Sull’idea di doversi condurre nella tenuta di Montedimezzo sua altezza Reale, il Duca di Calabria, Francesco Borbone, il primogenito di Ferdinando I°, il nipote di Carlo e di Enrico, era mestieri doversi procedere allo stabilimento di un luogo elevato che potesse rendere soddisfazione alle manifestate voglie della Persona Reale. Incaricato all’uopo l’amministratore dei di lui beni, S.E. il Marchese Cappelli, per costituire un punto di un vasto visibile orizzonte, riuscì molto bene ad alcuni galantuomini di questo Comune di far fissare lo Spettatore Reale, che sola pur anche fosse capace di renderla ripieno nel desio, la nostra montagna del Campo.
Non indugio alcuno, non classe di tempo vi fu, per l’ordine di prepararsi la strada, dal signor Intendente della Provincia, il principe Spinelli. Non indugio quindi nella esecuzione, per parte del Sindaco del Comune Don Leonardantonio Falconi. E doppoichè un nuovo suolo doveva battersi… si maestosa, si giudicò essenziale da tutti i proprietari del Comune, di dover loro assistere all’impresa della strada, quale dai confini di Vastogirardi, per la volta della Forcatura, fino al Campo, per mezzo dell’abitato, divenne rotabile in tre giorni col lavoro forzato di tutti i zappatori, e Forestieri, e Paesani, con sorpresa peraltro e meraviglia di tutti; mentre basti il ragionare che la sola salita al Campo, nel tratto del passato, abbenchè troppo libera ai becchi, ed irci, pure angustiosa doveva giudicarsi per gli uomini.
Eseguitosi da S.A.R. il primo disegno della gita in Montedimezzo a ’11 spirante (del che questi impiegati, ne furono spettatori, quando nel piacere di baciargli la mano furono di la vicino bene accolti) si aspettava dal Cielo la grazia propizia per l’esecuzione del suddetto progetto. Ma che? Muoversi a dirotta pioggia le nubi nel lunedi sedici e vento impetuoso nel di seguente, sembra che non permettessero consuolo a questi abitanti per godere la P.R.: sembra che non dovessero pacarsi, pria del ritorno in Napoli, giusta le sovrane risoluzioni, del di lei augusto Genitore.
In si barbarie dolenti esposti, chi sarà mai che consoli questa popolazione? In si orrida confusione sorge l’aurora e pare che rendi la calma all’annunzio del nuovo giorno. Effimare idee di guasto produssero i nembi turbinosi. A renderlo quindi ebbrifestoso, si cominciò con tintinnio dei sacri bronzi nell’alba, per le disposizioni di benemeriti galantuomini. Fu di questi benanche la cura al comparire dell’astro maggiore di far guarnire le mura del paese (già d’ordine pria imbiancate) dei più fini tappeti quivi esistentino. Videsi finalmente comparire nella Forcatura alle quindici ore italiane, quando rinnovandosi il suono espressivo e solenne delle campane, si portarono fuori dell’abitato il Rev. Capitolo della Collegiata e il corpo degli Impiegati, Giudiziario, Amministrativo e Civico uno con tutto il popolo. Un ordine però proibisce al Clero farsi ivi trovare, ma bensì nella Porta della Matrice Collegiale Chiesa, al che incontanente si da esecuzione.
Giunto per la fine a cavallo a S.Antonio, che fu dal sindaco presentato un fiore su d’una coppa d’argento. Lo ringraziò. Lo gradì e con benigno cuore si fè da tutti baciar la mano mentra la plebe ocheggiava: Viva il Re! Viva S.A.R.! Viva il Duca di Calabria! Procedendo così in Piazza tra il clamore dei suoi, scorge il quadro di S.M. di lei augusto genitore e per rispetto di cava il cappello. Giunto in Chiesa, ove si era esposto il Venerabile si genuflesse, ed aspettò quivi con tutta la divozione, sino a che si ebbero terminati i cantici di lode, colla benedizione del Santissimo, data dall’Arciprete Don Vincenzo Maria Campanelli. Osservò la Chiesa e sortendosi si fè dare il braccio dal Principe di Cellamare, di lui gentiluomo di camera perfino alla Porta che chiamano.
Montato di bel nuovo a cavallo progredì fino al giù della summentovata montagna, da dove , come nello scendere, procedette a piedi togliendosi il vestito di castoro bleau chiaro e rivestendosi di giubbone largo di color Siviglia. Giunto in su volle circostanzialmente osservare il Regno in parte, nella perfetta serenità. Da tutti e di ogni condizione richiedeva chi costituisce quel tal punto, quel tal altro ecc.: a tutti permetteva famigliarità, con tutti quasi conversava. A rendere quindi gaia e gioiosa testimonianza del piacere incontratovi, volle sulla tenera erbetta, fra i cespugli dei faggi, sedere per prendere a modo di cibo ciò che si aveva fatto preparare a Montedimezzo. Ne gradì tanto che lieto e faceto mostravasi in quel tempo con tutti: ed in tal modo parlava ad alcuni giovani galantuomini, che per desio di prestarle omaggio, salivano a piedi là sul Campo.
Sceso quindi e non procedendo per la strada degli abeti, come era stato stabilito, tergiversò per quella del ritorno. Comandò che il Parroco, il Sindaco e Comandante Civico si facessero trovare in mezzo della Piazza. Quivi rese testimonianza di sue virtù con delle largizioni. Diede al Parroco ducati 25 per i poveri, al Sindaco 18 per i lavoratori della strada, al Comandante 24 per Corpo Civico. Fece osservare i pubblici edifici, come strade, fontane e per conoscere come si governava dai suoi impiegati. Ne uscì quindi col desio di ritornare nel futuro anno, anzi pernottare nel paese, per locchè fece osservare dei Palazzi che potessero in qualche modo riceverlo. Se metterà in esecuzione il disegno, non mi renderà pena prendere di nuovo la penna essendo tra i vivi. Spiacemi solo che troppo angusta e ristretta, e limitatamente, non mi permettono degli proporzionati encomi alle rare virtù della Persona Reale.
Il di lei seguito non fu composto che dal Principe di Cellamare, Marchese Cappelli, il Chiava d’acciaro Viglia, il Chirurgo Maggiore e due guardiani. La di lei scioltezza stoica fu vessillo di una ben fondata filosofia. L’amor filiale cò suoi dimostrava al certo quella clemenza che ne comporrebbe lo scettro. La bontà scovriva nel fondo del cuore una bassa umiltà che formavano in un serto il prezioso Diadema coronatore del di lui maestoso capo. La dabbenaggine finalmente ne costituirebbe il Real mantello. Tutto pregiato di virtù, tutto sfolgorante di pregi, tutto risplendente di soprannaturali dommi fan giustamente echeggiare esultando Viva il Re! Viva il Principe Reale!
Bernardo Falconi, Capracotta 30 Settembre 1824,
Fonte: Libro delle Memorie, Archivio Comune di Capracotta
P.S. Francesco di Borbone non tornerà più a Capracotta. Agli inizi di gennaio dell’anno successivo, verrà elevato al trono del Regno delle Due Sicilie per la morte del padre Ferdinando.