M’è sɘmbratɘ dɘ calà còme rɘ viéndɘ, n’haiɘ cascatɘ, èppurɘ ….haiɘ arrɘviatɘ uldɘmɘ!

Plaudendo all’iniziativa di alcuni amici che, anche in questi giorni, si sono cimentati nel ricordo biografico di cari personaggi “capracottesi”, ho avuto anch’io l’dea di farlo:  certamente favorito dall’atmosfera irreale e dal silenzio che caratterizza, volenti o nolenti, questo periodo di isolamento cui ci costringe la pandemia in corso.

E’ assai verosimile, inoltre, che lo scorrere degli anni e l’età più avanzata vivacizzino la “memoria  remota” di fatti e di persone del nostro vissuto; è così che, in questi mesi di un inverno quanto mai anomalo, specie per la pressochè totale assenza di neve anche in montagna, il mio pensiero ed il mio commosso ricordo sono andati più spesso a mio cugino paterno Carmine Trotta: soprannominato nato “Ciaccione” forse per il suo peso corporeo superiore alla norma da bambino, ma poi sempre impropriamente rimastogli come simpatico nomignolo durante tutta la vita.

Nato a Capracotta nel 1923, era  figlio di zio Vincenzo e zia Michela (Serlenga) ed aveva circa 20 anni più di me; è scomparso prematuramente, in una fredda giornata di fine dicembre 1989 di cui non si è mai smorzata la tristezza;  ho ancora in mente le ultime  parole ascoltate da lui quando, solo qualche mese prima, aveva desiderato raggiungermi e confidarsi con me; abbracciandomi prima di ripartire, quasi a volersi giustificare (o per rassicurarmi ?), aveva detto sorridendo: “Sai Aldo, fra poco vorrei davvero tornare a sciare!”

Il mio grande rammarico è che, per tantissime ragioni, sono stati assai brevi e discontinui i nostri periodi di vicinanza fisica ad eccezione, per me, di quelli infantili, come dimostra la spensierata foto insieme a lui ed alla sua cara consorte Maria, presso la fonte “Brɘcciaia”, nell’estate 1953: io avevo allora solo 10 anni e Carmine costituiva per me una vera e propria “figura di riferimento”; mi avevano sempre raccontato, tra l’altro, della sua indicibile commozione per la scomparsa, a soli 14 mesi, della mia sorellina Antonietta: che io non avevo purtroppo conosciuto, ma tanto innamorata di lui e dell’armonica a bocca con cui era solito trastullarla affettuosamente.

Come per tanti miei coetanei e non solo, inoltre, è stata sempre grande la mia ammirazione nei suoi confronti come valentissimo sciatore, anzi come vero “campione” di questo sport; se si considera infatti il periodo storico, era difficile che qualcuno dei ragazzi di Capracotta si dedicasse così brillantemente allo Sci alpino: comprensibilmente assai meno conosciuto o praticato nel Molise e nelle regioni centro-meridionali, rispetto a quelle subalpine.

Fin dai suoi anni giovanili Carmine aveva partecipato a competizioni nazionali anche nel Nord-Italia conseguendo diversi, prestigiosi risultati: anche se, della prima di queste gare, raccontava con malcelato disappunto e simpatica ironia:

 

“Mi è parso di scendere come il vento, non sono  caduto, eppure…. sono arrivato ultimo!”

(M’è sɘmbratɘ dɘ calà còme rɘ viéndɘ, n’haiɘ cascatɘ, èppurɘ ….haiɘ arrɘviatɘ uldɘmɘ!)

Era certamente dipeso dalla sua ancor scarsa esperienza, ma anche dai modesti materiali a disposizione dei bravissimi falegnami di Capracotta per degli sci da discesa: e fa’ sorridere che, almeno a noi bambini  bastassero (si fa’ per dire!) delle strisce di cuoio inchiodate al posto degli “attacchi”; per non parlare poi, in anni più recenti, di altri indispensabili accessori come gli scarponi, a proposito dei quali non so davvero per quanti anni Carmine ne abbia utilizzato lo stesso, pur avveniristico paio: un vero capolavoro di difficoltà  e quindi di destrezza per indossarli rispetto alle attuali, superergonomiche calzature!

Negli stessi anni, grazie ad un prodigioso restauro artigianale, gli era stato possibile recuperare il primo paio di splendidi sci “Hichory”: che una malefica pietra sporgente dalla neve aveva danneggiato; ed è a questo punto che, rivivendone i particolari e persino gli odori, riaffiora in me uno dei ricordi più entusiasmanti: le sedute  che Carmine dedicava, con pazienza e maestria, ad un rito quasi “liturgico”: quello di rinnovarne spesso la necessaria laccatura con apposite quanto preziose e costose vernici.

Di queste ultime mi esaltava il magico riflesso di colore, in genere “rosso fuoco” che poi, al sole, gli sci avrebbero proiettato sulla neve ed io ero certo che, di quella lacca, avrebbero poi beneficiato anche i miei piccoli sci; Carmine, infatti, me ne lasciava sempre un po ma, per non mettermi in imbarazzo, soggiungeva: “ce n’è ancora abbastanza nel barattolino, ma non possiamo conservarla perchè si asciugherebbe tutta!”.

Solo per inciso  c’era anche chi, assai affettuosamente, mi procurava della famosa “cera di Cupra” da sovrapporre come preziosa “sciolina” e che faceva sognare “discese da primato”; nel nostro immaginario inseguivamo Carmine nei suoi eleganti volteggi, insieme ai suoi indimenticabili compagni: ad esempio il leggendario Marco Potena, Giovanni Paglione (“Pɘzzuchɘ”), Antonino Pettinicchio (Nɘnittɘ) Carmine Paglione (Giuvɘddì), e diversi altri che mi rammarico di non citare personalmente, ma che ho tutti nel cuore.

E chi non ricorda il loro personalissimo stile quando, con un acrobatico “arresto”, concludevano la corsa nel turbinio scintillante della neve?

Mi piace descrivere infine un simpaticissimo quadretto che mi è tornato in mente proprio nel recente periodo pasquale; anche a primavera infatti, a Capracotta erano possibili delle grosse nevicate ma, per nessuna ragione al mondo, Carmine ed i suoi amici avrebbero rinunciato al tradizionale banchetto  programmato a casa nostra per la festa del  Lunedì dell’Angelo.   

E rammento, in particolare, un giorno di Pasquetta  incantevole e assolato, ma con altissimi muri di neve fresca che il grande spartineve “Clipper” si era appena lasciato alle spalle; affacciandosi al davanzale della finestra, si godeva lo sconcertante spettacolo di alcune “vittime sacrificali”: per la verità, un po’ traballanti dopo il lauto banchetto, come il caro Nɘnittɘ Comegna  (figlio di Giustino il sagrestano). Esse venivano letteralmente catapultate, come arieti da combattimento, contro le pareti di neve: fino a lasciarvi l’impronta del loro viso paonazzo e tra le grida, forse più divertite che di rimprovero, di zia Michela.

Sono solo alcuni tra i più commoventi pensieri che mi riconducono  a mio cugino Carmine: ve ne sarebbero tanti altri che ad esempio, oltre la sfera familiare, riguardano quella professionale: all’inizio come “insegnante elementare” in una scuola rurale che raggiungeva d’inverno con gli sci da fondo e, mi risulta, persino inseguito minacciosamente dai lupi una volta; in seguito come stimatissimo “segretario comunale” dapprima a Carovilli ed in altre sedi del Molise ed infine a Falconara Marittima nelle Marche.    

A questo punto, concludendo in uno strano mix di mestizia  e di conforto al tempo stesso, sono come sopraffatto da queste memorie e dall’affettuoso rimpianto per mio cugino Carmine: che ora, come diversi dei nostri cari, è sepolto nella piccola Cappella del Cimitero a Capracotta; ogni volta che riesco a recarmici per una visita,  all’ingresso resto un po’ come trasognato: anche d’estate infatti, nel sorriso della sua foto riaffiora, incredibilmente, il  balenìo “rosso fuoco” dei  suoi vecchi sci.

Esco poi rasserenato, carissimo “Ciaccione”, al pensiero che continui a riposare con con zio Vincenzo, zia Michela, la piccola Antonietta e tutti…”all’ombra di monte Campo”; mi dispiace solo che ora la sua cima sia troppo spesso e troppo a lungo senza neve: cosa che, ne sono certo, sarebbe dispiaciuta moltissimo anche a te.

Ti vogliamo, in tantissimi, tanto, tanto bene.

Aldo Trotta