L’antica Casa Castiglione sull’attuale Via Carfagna
Da documenti famigliari, sappiamo che intorno al Cinquecento un tale Giovanni Castiglione, perseguitato politico, fuggì dalle Marche con molte ricchezze e si sistemò a Capracotta per trovare sicurezza in questo alto e isolato monte. Costruì, all’ingresso della Terra Vecchia, una parte dell’attuale casa di famiglia col sottoposto giardino sulle rupi spendendo 500 ducati, somma enorme per l’epoca. Non si hanno altre notizie precise sugli immediati discendenti di Giovanni per mancanza di documenti. Infatti, i primi registri parrocchiali sono del 1644 e le numerazioni dei fuochi conservate nell’Archivio di Stato di Napoli andarono completamente distrutte durante gli avvenimenti della Seconda Guerra Mondiale.
Nei registri della Dogana di Foggia, tra i Locati, cioè coloro che erano autorizzati a spostare le loro greggi lungo i tratturi per svernare nei pascoli del Tavoliere della Puglia, troviamo nel 1639 Vincenzo Castiglione e dal 1720 al 1740 Giovanni Castiglione. Durante l’epidemia di Peste del 1656, il Casato rischiò di scomparire: morirono 10 componenti della famiglia e si salvò un unico maschio di nome Salvator.
Per quanto riguarda la farmacia, la famiglia Castiglione conserva tuttora un interessante documento storico del 1808 dell’allora re di Napoli: Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone. Il sovrano francese autorizzava Domenico Castiglione di Capracotta a esercitare il mestiere di “speziale di medicina”, così come si chiamava allora il farmacista.
Arrivando a tempi a noi più vicini, l’esponente più popolare e illustre della famiglia Castiglione è indubbiamente Filiberto Castiglione (nella foto in alto, il primo da destra): farmacista, come da tradizione famigliare, e podestà di Capracotta. Filiberto nacque a Capracotta il 19 dicembre del 1889 da Costantino (25.12.1856 – 08.05.1943) e Vittoria Falconi (02.09.1864 – 22.11.1892). Morì il 18 aprile 1973 a Campobasso. Frequentò il Liceo a Sessa Aurunca (Caserta). Conseguì la laurea in chimica farmaceutica presso l’Università degli Studi di Roma nel 1913. Iniziò l’attività professionale presso la farmacia dell’ospedale di Verona.
Prese parte alla Prima Guerra Mondiale e fu di stanza nella sanità militare ad Ancona (1915 – 1916) e a Chieti (1916 – 1917), sul fronte veneto nell’ospedale da campo “057” dal 1917 al 1918. Terminata la guerra tornò a Capracotta dove esercitò presso la farmacia fino all’arrivo degli inglesi nel novembre del 1943. Nella sua farmacia preparava, come si usava all’epoca, sciroppi, pomate, suturava ferite, medicava tutti con abilità, altruismo e generosità. Così lo ricorda ancora oggi l’avvocato Giannino Paglione: «Chimico farmacista, con le sue intuizioni galeniche, riusciva a prestare conforto a chi ne aveva bisogno. Era amico fraterno di mio padre (dr. Francesco Paglione, ndr) e ricordo le tante telefonate da Busso a Capracotta, e viceversa, per reciproche consultazioni in casi complessi».
Podestà negli anni Trenta e Quaranta e durante l’occupazione tedesca, riuscì, inizialmente, a conciliare le esigenze degli occupanti con quelle della popolazione. Salvò dalla distruzione tedesca la Piazza Stanislao Falconi e il Palazzo Comunale e, malgrado il pericolo, con i funzionari Achille e Gustavo Conti, Michele Ianiro, Arnaldo Sammarone, con il messo Donato Carnevale e la guardia municipale Antonio Sammarone, riuscì a mettere al sicuro ciò che si poteva dei documenti e dei registri comunali, scaraventandoli dalle finestre. La sua abitazione non venne distrutta perché sede della farmacia.
