Vincenzo Carnevale, nato nel 1888, sposò Giacinta Paglione nel 1914. Emigrò negli Stati Uniti lasciando la moglie incinta. Prima di partire, le condizioni economiche della sua famiglia lasciavano a desiderare: d’inverno, faceva il carbonaio o il pastore e, d’estate, lavorava nei campi. Restò in America fino al 1920 dove lavorò in una fonderia a Burlington. Tornò con un bel gruzzolo di dollari: comprò un podere di trenta tomoli di fertile terra nel territorio del Comune di Castel del Giudice, mucche e pecore e le condizioni economiche della sua famiglia cambiarono radicalmente. Ebbe sette figli.
Morì nel 1979 e sua moglie nel 1985. Maria è nata nel 1935 e nel 1955 si fidanzò con Pietro Di Rienzo che, nello stesso anno, partì per il Venezuela. Lavorò dapprima con il paesano Amedeo Trotta, forse come manovale, poi fu assunto da un’impresa di costruzioni come meccanico addetto alla riparazione degli escavatori. Imparò molto bene il mestiere e lavorò principalmente alla costruzione dell’autostrada venezuelana. Nel 1958, Maria e Pietro, che era tornato appositamente in Italia, si sposarono e, dopo un mese, l’uomo ripartì per il Venezuela. Dopo due anni, Maria raggiunse il marito Pietro, affrontando il viaggio in mare insieme alla cognata Maria e la figlia di cinque mesi prima in terza classe poi in prima classe. Si imbarcò a Genova e, 22 giorni dopo, sbarcò nel Paese sudamericano.
Prima di scendere dalla nave, durante una visita medica, a Maria fu fatta una puntura sul braccio sinistro: probabilmente era allergica al medicinale iniettato perché il braccio restò paralizzato e, solo dopo un anno, riacquistò la piena funzionalità. Pietro allo sbarco regalò a Maria un medaglione d’oro con incise tre Madonne: la Madonna di Loreto, la Madonna del Carmine e la Madonna di Guadalupe. E presto Maria, superate le difficoltà iniziali legate alla comprensione di una lingua nuova, per i primi tempi si dedicò a piccoli lavoretti di cucito. Poi, fu assunta dalla “Framo”, una fabbrica di confezioni. Pietro portava a casa un’ottima paga a fine mese. Anche lei riusciva a guadagnare un discreto stipendio che, straordinari compresi bastava a sostenere tutte le spese di vitto e alloggio. Pietro, a un certo momento, cambiò lavoro perché era costretto nel fine settimana a percorrere circa 1000 chilometri per tornare a casa. Fu assunto dall’Università come tecnico e, per parecchi mesi, tenne per gli studenti un corso tecnico-pratico per la creazione di manufatti in acciaio. Alla fine del corso, però, si sentì totalmente inadeguato a dare una valutazione agli studenti, che riteneva meritevoli tutti allo stesso modo, e tornò a lavorare presso la vecchia ditta. La Ditta Framo nel frattempo chiuse e propose a Maria, se avesse deciso di tornare in Italia, che l’avrebbe assunta nella nuova sede di Firenze.
Maria restò incinta e fu seguita durante la gravidanza da un ginecologo italiano che, al momento del ricovero per il parto, era assente per un convegno di studi. Il parto si presentò difficile e le fu praticato, dopo tre giorni di doglie, il parto cesareo in punto di morte. Il bimbo morì dopo due giorni e lei restò a lungo tra la vita e la morte. Poi recuperò le forze e, dopo un poco, restò di nuovo incinta. Anche questa volta la gravidanza non fu esente da problemi perché abortì al settimo mese. Distrutta dal dolore convinse Pietro a tornare in Italia nel 1964 e, dopo un breve soggiorno a Capracotta insieme a Pietro, si trasferirono a Firenze assunti entrambi dalla Framo. Dopo un paio d’anni Pietro ebbe problemi respiratori e il chirurgo capracottese Antonio Conti gli diagnosticò un’allergia alla polvere della lana e gli consigliò di tornare a Capracotta. Per circa 10 anni Pietro fece l’autista dei mezzi comunali, compreso lo spazzaneve Clipper: la paga era modesta e fece invano domanda alla Provincia per un posto da cantoniere. Così, furono costretti a tornare di nuovo a Firenze: Maria alla Framo e Pietro a lavorare con gli scavatori. Poi Pietro fu assunto dalla Zanussi. Ebbero una figlia, Enza. Maria andò in pensione dopo 23 anni e Pietro dopo 26 anni. I contributi versati in Venezuela andarono persi perché mancava la convenzione previdenziale tra i due Stati. Anche se fiorentini di adozione, Maria e Pietro comprarono casa a Capracotta e trascorrevano lunghi periodi a Capracotta. Pietro morì nel 2016 e Maria, appena può, torna a respirare l’aria natia.
Domenico Di Nucci
Fonte: AA.VV., A la Mèrɘca. Storie degli emigranti capracottesi nel Nuovo Mondo, Amici di Capracotta, Cicchetti Industrie Grafiche Srl, Isernia, 2017