Capracotta 1961: Luigi, mi sembra di ricordare che si chiamasse Luigi Carnevale. Aggiungo qualche altro ricordo, se non vi dispiace e non vi annoio. Ogni giorno, si scendeva a Capracotta dal nostro campo, per comprare pane e frutta, e per effettuare il tragitto occorreva, mi sembra, circa un’ora. Avevo sempre paura di smarrirmi, delle serpi e di essere spesso solo.
Un giorno, arrivato nel paese, mi ricordai di andare a salutare, come desiderio e raccomandazione di mio padre, un vecchio massaro che aveva lavorato anni prima, nella masseria di torre dei Giunchi a San Severo, e a cui lui era molto affezionato. Ma probabilmente era già morto, pensavo, in quanto doveva essere molto anziano, forse vicino ai cento anni. Per le strade, spesso mi fermavo a chiedere notizie e così, poco per volta riuscii a farmi ben indirizzare. Mi sembra di ricordare che vicino casa sua ci fosse una specie di torrione dove era segnato sul muro l’altezza della neve di qualche inverno passato. Trovata la casa, bussai timidamente e chiesi del signor Luigi (?), e con mia grande sorpresa mi dissero che era vivo e che, però, era allettato. Mi avvicinai al suo letto, feci il nome di mio padre, e quella bocca con pochi denti, si aprì in un sorriso: ricordava ed era contento di essere stato ricordato! Ah, l’amicizia di una volta, fatta di cose semplici e vere: qualche volta il fondo di una ricotta, un po’ di latte, qualche pezzo di formaggio fresco (spettava a noi poi, salarlo ) quattro chiacchiere tra due uomini semplici, ambedue provenienti da una cultura e una vita umile e montanara (mio padre era originario di San Marco in Lamis, sul Gargano) e un pancotto fatto con pane duro e erbe trovate nel pascolare le pecore, legavano cuori semplici, uniti dalla povertà e dal duro lavoro.
Il signor Carnevale mi raccontò alcuni suoi ricordi di quella vita e mi raccomandò di salutare il suo antico amico. Mi sorrise e andai via. Risalii la montagna e nell’avvicinarmi al campo, ebbi modo di farmi una bella risata, assieme ai ragazzi che mi avevano raggiunto, quando spuntò dal bosco, il nostro assistente spirituale, con i pantaloni mezzo abbassati, che correva gridando: “La vipera, la vipera!!”. Cos’altro dire o scrivere? Solo un’immensa malinconia e nostalgia, per un tempo dove tutto era semplice e a dimensione d’uomo. Non c’erano gli eroi, i divi, la politica gridata, l’indifferenza verso il prossimo o il diverso: tutti appartenevamo ad uno stesso continente che aveva nome: Umanità.
Luigi Sales