Ho cercato di immaginare, da ragazzo, i pensieri e le emozioni di don Nicola Angelaccio al momento della sua nomina a Parroco di “S. Maria in Cielo Assunta” a Capracotta: specie riflettendo alla famosa massima evangelica, secondo cui “nessuno è profeta nella sua patria”.
Molto giovane infatti, era subentrato nell’impegnativo incarico pastorale al reverendo concittadino don Leopoldo Conti cui il paese, allora assai popolato, era rimasto affidato nel recente e travagliato periodo bellico; sarebbe stato inevitabile, perciò, il confronto con la figura di questo anziano suo predecessore che pure, nonostante l’età e l’apparente fragilità fisica, aveva dimostrato tanta fortezza d’animo: ad esempio in occasione del giudizio sommario e poi della spietata fucilazione, in sua presenza, dei fratelli Fiadino colpevoli solo di “carità cristiana” nei confronti di alcuni militari neozelandesi alla fine del 1943.
Quel doloroso episodio e tanti altri avevano inciso profondamente nel modesto ma dignitoso ambiente socio-culturale di Capracotta, insieme all’immenso disagio materiale e morale che la guerra aveva comportato: per di più nell’estrema povertà di quel periodo; ne riecheggiava spesso la sofferta consapevolezza anche nell’animo di noi bambini e mio in particolare: una coetanea infatti, la cara Enrica, era figlia di uno dei due fratelli barbaramente uccisi.
Così, riandando all’atmosfera di quegli anni ormai lontani, riaffiora in me il primo netto ricordo della persona e della figura di don Nicola; il corso elementare di istruzione catechistica infatti, che preparava a ricevere la prima Comunione, era affidato alle Suore del Prezioso Sangue e si teneva presso i locali dell’Asilo Infantile, sede attuale della Residenza per Anziani “S. Maria di Loreto”: è lì che, settimanalmente, ci affiancava Don Nicola, quasi per introdurre una lezione interattiva “ante litteram”; durante questi incontri infatti, superato il comprensibile disagio iniziale, non tardarono ad affiorare le più disparate domande a tema esistenziale e morale: in primis, neanche a dirlo, quelle inerenti il recente conflitto con tanta distruzione, la morte di persone innocenti e così via.
La raffica di tali interrogativi era in continuo “crescendo” ma Don Nicola, nel suo sorriso e magari condividendo la merenda con noi, cercava sempre di non deluderci con una sua illuminata risposta, secondo i princìpi della Fede e senza soffrire il disagio di un uditorio cui era talora necessario rivolgersi in “dialetto”: inizialmente infatti solo pochi di noi, senza alcun merito personale, conoscevano bene l’italiano; è verosimile, d’altro canto, che le citate difficoltà ambientali e socio-economiche della nostra prima infanzia avessero un po’ contribuito, sia pure relativamente, alla nostra maggiore maturità.
Il legame speciale con don Nicola si era poi mantenuto e consolidato nel tempo anche nel mio successivo ruolo di “chierichetto” ufficiale; a tale proposito anzi, ricordo il mio disappunto ed il mio sconforto per il fatto che, durante la santa Messa di una importante ed affollata ricorrenza festiva, mi sfuggì di mano l’ampollina dell’acqua che, naturalmente, si ruppe cadendo sui gradini dell’altare: era un oggetto di assai pregevole fattura e certamente non facile da sostituire, ma bastò l’espressione indulgente di don Nicola, che proseguì tranquillamente la celebrazione, a rasserenarmi.
La seconda importante occasione associata, per me, al suo ricordo è relativa al 16 gennaio 1950, giorno in cui è arrivato a Capracotta il dono dei nostri concittadini emigrati: il grande spartineve americano, divenuto poi un emblema assoluto di rinascita per il nostro paese e la nostra comunità.
Io ebbi l’immeritato privilegio, a soli 7 anni, di accogliere con dei fiori l’Ambasciatore USA e la sua consorte e poi di restare con loro, sul palco delle autorità per gli indirizzi di saluto e di ringraziamento: come si può vedere dalla vecchia foto in bianco e nero che mi ritrae in quella circostanza. Il mio più grande rammarico, tuttavia, è di non essere mai riuscito a reperire il testo di quegli interventi, ma soprattutto quello di don Nicola: le cui doti di valentissimo oratore, capace sopratutto di adeguarsi a qualsiasi uditorio ed a qualsiasi tema, erano già molto conosciute ed apprezzate.
