Nel ricordo di CARLO: un fratello davvero… speciale

“perché sei un essere speciale:

 ed io avrò cura di te!”

(da: “La Cura” di Franco Battiato)

 

A circa un anno dalla sua scomparsa, guardo ogni giorno la foto in cui Carlo sorride facendo il “solitario” con le carte da gioco: e non mi sembra ancora vero che ci abbia lasciato per sempre.

Infatti gran parte della sua esistenza, pur non essendomi rimasto sempre accanto, è stata vissuta in parallelo, quasi in simbiosi con la mia e viceversa: fino all’ultimo suo respiro, all’alba di quel freddo 14 febbraio 2020 a Pescara.

Avrei fatto davvero di tutto per ricondurlo a Capracotta, specie presagendo che fosse ormai prossima la sua fine ma, in diverse altre occasioni di malattia, sovvertendo ogni previsione, era come “resuscitato” e non ho avuto il coraggio di sottrargli le ultime cure.

In questi mesi trascorsi senza di lui, tanto più nel silenzio di questo periodo, ho rivissuto alcuni tra i momenti più emblematici della sua singolare esistenza: pur temendo che, anche nei miei ricordi, abbiano lasciato un’impronta maggiore le occasioni “tristi” rispetto a quelle “felici”; in realtà, quasi paradossalmente, sono stati assai più numerosi i momenti di serenità o addirittura di vera “allegria” che Carlo ci ha regalato.

Così, solo dopo la sua scomparsa mi sono reso pienamente conto di quanta “compagnia” mi tenesse: anche dopo il 2018, allorché le sue condizioni sono andate decisamente e irreversibilmente peggiorando.

Riandando indietro nel tempo, non avevo ancora compiuto 11 anni quando nacque prematuramente, il 30 aprile 1954, nella casa paterna di Capracotta, dopo un freddissimo inverno con gelo e tanta neve: motivo, perciò, di continuo e faticoso stress per la mamma nel suo impegnativo lavoro di ostetrica e durante una gravidanza già di per sé travagliata; io ricordo benissimo le sue prime ore perché mi appariva ed era realmente piccolissimo nella culletta bianca di vimini.

Ricordo che mi impressionava molto, pur cercando di non dimostrarlo, che avesse uno strano colorito giallastro scuro dovuto all’ittero neonatale; notavo poi che la nonna e le care zie si preoccupavano di tenerlo al caldo circondandolo di borse termiche e quant’altro si potesse fare allora per un neonato che avrebbe meritato un moderno centro di terapia intensiva.

Mi colpiva inoltre, con mio grande sgomento, l’espressione sconsolata di qualcuno che, nell’affettuoso “prodigarsi” di tutti, si lasciò sfuggire: “è proprio inutile accanirsi nelle cure – pensate davvero che Carlo sopravviva fino a domani?”; si temeva infatti che nemmeno papà riuscisse a vederlo ancora vivo perché ritornò il giorno dopo da Campobasso ove, non immaginando prossima la sua nascita, si era recato per lavoro.

In ogni caso fu davvero provvidenziale l’aiuto della Sig.ra Gina Dell’Armi che, facendogli a lungo da balia, riuscì ad assicurargli l’apporto di latte ed il sostentamento necessario; quindi riuscì faticosamente a sopravvivere e la mamma, come noi tutti del resto, non ha mai trovato parole sufficienti ad esprimere la sua e la nostra gratitudine nei confronti di quella cara benefattrice e della sua famiglia.

In seguito confesso di essermi un po’ distolto dalla sua condizione e dalle sue difficoltà quotidiane che tutti, peraltro, cercavano di minimizzare: in fondo… ero ancora un bambino; trascorse così poco più di un anno ed in estate eravamo per un breve periodo di vacanza a San Carlo in Emilia, dai parenti della mamma; fu così che, con gradita sorpresa, io e Maria Cristina fummo affidati per ben 2 giorni alla cara zia Nilde, nel vicino comune di Mirabello; ed eravamo felici di una concessione così inattesa pensando a quanto ci saremmo divertiti con i cugini nel vero “paradiso terrestre” di alberi da frutta e di colori che circondava la loro casa di campagna; non potevo certo immaginare cosa ci attendeva al nostro ritorno giacché la mamma ci aveva allontanato proprio allo scopo di far visitare Carlo da un illustre pediatra, allora docente nell’Università di Ferrara: tornati da Mirabello infatti, ebbi la netta impressione di una pesante cappa di silenzio e di tristezza finché la nonna trovò il coraggio di informarci gradualmente della sua grave malattia genetica.

