Il primo capracottese a Caracas: Sebastiano Di Bucci

La famiglia Di Bucci con il piccolo Fiore Penne a Caracas in Venezuela nel 1955

Mio padre Sebastiano nacque a Capracotta il 6 giugno del 1909, figlio di Antonino e Maria Giuseppa Sanità. Nel 1935 sposò Melina Tedesco e, dopo la nascita di Maria nel 1937, fu richiamato alle armi nel 1939. Venne in licenza a Capracotta e ripartì. Mentre era sotto le armi, nacqui l’8 giugno del 1940. Mio padre subito fu preso prigioniero dagli inglesi in Africa e tornò in Italia nel mese di ottobre del 1946, congedato come sergente maggiore.

Quando è tornato, io l’ho visto per la prima volta. Noi eravamo sfollati a Pescolanciano. Ebbe molte difficoltà a trovare lavoro. A Sulmona seppe di una signora che aveva il marito in Venezuela e che, dietro un compenso di lire 40.000, gli avrebbe fatto l’atto di richiamo. Così, riuscì a procurarsi i soldi per il viaggio all’insaputa di mia madre e, nel 1948, partì: fu il primo capracottese che emigrò a Caracas. Dovette imparare rapidamente un mestiere per sopravvivere. Fece tantissimi sacrifici, pagò tutti i debiti e riusciva a mandare quello che poteva anche a noi in Italia.

Nel 1953, partimmo anche noi. Era la prima famiglia di capracottesi che si stabilì a Caracas. Il viaggio durò 21 giorni. La nave era un mercantile della flotta Lauro. Vi lascio immaginare il disagio: dormivamo nelle stive, i divisori erano teloni, il mal di mare era tremendo. Facemmo scalo a Barcellona e a Tenerife. Eravamo tutti emigranti e arrivammo al porto della Guaira il 2 dicembre del 1953. Il viaggio per arrivare a Caracas fu un’altra avventura e, solo l’anno successivo, inaugurarono l’autostrada. Mio padre aveva affittato un appartamento nel quartiere “La Carlota”, lì vivevano molti italiani ed era una zona di piccole palazzine e tante villette, con molti negozi, un cinema, bella e tranquilla.

Loreta Di Bucci nel suo ufficio al Banco Italo- venezuelano a Caracas
Loreta Di Bucci nel suo ufficio al Banco Italo- venezuelano a Caracas

La prima difficoltà fu imparare la lingua spagnola. Mia madre, essendo sarta, incominciò a lavorare per le fabbriche e noi l’aiutavamo. In seguito, dopo aver imparato a leggere e scrivere, io e mia sorella abbiamo frequentato dei corsi rispettivamente di dattilografia e contabilità. Questi studi ci servirono per trovare lavoro: mia sorella lavorò in un ufficio di viaggi e cambi; io al banco Italo-venezuelano, dove il vice direttore era un oriundo capracottese Mario Giulio Comegna di Fara Filiorum Petris (Ch). Diventai “Caporeparto Importazioni Estere” e avevo un mio ufficio con 7 impiegati alle mie dipendenze. Mio padre, idraulico, lavorava in proprio: aveva molti cantieri e vari operai.

Caracas era una città stupenda e potevi andare ovunque senza problemi. Mio padre aveva richiamato Aldo Trotta e, in seguito, sono arrivati il fratello Ugo, mio cugino Elio, mio zio Michelino e il figlio Tonino, Oslavio Di Tanna, Vittorio Trotta, Aldo D’Onofrio, Amedeo Trotta, le sorelle Cacchione, il marito di Antonia, Adelio, e il figlio piccolo, i fratelli Carnevale con le famiglie e tanti altri capracottesi. Mia madre era una donna meravigliosa, ci ha insegnato l’amore e il rispetto per il prossimo. Era altruista e, anche se molto giovane, era il punto di riferimento per i paesani. Era sempre disponibile con tutti e cercava di aiutare i paesani in mille modi, ricordo come convinse un nostro compaesano, Pasqualino, ad andare a lavorare presso la fabbrica “Rum Pampero”. Procurò anche un lavoro a mio cugino Tonino in una vetreria. Era amica della madre del proprietario: lì affinò il mestiere e, oggi, è il proprietario della vetreria di Isernia. Il nucleo dei capracottesi risiedeva quasi tutto nel rione “La Carlota” di Caracas. Penso che, come noi, anche loro hanno avuto molte opportunità di imparare un mestiere, conoscere gente nuova, usanze diverse e imparare una nuova lingua.

Sebastiano Di Bucci con cinque operai in un cantiere in Venezuela
Sebastiano Di Bucci con cinque operai in un cantiere in Venezuela

Nel 1961 mio padre tornò con tutti noi in Italia. La sua decisione fu causata principalmente dal rallentare del suo lavoro, a seguito della rivoluzione popolare in Venezuela. Il presidente Marcos Pérez Jiménez fuggi la notte del 23 gennaio 1958. I tumulti iniziarono ai primi di gennaio. Spesso, ci ritrovavamo in mezzo ai disordini. Una sera, uscendo dall’ufficio per andare al terminal degli autobus, mi trovai imbottigliata nella calca, sparavano lagrimogeni e davano manganellate. Per poter fuggire, dovetti infilarmi in una ringhiera di una gradinata. Per fortuna, ero magra. Quando poi ci passavo e la rivedevo, mi venivano i brividi. I giorni peggiori furono il 21, 22 e 23 gennaio. La sera del 21 non potetti tornare a casa: la rivoluzione era al culmine. Non c’erano mezzi di trasporto. I taxi non si fermavano. Era una fuggi fuggi generale. Fui costretta a rifugiarmi in una pensione di italiani. Riuscii ad avvisare i miei genitori telefonando al farmacista che stava sotto casa e abitava nello stesso edificio. Il giorno dopo tornai a casa. Per alcuni giorni si fermò tutto. La ripresa fu lunga. Ci fu la svalutazione della moneta. Le rimesse all’estero erano limitate e dovevano essere giustificate. La decisione comunque fu un vero e proprio colpo per noi. Ci eravamo inseriti nella comunità, avevamo un ottimo lavoro, stavamo bene e avevamo tanti amici: Non la prendemmo molto bene.

L’anno prima papà era venuto in vacanza in Italia e rimase colpito nel vedere tante nuove costruzioni edili. Per giunta, conosceva vari costruttori che erano stati in Venezuela. Pensava di poter lavorare anche qui. Il ritorno fu doloroso, anche se viaggiammo in prima classe, e la traversata durò solo 15 giorni. Venimmo a vivere a Pescara dove alcuni anni prima avevamo comprato un appartamento. La città era piccola e la gente poco ospitale. Facemmo molta fatica a inserirci e fare nuove amicizie. Il rientro in Patria fu una grande delusione anche per mio padre: i suoi amici non gli offrirono nessun lavoro.

Col passare degli anni, diventò segretario provinciale della Cisl dei pensionati. A 77 anni fu investito da un furgone mentre andava in ufficio (stava preparando il congresso). Rimase in coma per oltre due mesi, la convalescenza fu lunga. Non lavorò più e si dedicò alla scrittura. Aveva un diario dove raccontava la sua lunga vita. Era un perfetto militare, un bravissimo contabile, la sua onestà e precisione erano insuperabili. È deceduto a 101 anni.

Mia madre, da quando siamo tornati in Italia, non ha più lavorato e si è dedicata a noi e ai suoi nipoti. Lei ci ha lasciati cinque anni fa aveva 96 anni. Mia sorella trovò lavoro negli uffici della fabbrica di abbigliamento “Monti”. Nel frattempo, fece dei concorsi e superò quello alla Previdenza sociale. Andò a Piacenza, dopo passò a Chieti e, infine, a Pescara. Io trovai lavoro presso una impresa edile come contabile ma, non essendo il titolo di studio conseguito in Venezuela riconosciuto in Italia, ho subito molte umiliazioni e guadagnavo pochissimo. La mia grande soddisfazione l’ho avuta quando ho lasciato il lavoro: l’ingegnere era dispiaciuto e non faceva altro che elogiarmi con tutti. Il mio licenziamento era dovuto al trasferimento a Roma a seguito del mio matrimonio avvenuto il 1964 con Mario Mosca anche lui di Capracotta: ho avuto due meravigliosi figli.

Nel 1968, siamo tornati a Pescara, dove vivo tutt’ora. Nel 1976 ho dovuto fare gli esami di terza media da privatista per poter accedere ai posti di lavoro statali. Per alcuni anni, ho lavorato come assistente nella scuola materna. Successivamente sono passata in segreteria. Purtroppo da 20 anni sono rimasta vedova.

La moglie Melina e le figlie di Sebastiano Di Bucci prima della partenza per Caracas nel 1953
La moglie Melina e le figlie di Sebastiano Di Bucci prima della partenza per Caracas nel 1953

Questa è ed è stata la mia vita: i ricordi sono dolci e amari ma fanno parte della vita. In Venezuela ora ci sono pochi capracottesi: Vittorio Trotta e famiglia, i figli di Adelio e la famiglia di Aldo Trotta. Li sono deceduti i fratelli Aldo e Ugo Trotta, Oslavio Di Tanna e Adelio. Confesso che lì ho lasciato il cuore, ho trascorso la mia gioventù ed è la mia seconda patria. Dopo tanti anni cerco di non dimenticare lo spagnolo e cerco di tenermi informata di quello che succede lì. Purtroppo mi piange il cuore a sentire tutto quello che sta succedendo. Un Paese così bello, grande, pieno di risorse e ricchezze, dalle etnie multiple, andine, indios, meticci e tantissimi stranieri arrivati da tutto il mondo.

Loreta Di Bucci

Fonte: AA.VV., A la Mèrɘca. Storie degli emigranti capracottesi nel Nuovo Mondo, Amici di Capracotta, Cicchetti Industrie Grafiche Srl, Isernia, 2017