Nonna Guglielma in una foto giovanile e in una foto degli anni Trenta scattata da Nicola D’Andrea
Alcuni giorni or sono ho avuto occasione di parlare con mia figlia maggiore, Daniela, dei suoi ragazzi più grandi: rispettivamente di 22 e 18 anni; ed io, quasi eludendo un quesito tutto mio, le chiedevo se, a suo giudizio, ho fatto e faccio tuttora abbastanza per restare nei loro ricordi come “nonno”: specie quando sarò scomparso.
Mi ha risposto che non è per meriti speciali che un nonno viene ricordato: tanto meno per i benefici economici o materiali che cercasse di garantire ad un nipote; a riprova di tutto ciò, secondo lei, deporrebbe la mia stessa testimonianza, essendosi convinta nel tempo, pur non avendo mai conosciuto mia nonna Guglielma, che a mantenere viva in me la sua memoria dopo tanti anni dalla sua scomparsa, siano solo i suoi insegnamenti ed il suo esempio: certamente quindi un’eredità del tutto spirituale.
In ogni caso ho deciso di cimentarmi, pur sommerso da tanti ricordi, con la sua splendida figura, alla riscoperta di tutto ciò che possa avere, in qualche modo, contribuito alla mia crescita ed alla mia personalità: persino così in ritardo, ora che ho raggiunto la venerabile età di 78 anni.
Inizio dal fatto che la nonna materna, l’unica che abbia avuto la fortuna di conoscere, aveva affrontato con molto spirito di sacrificio l’avventura di raggiungere, negli anni ’30, mia madre Cesarina nel Molise dalla provincia di Ferrara; le sarebbe poi restata sempre accanto consentendole di dedicarsi al suo impegnativo lavoro di ostetrica e poi anche alla gestione della sua famiglia dopo il matrimonio con mio padre Ottaviano nel 1940: e non va dimenticato il momento storico di allora, in cui le disparità socio-culturali tra le regioni del Nord e del Sud Italia erano enormi, senza contare le abissali differenze climatiche ed ambientali.
Nelle riflessioni di questi giorni il mio pensiero è andato soprattutto alle motivazioni, davvero inimmaginabili, di grande riconoscenza nei confronti di una persona tanto modesta: a prescindere, s’intende’, dal naturale legame affettivo costruitosi in tenera età e poi consolidatosi successivamente fino alla scomparsa della nonna, nel 1972, all’età di 86 anni.
Si trattava, è vero, di una donna di “altri tempi”, nata nel 1886, cresciuta in una umilissima famiglia di origine romagnola e soprattutto con la sola licenza di scuola elementare: ma con l’ammirevole coraggio di seguire, da giovanissima emigrante, il marito, a Boston, nel Nord America all’inizio del secolo scorso; costretta poi a rientrare, al termine della prima guerra mondiale, per diversi eventi anche luttuosi in ambito familiare, aveva affrontato ogni genere di difficoltà e di rischio: compreso quello di “siluramento” del vecchio piroscafo che la riconduceva in Italia; aveva persino viaggiato con due bambini piccoli, mia madre e l’altro figlio minore, Nando: che successivamente sarebbe tornato negli Stati Uniti per viverci stabilmente e che la nonna rivedrà e riabbraccerà in Italia solo nel 1962.
A questo proposito una digressione per testimoniare che la prolungata separazione da quel figlio ha sempre rappresentato l’unico grande cruccio che si disegnava sul suo volto, rigandolo di lacrime ad ogni sua lettera: e pensare che lo zio, arrivato fino al porto di Napoli con l’esercito americano durante la seconda guerra mondiale, non ebbe modo di raggiungere Capracotta durante una brevissima licenza.
Così la nonna era certamente più che temprata da tante vicissitudini ma stavo quasi dimenticando la più grave e cioè la tremenda patologia del marito, il nonno Aldo, di cui porto il nome; ammalatosi infatti di “encefalite letargica” subito dopo la pandemia influenzale di cosiddetta “spagnola”, sopravvisse in uno stato di semicoma per oltre 6 anni: ancora nel suo paese di origine, ma sempre amorevolmente assistito in casa.
Ciò nonostante la nonna, con l’aiuto di sorelle e cognati, era stata in grado di mantenere la famiglia in Italia, gestendo una piccola attività commerciale nel comune di Sant’Agostino in provincia di Ferrara: fino al momento in cui, di nuovo abbandonando ogni àncora di sicurezza, ebbe la forza d’animo di ricominciare da capo in un altro luogo sconosciuto; scherzosamente anzi, non perdeva occasione per raccontare delle sue minori difficoltà con la lingua inglese in America piuttosto che con il dialetto del paese: piccolo, ma fiabesco borgo di alta montagna in cui, da vera “capracottese di adozione”, si era splendidamente integrata assai prima e forse meglio di mia madre.
Non è certamente possibile riassumere tutto degli anni che ho avuto la gioia di vivere accanto alla nonna, che non si era certo risparmiata per me e la mia famiglia assistendo, in ordine di tempo, anche la prima sorellina Antonietta (deceduta a soli 14 mesi), poi Maria Cristina ed infine il caro Carlo, (portatore di Sindrome di Down e scomparso nel 2020): per cui, tantissime volte, ha davvero superato sé stessa.
Qualche accenno perciò, solo ad alcuni tra gli eventi minori, forse neppure in ordine cronologico, che mi legano di più al ricordo della nonna: ma consapevole che non riuscirò a focalizzare, sarebbe bellissimo farlo! le “pietre miliari” del mio percorso educativo; di tutte mi sento comunque debitore nei suoi confronti, a cominciare dai princìpi elementari della Fede e della pratica cristiana.
Ho l’imbarazzo della scelta, ma è scontato che cominci da quando la nonna, scandalizzando anche mia madre, mi protesse dal freddo nella nostra Cappella, al Cimitero, mettendomi a riposare in un loculo vuoto sovrastante quello della mia sorellina scomparsa; era in corso infatti, la distruzione di Capracotta per rappresaglia nei confronti delle truppe alleate ed i civili, me compreso a tre mesi di età, avevano dovuto rifugiarsi nelle Chiese o, appunto, nel Cimitero.
Solo qualche anno più tardi, quando la nostra casa era stata appena riparata, la nonna non esitò a svegliarmi bruscamente, a notte inoltrata, portandomi in braccio e di corsa sul davanzale della finestra in cucina; i vetri erano ghiacciati per una delle consuete tormente di neve ma ciò che poi mi mostrò, con l’aiuto di una moderna torcia elettrica, mi lasciò senza fiato: era un bellissimo esemplare di lupo appenninico che ululava nella neve e che fu protagonista di una bellissima fiaba affinché tornassi poi a dormire tranquillo.
Superfluo sottolineare la delicatezza di linguaggio e l’affettuosa cautela con cui, molto più tardi, la nonna, pur non conoscendola certamente dal punto di vista genetico, mi informò della grave patologia ereditaria di Carlo esortandomi ad essere vicino alla mamma: ed ancor più a papà Ottaviano, che lei considerava davvero come un figlio e che vedeva particolarmente disperato in quel triste periodo.
Molto emozionante per me fu anche l’occasione in cui pure, a meno di 7 anni, mi soccorse lo sguardo della nonna nel 1950, quando fu accolto a Capracotta lo storico “spartineve” acquistato dai concittadini emigrati in America; così piccolo infatti, ero stato incaricato di offrire dei fiori e di recitare sul palco una poesia alle autorità; ma non cessava, tuttavia, la mia grande tensione emotiva: che svanì quasi per incanto, solo accorgendomi che la nonna, ospite di cari amici in una casa vicina, mi rassicurava dalla finestra con il suo linguaggio “degli occhi”.
La prova maggiore del suo affetto e della sua dedizione resta comunque quella in cui non esitò a fare in modo che io e mia sorella potessimo proseguire gli studi: rispettivamente il Ginnasio e gli ultimi due anni di Scuola Media; sebbene ancora di aspetto giovanile, la nonna era infatti già cardiopatica e fu un grandissimo sacrificio gestire per noi un miniappartamento preso in affitto a Campobasso.
A me intanto che, a suo giudizio, avevo dato prova di maturità e di collaborazione in quel periodo, aveva già in mente di concedere uno dei pochi, veri e magnifici “regali” che io abbia mai ricevuto: destinò a me, infatti, alcuni suoi risparmi perché potessi acquistare, cosa eccezionale per la mia età e per i tempi, uno scooter “Vespa” 125; e non mi spiego davvero come potessero associarsi l’austerità e talora la severità della nonna con tanta, indulgente “complicità”.
