Il 2021 si avvia alla conclusione: un altro anno di “esilio”?

Il monumento all’emigrante. Foto: www.capracottatracking.com

Quando ero ragazzo, specie durante il periodo delle vacanze estive, avevo spesso l’impressione che le giornate ed i mesi fossero tanto lunghi: sebbene allora non mi potessi certo annoiare nel favoloso ambiente di Capracotta; ricordo tuttavia che mia nonna Guglielma mi esortava spesso a non avere troppa fretta di crescere e di diventare adulto.

Vedrai, mi diceva, come voleranno i mesi e gli anni quando sarai più anziano ed io stentavo davvero a crederle; al contrario, è proprio quanto, invecchiando, sto sperimentando nettamente.

Oggi, durante la celebrazione della santa Messa in questa domenica di autunno avanzato, riflettevo alla prossima fine dell’anno liturgico che precede di poco quella dell’anno solare; possibile che anche il 2021, forse un po’ meno drammatico del 2020, stia già per concludersi?

È davvero così e il calendario non può certo ingannare, ma è stato inevitabile che riaffiorasse in me il disagio di sentirmi tuttora in “esilio” per non essere riuscito a ritornare stabilmente a Capracotta ed a riappropriarmi delle mie radici; e sarebbe troppo lungo e noioso enumerarne ancora una volta le ragioni; sta di fatto che niente e nessuno mi convincerebbe mai che il tono del mio umore sarebbe ugualmente così depresso se avessi potuto farlo.

A tale proposito, mi piace ripetere scherzosamente che, col “senno di poi”, avrei certamente scelto di restare ad ogni costo tra i nostri monti: magari facendo lo “spazzino comunale” o meglio, secondo il linguaggio moderno, l’“operatore ecologico”: nel massimo rispetto, s’intende, per questo prezioso genere di attività; e non manco mai di aggiungere che, tra l’altro, mi sarei tanto divertito nel periodo invernale, quasi sempre immerso nella così amata neve di quello splendido paese e forse illudendomi di “restare bambino” (?).

Ho avuto poi l’occasione, specie in questi due ultimi travagliati anni, di riflettere al profilo di molte persone che hanno animato la mia infanzia e la mia adolescenza: mi è stata di grande aiuto infatti, una vera e propria fioritura di pregevoli racconti biografici, con diverse ed assai vivaci testimonianze scritte; esse hanno prodigiosamente ricondotto alla mia memoria tante figure, apparentemente molto eterogenee e spesso di assai umile estrazione: che ho davvero invidiato semplicemente perché vissute sempre in paese.

Erano tutte accomunate da grande umanità e potrei fare molti esempi, quanto mai espressivi dell’antica saggezza popolare: da Paièle (lo spazzino) a Lucia (di ‘Milione) o a Manduccio (il postino); da Gildonio (il banditore) a Vincenzo Di Nucci (il custode della “Madonna”).

A proposito di quest’ultimo, non nascondo che in diverse occasioni del passato ho incredibilmente sognato lo stesso suo ruolo, persino desiderando di abitare come lui accanto al Santuario della Vergine cui è dedicata la festa dell’Otto Settembre; e mi piace ricordare che sulla sua lapide, al Cimitero, compare la straordinaria iscrizione “Vincienz …’la Madonna”): sono certo che si tratti del più bel soprannome mai utilizzato a Capracotta.

A tutti, anche ai tantissimi che certamente non ho potuto citare, ho dedicato un ricordo speciale ed una umilissima Preghiera durante una mia visita recente, quasi un religioso pellegrinaggio, nel nostro Campo Santo: ed ho avuto la netta impressione che dalle sbiadite immagini fotografiche dei vecchi loculi, diversi di loro rimproverassero affettuosamente il mio testardo egoismo di sentirmi sempre…”in esilio”.

In seguito, assai provvidenzialmente, mi son trovato a rileggere con rinnovata attenzione e commozione il bellissimo volume “A la Mèreca”, ideato e realizzato dal compianto e caro amico Domenico Di Nucci: dedicato, come è noto, alle storie travagliate e spesso eroiche di tanti antichi emigranti capracottesi: di cui è comunque incredibile la forza d’animo e confesso di aver provato rimorso ancor più grande per il mio irriducibile sconforto; altro che “resilienza” quella dei nostri cari concittadini, costretti all’emigrazione per motivi imprescindibili di sopravvivenza!  

Nulla di lontanamente paragonabile alla mia, pur sofferta, condizione di “esilio” attuale: ne sono umilmente e ragionevolmente convinto.

Ciò non mi impedisce tuttavia, pur rischiando di smentire ciò che ho appena detto, di manifestare ancora una volta la mia grande ed affettuosa simpatia per alcuni, eccezionali personaggi capracottesi che non sono proprio riusciti ad accettare il doloroso destino dell’emigrante; come l’ineffabile, valentissimo calzolaio Vincenzino Di Nardo, per tutti “Dun Checchine”, che giustificava così il suo imprevisto ritorno in paese dopo pochi mesi di soggiorno e di lavoro in Argentina:

“ca me vuoglie murì alla casa méia!”

(“perché voglio morire nella mia casa!”).

Io, in assoluta condivisione del suo pensiero e del suo insegnamento, non esiterei ad esprimere con altrettanta forza lo stesso insopprimibile anelito, ma so bene che non riuscirei ad essere altrettanto convincente: me ne dispiace moltissimo.

Un abbraccio a tutti gli amici ed ai cari concittadini vicini e lontani.

Aldo Trotta