«La Tavola Osca sembra essere la descrizione di un lungo itinerario dell’Italia antica che, partendo dall’isola di Ischia, raggiunge l’attuale città di Vittorio Veneto». Lo afferma Mauro Risani, studioso di Cairo Montenotte (Sv), che ha trattato incidentalmente il contenuto della lamina bronzea, rinvenuta casualmente a Capracotta nel 1848, nelle sue ricerche sulla geografia ligure- piemontese dal titolo “Abramo in Valle Bormida”. Risani, infatti, ritiene che quest’ultima sia il centro della geografia biblica sulla base di una ricca e accurata interpretazione linguistica dei principali testi e reperti archeologici dell’antichità. Secondo la versione tradizionale, invece, la Tavola Osca sarebbe una delle più importanti testimonianze della religiosità dei Sanniti. Essa conterrebbe l’elenco di diciassette divinità. È custodita presso il British Museum di Londra.
«Tutto gira intorno alla parola “Statif”, che viene tradotta ufficialmente e arbitrariamente come “il giorno stabilito”- osserva Risani-. Questo termine, nella interpretazione ufficiale, si affianca a “nomi di divinità” come Hereclu- Ercole per cui la Tavola Osca finisce per essere considerata un calendario liturgico». Per lo studioso savonese, invece, le cose stanno in un altro modo: “Statif” significa “più in basso” (“situato presso le ife”, dove le “ife” filamentose tracciano una strada nel terreno sottostante); ogni presunto “nome di divinità” è un luogo geografico ben preciso e la Tavola Osca, di conseguenza, la mappa di un percorso dell’Italia antica.
«Per individuare le località contenute nella Tavola- precisa Risani- bisogna tener presente un dato molto importante: il Sud è in alto. Da qui, cioè dal Mezzogiorno, si “scende” verso le regioni settentrionali della Penisola». Si parte dall’isola di Ischia (il termine “VEZKEi” della Tavola). Più in basso (“STATiF”) c’è il vulcano Vesuvio (“EVKLui”). Quindi, la regione chiamata Ciociaria (KERRi). Poi, il fiume Tevere (“FUTREi KerriaAIi) e la regione interna di Terni (“ANTER STATAi”). Da qui, si attraversa il territorio di Ancona e, risalendo la costa marchigiano- romagnola, si arriva al delta del fiume Po (“HEREKLui KERRiIui”), letteralmente “Fiume di Ercole”. «La presenza del nome di Ercole nella Tavola in concomitanza con la foce del Po non è casuale- aggiunge Risani-. Essa, infatti, corrisponde alla regione “Herc” del Fegato Etrusco di Piacenza e “Kal” del Fegato Babilonese». Le ultime due tappe dell’itinerario sono l’antica città di Este (“PATANAi PliSTiAi”), che praticamente è nella zona della Padova moderna, e Ceneta padana, il nome arcaico di Vittorio Veneto (“DEiVAi CENETAi), unita a sua volta con un’altra strada ai territori situati ancora più a settentrione (“ASSAi PURASIAi”). La Tavola termina con alcune espressioni geografiche di carattere più generale che collegano il tragitto appena menzionato con altre regioni della “Sacra Terra” (“SAKARATER”).
Risani, nel suo studio, ricostruisce ogni tappa del viaggio Ischia- Vittorio Veneto in maniera meticolosa confrontando termini e nomi della Tavola con quelli rinvenuti sui più importanti reperti archeologici e nei testi antichi e sfoggiando una grande conoscenza dei principali idiomi e costumi dei primi popoli del Mediterraneo e del Medio Oriente: Accadi, Assiri, Ebrei, Babilonesi, Egizi, Etruschi, Fenici, Greci, Indoeuropei, Ittiti, Sumeri, Umbri, Veneti e così via. L’idea di fondo dello studioso, infatti, è quella di riscoprire le origini sumerico- mediorientali dell’Italia. Un filone di indagine, questo, che negli ultimi anni sta catturando un interesse sempre crescente nel mondo scientifico. Oggigiorno, tanto per fare qualche esempio, si tende a collocare le descrizioni astronomiche del Libro di Enoch, un testo apocrifo di origine giudaica del I secolo a.C. ma accolto dalla Chiesa Copta, lungo il 47° parallelo, quello che passa a meridione della città di Torino. Infine, qualche anno fa, lo storico campano Pasquale Natella ha collegato il toponimo “Vesuvio” a una remota radice sumerica (“wasu”, letteralmente «che si protende verso l’alto», quindi «altura prominente») smentendo le ipotesi più conosciute (da «ues-»= fuoco).
«La Tavola Osca, anche se chiaramente geografica, potrebbe essersi trasformata successivamente in un calendario liturgico- conclude Risani- perché una qualsiasi regione geografica che, partendo dal freddo Nord e raggiungendo il caldo Sud, nel momento in cui viene descritta somiglia al ciclo annuale: dall’inverno dei monti all’estate dei luoghi mediterranei. La stessa cosa vale per la natura di questi territori: una valle fertile diventa automaticamente simbolo di fertilità, la regione dei vigneti diventa la divinità legata al vino e via dicendo. Per quanto riguarda la datazione, nulla sembra indicarci che quella tradizionale del II secolo a.C. sia in realtà quella corretta. Se la lastra fosse molto più antica, potrebbe essere stata considerata sacra e conservata come una preziosa reliquia. Inoltre, il confronto dei caratteri con gli altri alfabeti italici è invalidato dal fatto che la scrittura arrivò in Italia già con i Pelasgi e non nel settimo secolo avanti Cristo con i Greci di Cuma. E non è detto che non ci fosse già da prima».
Francesco Di Rienzo