Più tardi mi sostenne moltissimo nell’impegnativa scelta di accedere agli studi universitari ed in particolare alla facoltà di Medicina e Chirurgia: in un momento tutt’altro che facile per i miei genitori, anche dal punto di vista economico; eravamo stati costretti infatti, già per la mia iscrizione al Liceo, a trasferirci a Boiano e fu irto di difficoltà anche il nuovo inserimento professionale della mamma: nel comune, immenso dispiacere di esserci allontanati da Capracotta, anche allora mitigato dal sostegno e dalla forza d’animo della nonna.
Sempre facendomi da spalla infine, fu lei la prima confidente ad apprendere da me, nel 1966, del mio amore per Anna, che avrei poi sposato nel 1971; ed in quegli anni di attesa, a parte una sua singolare, quanto discreta “catechesi” sul matrimonio, rimase più che mai espressivo ed eloquente il suo sguardo.
L’occasione delle mie nozze fu l’ultima, che mi consentì di avere accanto la nonna; ricordo che, seduta vicino a Carlo in Chiesa, sembrava aiutarlo a pregare anche per noi ma, purtroppo, aveva già dimostrato di perdere parzialmente la sua lucidità mentale: senza contare le tante crisi di scompenso cardiaco e/o di “edema polmonare acuto” per cui avevo sempre cercato di raggiungerla e sostenerla, da Roma e poi dall’Aquila; mi consolava un po’, ogni tanto, l’impressione che bastasse la mia presenza per rasserenarla (?).
Conoscevo il suo desiderio assoluto di essere ricondotta, dopo la sua morte, nel Cimitero del suo paese di origine e non abbiamo esitato ad assecondarlo allorché ci ha lasciati: era il minimo che potessimo restituirle; allorquando, tuttavia, anche il carissimo fratellino Carlo è scomparso circa 2 anni or sono, ho voluto che il sorriso giovanile di una splendida immagine della nonna fosse inserito nel marmo della sua lapide.
Ritornando ora, per un attimo, al tentativo di riscoprirne l’eredità spirituale, è stata di grande aiuto per me, in questi giorni, la lettura iniziale di uno straordinario volume sul “Paradiso” di Dante Alighieri (Nembrini -Dell’Otto -D’Avenia Edizioni Mondadori 2021); nella sua introduzione infatti, a proposito di alcuni personaggi emblematici della “Commedia”, mi ha colpito molto il seguente interrogativo:
“da dove prendevano tanta saggezza delle persone così semplici e poco istruite?”
ed è stata per me davvero illuminante la risposta degli autori: “dall’obbedienza alla realtà, che consentiva loro di essere comunque attive e creative, e dalla pur faticosa consuetudine di riconoscere i segni di ciò che la vita e la natura presenta ai loro occhi”.
Assai verosimilmente perciò, è proprio sul completo abbandono di queste persone che si fonda la loro capacità di riconoscere e di accettare la volontà di Dio in ogni circostanza; mi sono, in altri termini, convinto che siano proprio queste radici ad alimentare la straordinaria saggezza di persone come la nonna: fino a dotarle di una vera e propria “pedagogia dello sguardo” e di una incredibile, quanto efficace “espressività visiva” di cui ho beneficiato, magari inconsapevolmente, in chissà quante occasioni.
Per concludere, il 14 ottobre 1972 ero davvero inconsolabile specie perché temevo di aver perduto irreparabilmente, con la scomparsa della nonna, l’ausilio di quello “sguardo” ed invece mi accorgo con gioia che riesco tuttora a percepirne i “segnali”; si rinnova così la speranza, sia pure immeritata, che almeno un barlume di quella luce, la sua vera, indistruttibile eredità, brilli tuttora, almeno ogni tanto, anche nei miei occhi (e dei cari nipoti? chissà!).
Intanto, riposa nella Pace del Signore, carissima nonna Guglielma: nella certezza che non cesseranno, specie in questo ancor più difficile periodo, le tue Preghiere.
Ti abbraccio forte.
Aldo Trotta