Di Maio e i cinque figli: Cassilda, Francesco Saverio, Ignazio, Eliodora e Domenico. È l’ultimo atto pubblico in cui compare questa famiglia a Capracotta. Nell’assenza di altra documentazione, non è possibile capire cosa sia accaduto a Gerardo e ai suoi figli. Non sappiamo se lui o qualche suo figlio si sia spostato a Bonefro. Ma, anche se così fosse, avrebbero tutt’al più potuto generare un proprio ramo “capracottese” di discendenti nel centro bassomolisano accanto a quello “storico” dei Baccari locali.
Se poi analizziamo meglio le vicende storiche di Bonefro, e in primo luogo quelle della famiglia Baccari, sembra che la leggenda “capracottese” sia stata modellata sullo scontro avvenuto tra la famiglia Baccari e i Rossi tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo. Siamo nel fatidico anno 1799, quello della proclamazione della Repubblica Napoletana e della reazione borbonica. A Bonefro, si sfidano i Rossi “giacobini” e i Baccari “realisti”. Il conflitto continua con particolare violenza nel cosiddetto “Decennio Francese”, fino a quando, il 17 settembre del 1809, il generale di brigata de Gambs riesce a far sottoscrivere un compromesso dalle parti: una avrebbe comprato i beni dell’altra, che si sarebbe dovuta trasferire altrove. Così, i Baccari restano a Bonefro; i Rossi vanno via.
Secondo gli appunti di don Giuseppe Baccari di Bonefro (1877-1975), i Baccari apparterrebbero tutti a un’unica famiglia di origine bizantina. Il cognome deriverebbe dai ramoscelli verdi d’olivo con bacche d’oro presenti nello stemma gentilizio. I Baccari più antichi sono attestati nei territori bizantini del Sud Italia: il Ducato di Napoli, il Ducato di Amalfi, il Ducato di Gaeta, il Ducato Romano, il “Thema Langobardia” (cioé la Puglia), il “Thema Calabria” e anche Venezia. Nei regesti delle cancellerie angioine e aragonesi, ricoprono prestigiosi incarichi amministrativi e militari nel Regno di Napoli. Nel 1302, un Pietro Baccari è primicerio di Castello, notaio e cancelliere della Corte Ducale a Venezia. Nel 1335, Pietro Baccario è vescovo di Conversano. Nel 1345, Matteo de Baccariis è giudice palatino e collaboratore e ambasciatore del tribuno Cola di Rienzo a Roma. Nel 1377, Roberto Baccari è vescovo di Calvi. Nel 1499, Luigi Baccari è podestà di Voghera per volere del principe de Ligny. Nel 1517, Tiburzio Baccari è uditore generale del cardinal Alessandro Farnese. Nel XVIII secolo, Giuseppe Baccari è tenente colonnello al servizio dello zar Pietro il Grande e partecipa alla congiura del principe ereditario Aleksej Petrovič contro il padre. Altri Baccari sono rintracciabili ad Agnone, Amantea, Arce, Arpino, Benevento, Bisignano, Bojano, Bonefro, Brindisi, Capracotta, Foggia, Ischia, Lendinara, Manfredonia, Melfi, Napoli, Paola, Roma, Sermoneta, Sulmona e Tramonti. I Baccari sono, poi, iscritti al patriziato di Altamura, Castellammare di Stabia, Monteleone (oggi Vibo Valentia), Sessa e Velletri.
Purtroppo, non esistono le genealogie di tutte le famiglie Baccari disseminate per l’Italia per dimostrarne l’appartenenza a un’unica Casata. Tuttavia, possiamo avanzare qualche ipotesi in questo senso sulla base di due elementi comuni: la particolare devozione allo Spirito Santo e alla Madonna delle Grazie e una forte somiglianza del blasone familiare.
I Baccari di Bonefro, nel 1744, hanno un altare dedicato allo Spirito Santo nella Chiesa Madre cittadina. Anche a Capracotta, nel 1671, i Baccari hanno un altare intitolato allo Spirito Santo nella Chiesa Madre. I vescovi Nunzio e Francesco Baccari di Capracotta fanno parte dell’Arciconfraternita dello Spirito Santo dei Napoletani a Roma. Il vescovo Francesco Baccari consacra nel 1726 allo Spirito Santo (e a Santa Maria Christi) la chiesa del monastero delle Clarisse e alla Madonna delle Grazie (1725) la chiesa del convento dei Cappuccini a Cerreto Sannita. A Bonefro, i Baccari contribuiscono a costruire il convento di Santa Maria delle Grazie mentre quelli di Capracotta, a loro volta, edificano, nel 1607, la chiesa di Santa Maria delle Grazie vicino al palazzo di famiglia.
Passando agli stemmi, Giovan Battista Crollalanza così descrive l’arma dei Baccari di Velletri nel suo “Dizionario storico-blasonico”: «D’azzurro, alla fascia d’oro sormontata da un toro passante al naturale, ed accompagnata in punta da vari ramoscelli di verde caricati di bacche». I Baccari di Bonefro, Capracotta, Roma e Velletri hanno tutti in comune l’immagine del toro passante al naturale. Lo stemma di Bonefro ha tre stelle, quelli di Capracotta e Roma ne hanno una sola a punte plurime. Bonefro e Velletri condividono le bacche e il colore azzurro. Nello stemma del vescovo capracottese Francesco Baccari, il fondo è più scuro: blu.
Gli stemmi dei Baccari di Bonefro e del vescovo capracottese Francesco Baccari
Lo stemma dei Baccari di Roma e quello dei Baccari di Velletri, riprodotto digitalmente
Nonostante alcune leggere differenze, dunque, questi stemmi sono tutti molto simili ed è veramente difficile immaginare che, in epoche in cui la nobiltà era uno status privilegiato riconosciuto ufficialmente dall’autorità che si esprimeva anche attraverso un proprio blasone, famiglie omonime possano aver avuto uno stemma quasi identico senza condividere al tempo stesso vincoli di sangue. È legittimo pensare che, come del resto accade in tanti altri casi, le varianti possano essere sorte nel corso del tempo per identificare (e differenziare) meglio i diversi rami della medesima Casata.
Francesco Di Rienzo
Fonte: