Sebbene del tutto inesperto dell’argomento, ho letto con grande interesse il contributo di Domenico Di Nucci del 14 Aprile scorso intitolato “Monte Sant’Angelo” e “Tre Portelli”: lo stesso interesse che dedico da tempo a tutti gli articoli pubblicati e diffusi dal sito “Amici di Capracotta” e che apprezzo sempre moltissimo.
D’altro canto non poteva che lusingarmi il tema delle nostre care montagne, da tutti conosciute come “Monte Campo” e “Monte Capraro”: di cui quest’ultima, a mio giudizio, è più affascinante, forse più “selvaggia” e perciò assai meno conosciuta e frequentata della prima; non avrei mai immaginato, tuttavia, che persistessero tante incertezze circa le loro denominazioni antiche come invece ci ricorda Domenico utilizzando, tra l’altro, una pregevole fonte cartografica del 1781.
Come lui infatti, non avevo mai sentito appellare il Monte Capraro come “Sant’Angelo” e mi sono davvero appassionato alla questione; perciò ho fatto ricorso ad una antica ed originale mappa del nostro territorio che mi sono ricordato di avere: inserita, che io sappia, nell’ Atlas Major della famiglia Blaeu, pubblicata ad Amsterdam nel 1664 e ricevuta in regalo tanti anni fa.
Si tratta di un documento, forse tra i più antichi del Molise, in cui compare l’inedita dicitura “Monte ALUISI” apparentemente nello stesso punto in cui, quella del 1781 colloca il “Monte Sant’ANGELO”; in entrambe le mappe non vi è nessuna traccia della voce “Monte Capraro”, ma le due espressioni e il disegno di un importante rilievo montuoso sembrano vicinissime all’abitato di Vastogirardi (“Guasto Gerardo”) ed a quello di San Pietro Avellana (“San Pietro Louellano”): coincidendo così, inequivocabilmente, con la nostra montagna.
Alla luce di queste premesse ho cercato, per quanto possibile, di documentarmi e sono incline a ritenere che la dicitura “Monte Sant’Angelo” si riferisca, più verosimilmente, ad un antichissimo insediamento di Vastogirardi conosciuto appunto come “Sant’Angelo”: una bellissima località ai piedi di quel versante montuoso che comprende, tra l’altro, i ruderi di un tempio Sannitico del II° secolo a.C.
D’altro canto, sebbene inappropriata per questa zona, non deve sorprendere la parola “monte” di cui, in tempi remoti, si abusava forse un po’ nel nostro territorio; potrebbe essere un esempio di tale contraddizione la cosiddetta “pianura di “Monte Forte”, parimenti ben segnalata nella mappa più recente: e, tra l’altro, assai temuta nel passato per la grande quantità di neve che vi si accumulava nel periodo invernale.
In ogni caso, anche Domenico Di Nucci, escludendo ogni correlazione storica attendibile, non si spiega perché, anticamente, possa essere stato chiamato “Sant’Angelo” il “Monte Capraro”: salvo a considerarlo, ed è una mia arcana supposizione, parte integrante di quell’antichissima località di Vastogirardi (?): ma non possiamo contare su alcuna prova.
Quanto e più di Domenico, inoltre, sono sorpreso che in questa storica nomenclatura manchi qualsiasi cenno all’insediamento altomedioevale della sua vetta: del cui convento e della Chiesa dedicata a San Giovanni Battista, restano diverse vestigia in pietra come la famosa “Accasandèra” (Acquasantiera); aggiungo solo, come simpatico inciso, che a consentirne il ritrovamento fu un cane che si abbeverava rumorosamente con acqua piovana e che apparteneva ad Antonino Beniamino (detto Ngòcase): cui si deve, per iniziativa di Vincenzo Di Nardo, il ritrovamento iniziale di quei ruderi.
In merito al “Monte ALUISI”, si può azzardare l’ipotesi che tale denominazione derivi da qualche importante famiglia della zona; vi sono tuttora, infatti, dei cognomi assonanti come “ALOISI” (o D’ALOISO), ma credo che al momento non ve ne sia alcun riscontro, tranne il fatto, ne sono certo, che non provenga da Capracotta.
Proseguendo nell’osservazione attenta della mappa più antica inoltre, sono affiorati altri interrogativi circa l’appellativo “Monte Campo” che, stranamente, non compare neppure un secolo più tardi; vi si ritrova infatti, soltanto il nome “Lo Macchio” in prossimità del “Colle San Nicola”; è sicuro, peraltro, che tale denominazione, secondo il più antico Atlante dell’Italia (G. Magnini 1620), appartenesse ad un vero e proprio nucleo abitativo autoctono: quello che poi sarebbe diventato “La Macchia”, frazione di Capracotta.
Restando in tema, mi lascia parimenti perplesso la citazione per cui, secondo la cartografia del 1781, Monte Campo risulterebbe denominato “Tre Portelli”(o Tre Portelle?); infatti quest’ultimo termine, mai attribuito che io sappia ad un rilievo montuoso, ha il significato di stretto “passaggio” (o “guado”), quasi una “piccola porta” come la famosa “Portella Ceca”: così chiamata per la difficoltà di imboccarne l’ingresso verso “San Luca” e Pescopennataro (“Pesco Pignataro”).
Pertanto è più convincente a mio giudizio, magari nel tradizionale simbolismo del numero “tre”, che quella espressione si riferisse ai più importanti passaggi (o Portelle” o “Guadi”) da un versante all’altro della nostra catena montuosa; ad esempio:
1) “Portella Ceca”, tra la Croce di monte Campo e San Luca
2) “Guado Spaccato”, tra Monte Campo e Colle San Nicola
3) “Guado Cannavina” tra Colle San Nicola e Monte “Cerro”.
Stante l’evidenza, al contrario, è assai meno probabile che il numero “Tre” aggiunto alla parola “Portelli” (o Portelle) si riferisse alle ben note ed inequivocabili cime di quel massiccio e cioè:
- “Monte Campo”, (con il rilievo di “monte “Ciglione”),
- “Colle San Nicola”
- “Monte Cerro”
Resta tuttavia sconcertante, come sottolinea Domenico, che persino della prima e più elevata vetta manchi una specifica indicazione cartografica: anche nel 1781, quando monte Campo era già conosciuto diffusamente con questo preciso nome.
In definitiva, anche se tali argomentazioni risultassero plausibili, e non sarò certamente io a dissiparne il “mistero”, restano davvero molti i quesiti in sospeso circa la toponomastica antica dell’intero territorio di Monte Campo e di Monte Capraro: specie considerando l’incongruenza tra le loro ipotetiche, ormai desuete denominazioni, e le notizie storiche di Capracotta e dei paesi circostanti; ma tutto ciò, in fondo, non ci meraviglia più di tanto se si pensa all’analogo, non meno appassionante mistero, che tuttora circonda il nome stesso del nostro paese: “CRAPA COTTA”: come riporta, in grassetto, la mia mappa.
Così, nell’insopprimibile timore che si debba lasciare “ai posteri… l’ardua sentenza”, riconosco di aver solo gettato “l’ennesimo sassolino nello stagno”; non posso che restare in attesa di altri e più dirimenti contributi: augurabilmente ancora per merito ed iniziativa di Domenico Di Nucci o di altri tra i cari “Amici di Capracotta” che ringrazio di cuore.
A questo punto… non posso che concludere; se continuassi infatti, rischierei di rattristarmi oltremodo nel sofferto “esilio” dalle mie montagne e dalle cime di Monte Campo e Monte Capraro, a prescindere dal “mistero” dei loro antichi nomi: fino, ahimè, a farmi travolgere dalla mestizia!
Aldo Trotta