Io ricordo solo, tanto più avendolo proprio accanto a me in quella memorabile occasione, che riuscii a percepire la grandissima emozione trasmessa dalle sue parole appassionate: che ho cercato anzi di farmi riassumere, in seguito, da diversi degli adulti presenti e tutti sono stati concordi nel ritenere che quel discorso avesse rappresentato uno degli elogi più convincenti e sinceri di ogni tempo per il popolo capracottese; in estrema sintesi conteneva le ragioni profonde per cui, pur ridotto ad un cumulo di macerie, il nostro paese era riuscito a risorgere dalle sue stesse ceneri: o meglio, come si direbbe oggi, le ragioni delle sue straordinarie doti di “resilienza” nella più autentica tradizione di “Fede e di Speranza” dei suoi antenati.
In anni più recenti, a prescindere naturalmente dai diversi altri impegni pastorali e dai tanti altri interessi di don Nicola, è doveroso sottolineare anche il suo instancabile contributo per il riscatto sociale e culturale della nostra comunità: si deve infatti anche a lui che, in tempi così difficili ed in alta montagna, si svolgesse ogni anno una piccola “stagione di Prosa” per adulti e bambini nello storico “Teatro Goldoni” di Capracotta: cui don Nicola assicurava spesso anche le “colonne sonore”.
Mi stava sfuggendo infatti, che era anche un valentissimo pianista di musica classica e popolare e molti, specie della mia generazione, lo hanno tante volte applaudito per i brani musicali eseguiti più che mirabilmente: spesso anche a “quattro mani” accanto alla compianta, indimenticabile maestra, la Signora Luisetta Pana’.
Un altro tra i miei ricordi più entusiasmanti di don Nicola è collegato alla sua passione, molto avveniristica allora, per i motori e le motociclette in particolare: aveva posseduto per molti anni una bellissima e potente “GILERA” che non mi stancavo di ammirare a lungo, specie nella bella stagione; ad esempio quando la utilizzava quotidianamente, magari con i classici fogli di “giornale” sul petto a protezione dal vento, per la celebrazione del Mese di Maggio nel Santuario della Madonna, un po’ fuori dal paese.
Restando in tema Don Nicola era infine, come molti ricordano, un esperto meccanico autodidatta ed ebbe modo di esercitarsi in questo ruolo anche dopo che, a malincuore, si era trovato nella necessità assoluta di una piccola FIAT 600 in alternativa alla storica “GILERA”.
Le mie vicende personali hanno poi voluto che, seguendo la famiglia ma con immenso dispiacere, mi allontanassi da Capracotta e quindi, di necessità, anche dal caro Parroco della mia infanzia: anche se, grazie a Dio, non mi è mai mancato il suo paterno consiglio e, tanto meno, l’incitamento per i miei studi di medicina che avevo poi scelto di intraprendere.
Stavo infine frequentando il quinto anno del mio corso di laurea presso il Policlinico “A. Gemelli” a Roma quando, in pieno inverno e del tutto inaspettatamente, mi raggiunse la tristissima notizia: non ancora sessantenne, per una travolgente malattia don Nicola aveva raggiunto la ….casa del Padre e con essa, ne sono certo, la ricompensa eterna promessa agli “Operatori di Giustizia”; ed io provo tuttora rimorso per non essermi informato tempestivamente della sua patologia per cui, tra l’altro, era stato anche sottoposto ad intervento chirurgico presso l’Ospedale “Santo Spirito”: avrei facilmente potuto salutarlo ed abbracciarlo per l’ultima volta e mi dispiace nell’animo di non essere riuscito a farlo.
Sono certo tuttavia che a maggior ragione, sia pure immeritatamente, la sua Preghiera sacerdotale sia tuttora viva ed efficace per me e la mia famiglia: come per i tanti concittadini che, con me, hanno avuto il privilegio di essere stati accolti e custoditi, nel suo diletto “gregge”… di montagna.
Ti siamo immensamente e perennemente riconoscenti, carissimo Pastore don Nicola!
Aldo Trotta