Sempre in prima fila con don Leopoldo Conti, don Carmelo Sciullo, il suo amico radiologo Mainardo Tomiselli ed altri volontari per avvisare i capracottesi dei pericoli incombenti: reclutamento degli uomini, distruzione ecc… Da testimonianze dirette sappiamo che nascose diversi giovani nel salotto della sua casa, con balcone che dava sulle “Ripe”, mascherando la porta con un armadio. In caso di pericolo un particolare segnale avvisava i rifugiati che si calavano con robuste funi nella parte posteriore della casa per fuggire o ripararsi negli anfratti dei “Ritagli”.
Quando giunsero gli Inglesi, nel novembre 1943, il comando alleato stabilì il trasferimento del dr. Filiberto in un centro di raccolta di esponenti fascisti in Padula (Salerno): decisione quanto mai non giustificata da alcuna necessità perché il dr. Castiglione, che non aveva mai fatto del male a nessuno, non costituiva certo un pericolo per il nuovo esercito di occupazione. Ciò è anche ribadito da don Carmelo Sciullo che tra l’altro dice che «don Filiberto fu caricato su un camion come uno che aveva fatto del male, quando invece aveva tanto lavorato nel periodo così triste di Capracotta, e anche prima, a favore della popolazione; non gli fu permesso neanche di salutare la famiglia e la moglie». Vi fu una raccolte di firme per chiedere la revoca del provvedimento di internamento: questa iniziativa aggravò la sua situazione gli inglesi si convinsero che era un personaggio molto influente e quindi pericoloso.
Nel 1945, quando tornò da Padula, lavorò nella farmacia di Baranello fino a quando, nel 1953, vincitore di concorso, ne aprì una nuova a Campobasso che prestò, ininterrottamente, servizio notturno per parecchi anni ed è ora condotta dal nipote Filiberto Castiglione. Fu amato e apprezzato a Baranello come a Campobasso ove continuò a preparare cialdini e prodotti galenici con i figlioli fino alla bella età di 80 anni, quando cominciarono a venirgli meno le forze.
Fu presidente dell’Ordine dei Farmacisti di Campobasso per diversi anni. Si spense serenamente e dolcemente, così come aveva vissuto, ad 83 anni, il 18 aprile 1973 nella sua casa di Campobasso. Il funerale si tenne a Capracotta. Furono in tanti a seguire il suo feretro, in una luminosa giornata di primavera, dalla Chiesa madre “S. Maria in cielo Assunta” al cimitero ove ora riposa, con i suoi cari, nel cappellone degli Arcangeli.
Il quotidiano “Il Tempo”, nella Cronaca del Molise del 29 aprile del 1973, dieci giorni dopo la sua morte, dedicò un lungo articolo a Filiberto Castiglione:
«A ricordare Filiberto Castiglione, a serbare memoria della sua esemplare esistenza saranno tanti e tanti molisani, sia quelli che con lui ebbero dimestichezza e confidenza familiare, sia quelli che per ragioni di lavoro avevano frequenti contatti, sia quelli che, pur conoscendolo appena, ne avvertirono ugualmente gli slanci umani del suo cuore, che si esprimeva subito nel tono spontaneo e cordiale del dialogo. E al tempo delle prime esperienze professionali nella capitale, e negli ospedaletti da campo mentre infuriava la guerra sulle terre del Veneto, e nella sua amatissima Capracotta, e nella ospitalità calda di Baranello ed infine a Campobasso, dove la stima e la simpatia divamparono presto intorno a lui. In queste tappe del suo cammino terreno Filiberto Castiglione, abituato ai generosi impulsi del carattere franco, leale, affrontò ogni situazione, accettò ogni responsabilità, specialmente quando il popolo gli affidò il compito di rappresentarlo. E quando fu necessario pagò di persona con la dignità di chi non ha nulla da rimproverarsi, ma è travolto dalla ineluttabilità degli eventi. Filiberto Castiglione ebbe inoltre il culto della famiglia, dell’amicizia, della solidarietà. In questo campo fu un esempio di sollecitudine e di generosità perché si curvò sulle sofferenze come un umile samaritano. Aver considerato per tutta la vita questo compito come una missione è titolo che da solo spiega il rimpianto con cui tanti hanno appreso, all’improvviso, che proprio nella settimana Santa Filiberto Castiglione aveva concluso cristianamente la sua esistenza terrena».
Domenico Di Nucci