A tale proposito, assai più tardi quando ero già grande, mi capitò tra le mani uno strano documento che la mamma custodiva in un cassetto e rimasi impietrito dal suo contenuto; si trattava infatti di un grosso foglio di ricettario di quel pediatra in cui, dopo una serie infinita di titoli altisonanti, si leggeva a caratteri cubitali:

“Idiozia mongoloide!”,

proprio come molti profani definivano allora la trisomia del cromosoma 21 o “Sindrome di Down”

Riuscii anche a farmi confidare l’immenso dispiacere per le parole brutali di quel professore e per il suo incredibile suggerimento di lasciarlo al suo destino; che non è stato certamente seguito per sua e nostra fortuna, anzi con il successivo ed importante conforto, per la mamma, di affidarlo ad un altro illustre docente a Bologna di ben diversa statura professionale e morale che lo ha poi sorvegliato per tantissimo tempo.

Sempre ai primissimi anni di Carlo, risale un minaccioso episodio di “laringite ipoglottica” per il cui gravissimo impegno respiratorio, fu urgentissima la necessità di ricoverarlo in ospedale ad Agnone; ne venne fuori assai brillantemente ed in brevissimo tempo, con grande meraviglia del personale sanitario e del primario in particolare: che lo aveva soprannominato “mangiavetro” perché era riuscito persino a rompere, mordendola senza alcun danno, l’ampollina dell’apparecchio per aerosol.

Altrettanto accadde qualche tempo dopo, sia pure a casa, quando superò egregiamente anche una complicata forma di morbillo durante la quale, alle persone amiche che gli chiedevano come si sentiva, rispondeva scuotendo la testa: “sto molto male!”

In quel periodo, essendosi peraltro già ristabilito salvo una discreta insonnia residua, la mamma mi pregò un giorno di rimanere un po’ a letto accanto a lui per tenerlo tranquillo e attendere che si assopisse; erano passati solo pochi minuti allorché, con sottile ironia, la raggiunse gongolante per assicurarle: “stai tranquilla – “Aldo si è già addormentato!”.

In seguito, assai di frequente ho toccato…il cielo con un dito conducendolo a spasso con me sulla Vespa e sapeva sorreggersi benissimo e, quando c’era anche la mamma con noi, infrangevamo talora le norme stradali: ben tre persone sullo stesso scooter!

A Padova con Carlo

A circa 11 anni la nonna e la mamma, dopo tante trepidazioni e Preghiere e quasi sciogliendo un voto, vollero condurlo a Padova per la prima Comunione e la Cresima nella basilica di S. Antonio; ed è davvero indicibile l’emozione di quel giorno, anche per me all’uscita dal Santuario: sembrava come impazzito per la gioia, fino al punto da rincorrere festosamente i colombi che si contendevano il mangime disperso a piene mani sulla piazza. 

Il tempo trascorreva e Carlo cresceva, sia pure con gli inconvenienti ed il ritardo più che prevedibili della sua condizione, ma anche riuscendo a frequentare la scuola elementare ed i primi due anni di scuola media a Boiano: ove nel frattempo, era stato inevitabile trasferirci.

Come non ricordarlo poi, sia pure nei limiti della sua condizione, immerso nella lettura di molti libri? Ne possedeva tantissimi ed era diventato un vero esperto sull’argomento della “Sacra Sindone”: al punto che, in occasione di una sua ostensione, lo condussi a Torino affinché la potesse ammirare; accadde, come era del resto prevedibile, che non si accontentasse dei pochi minuti concessi ad ogni gruppo: ci accompagnavano Daniela e Marco (mia figlia maggiore e mio genero) e fu davvero difficile convincerlo ad allontanarsene.

Lo rivedo, inoltre, mentre trascorreva ore intere ad ascoltare l’immensa raccolta di vecchi dischi in vinile che aveva collezionato nel tempo,

    – o quando mostrava orgogliosamente a tutti le foto autografate che riceveva da alcune famose cantanti come Cristina D’Avena o Gigliola Cinquetti

     – o, infine, nella sua gioia incontenibile quando ascoltava, nel periodo natalizio, gli zampognari del Molise di cui si divertiva persino a indossare il mantello. 

Passarono altri anni naturalmente ed io, dopo la mia laurea ed il matrimonio, ho vissuto e lavorato all’Aquila mentre Carlo era rimasto affidato alle amorevoli cure di papà e mamma a Boiano: nel frattempo infatti, era scomparsa anche la nonna Guglielma che, anche e soprattutto per lui, era stata davvero come una seconda mamma; in seguito, a maggior ragione, io facevo il possibile per andare più spesso a trovarlo, cercando ogni volta di dare un pur minimo contributo nelle difficoltà emergenti; è innegabile tuttavia che, abbastanza spesso, sia stato lui a fornire l’aiuto determinante: come quando, dopo una brutta frattura traumatica del  ginocchio sinistro esitata in anchilosi articolare completa, riuscì incredibilmente a fare da “fisioterapista” domiciliare per la mamma.

Qualche anno più tardi, nel 1993, ebbi la volontà di partecipare, anche con mia moglie Anna e mia suocera Concetta, al pellegrinaggio in treno organizzato dall’UNITALSI dell’Aquila per Lourdes, di cui non avevo certo sottovalutato l’impegno; il viaggio si rivelò infatti più disagevole del previsto per il caldo intenso di quei giorni estivi: per di più viaggiando con tante persone disabili ed in carrozze prive di climatizzatori: ma, con l’aiuto della santa Vergine, riuscimmo a concluderlo bene; oltre tutto mi rendeva felice il sorriso gioioso Carlo, che amava moltissimo viaggiare in treno e, per di più, con tanta musica e canti.  

Altre gravi malattie si erano comunque già manifestate. da tempo, in modo particolare sulla sua “capacita visiva”; infatti, in due distinte occasioni era stato necessario programmare ed organizzare per lui un intervento oculistico di cheratoplastica: essendosi dimostrata la presenza di un avanzatissimo “cheratocono” bilaterale: caratteristico peraltro della sindrome di Down.

Diversi anni dopo affiorò purtroppo un vero e proprio “rigetto corneale che avrebbe coinvolto anche l’occhio sinistro, fino ai giorni della sua ultima malattia; fu infatti una gravissima “cheratite purulenta” a precedere di poco l’evento terminale: una broncopolmonite “ab ingestis” certamente favorita anche dalle coesistenti turbe nella deglutizione.

A questo punto, assai prima del nostro trasferimento a Montesilvano circa sei anni fa’, un breve cenno cenno al devastante evento sismico del 6 aprile 2009 all’Aquila; pur non essendoci state, infatti, conseguenze alle persone per noi, è facilmente immaginabile la terribile esperienza di quella notte; mi parve infatti interminabile il tempo necessario a scendere con Carlo tre  piani di scale: facendo uscire, sia pure coadiuvato allora da mia moglie e da mio genero, anche la mamma di 97 anni, e mia figlia minore, Sara, incinta all’ottavo mese!   

Dal 2003 infatti, insieme alla mamma, mi aveva raggiunto stabilmente all’Aquila dopo la scomparsa di papà, avvenuta nel 1991.

Arriviamo così alla grave encefalopatia vascolare dell’ottobre 2018, con “emorragia cerebrale ed emiplegia destra”; fu naturalmente necessario un ricovero urgente presso l’ospedale di Pescara ove fu messo in evidenza tra l’altro, come importante concausa, un quadro di cosiddetta “apnea del sonno”: altro misconosciuto fattore di rischio nella sindrome di Down.

E ricordo bene che, durante la degenza, mi telefonarono per dirmi che Carlo sembrava agonizzante ed arrivai in tempo per assistere alle concitate manovre di rianimazione da parte dei colleghi mentre io stesso, pur conoscendolo bene, lo considerai prossimo alla fine; al punto da fargli ricevere il Sacramento della santa Unzione per gli Infermi.

E tutti riuscimmo a rivederlo vivo perché …non era ancora giunta la sua ora, ma vale la pena di sottolineare che, il giorno successivo alla citata emergenza, il bravissimo collega rianimatore che lo aveva soccorso, stentava a credere che fosse ancora in vita: venne infatti ad accertarsene con grande meraviglia e soddisfazione.

Nei mesi successivi faceva sorridere tutti allorché, dimostrando di nuovo una buona capacità di eloquio e la sua ironia ma costretto tra letto e sedia a rotelle, rimproverava il fisioterapista con queste precise parole: “sei di una violenza e di una cattiveria inaudita; ti ordino di lasciarmi in pace e di andare via subito”.

Carlo sulla panchina a Capracotta

Lo abbiamo quindi riavuto con noi per oltre un anno, dal dicembre 2018 al febbraio 2020, ed è stata come sempre preziosa, l’assistenza e la dedizione delle nostre due collaboratrici, le Signore Ica ed Ana, che già in precedenza e da diversi anni, si erano prese cura di lui.

Soltanto ora, come ho già detto, comincio a rendermi conto realmente della sua definitiva assenza mentre contribuisce moltissimo al mio sconforto anche il fatto che mia moglie Anna, già sofferente per una grave patologia neurodegenerativa, abbia ora necessità dello stesso genere di assistenza e di cure: quasi che Carlo avesse voluto predisporre tutto ciò che le sarebbe servito.

In questo commosso ricordo di un fratello…speciale, è evidente che ho cercato di ripercorrere anche un po’ della mia vita: quella vissuta “in parallelo” con la sua, certamente più travagliata; e, concludendo, riconosco pienamente che, pur essendo intervenuti per me altri e parimenti assai gravi motivi di angoscia, non avrei mai pensato di soffrirne così tanto la mancanza.

Perciò, ricorrendo il primo anniversario dalla sua scomparsa, nella certezza di interpretare anche il pensiero di Maria Cristina, di Anna e di tutti noi, compresi i giovani pronipoti cui ha voluto tanto bene, voglio gridargli a gran voce:

“Grazie della tua stessa esistenza e dei momenti

 indimenticabili   che abbiamo vissuto con te”

 Inoltre, come ho voluto che ti ripetesse anche la nonna Guglielma dalla foto sulla tua lapide:

Riposa in Pace”

Ciao, Carlo: ti abbraccio forte, nella certezza che non cesserai di Pregare per me e per tutti noi

 

Aldo Trotta