I sacerdoti di Capracotta in una foto del 1910 del Cav. Giovanni Paglione
Tra le tante battute famose, rimaste nella memoria paesana, se ne annoverano tre relative ad un “astuto e furbacchione” prete degli inizi Ottocento, ricordato nell’ambito della nostra famiglia come il figlio di un cugino del mio bisnonno Pasquale dell’Armi (1863-1950).
Questi tre detti, trascritti negli anni ’70 dal nostro Gregorio Giuliano in una raccolta di nomignoli, nomi di strade, modi di dire, proverbi, battute e motti spiritosi, fanno sovvenire la figura di questo prete intraprendente che si innesta nella storia della nostra Chiesa di Santa Maria di Loreto di quel tempo. Ma prima di parlare della sua fervida attività e di descriverne la figura, piace rievocare le sue tre battute, insieme al contesto dell’evento dal quale scaturirono.
In una di queste è riportata l’espressione: “solo il mio sà di saette!”, conseguente ad una riunione di preti dietro il coro della Chiesa Madre, in un intervallo delle funzioni della Settimana Santa a Capracotta di molti anni addietro.
Erano una diecina i preti ivi riuniti e, avendo costoro deciso di sorbire un caffè, fu normalmente in ogni tazzina messo dello zucchero; in quella di don Antonio, una mano…cattiva pensò, invece, di metterci del sale alimentare. Dopo il primo sorso, il reverendo che era malvisto e trattato male dai suoi non troppo venerabili colleghi, dopo che tutti gli altri, invece, ne avevano apprezzato l’aroma e il sapore, pronunciò lo spiritoso detto.
Un altro episodio è collegato a un suo viaggio a Napoli, dove, in un’osteria don Antonio si recava per pranzare, dei malviventi, pure loro colà presenti, all’oste avevano ben pensato di dire che erano parenti del prete, il quale avrebbe, poi, provveduto a pagare. Questi, però, dopo aver mangiato, furtivamente si dileguarono. Avendo terminato il pranzo, al momento di pagare, l’oste chiese a don Antonio denaro anche per gli improvvisati e scrocconi parenti, ma costui, avendo capito di essere vittima di un’abile truffa ai suoi danni, di rimando, andandosene, così gli rispose: “e adesso fatti pagare dagli amici tuoi”.
Un’altra storiella è ambientata in una vigna (Agnone?) dell’avv. Luigi Campanelli di Capracotta.
Questo prete briccone, considerato per l’occasione della vendemmia uomo di piena fiducia, presentò al vignaiolo l’autorizzazione dell’avvocato a seguire le operazioni, A lavoro ultimato, rivolgendosi a costui inducendolo a maggiorare alcune voci del conto, gli disse: “e fagli pure delle buone spese”: in tal modo avrebbe spillato più ducati al suo gabbato compaesano!
Dopo queste note, a parte quanto si è appurato, piace ricordare tale figura attingendo notizie dal testo di Luigi Campanelli” La Chiesa Collegiata di Capracotta” del 1926.
In questa opera si legge che nel 1842 i preti a Capracotta erano 12, retribuiti dalla Commissione di Beneficenza la quale ricavava le prebende, pari a 190 ducati annui per costoro, dalle molteplici ricchezze della Chiesa di Santa Maria di Loreto.
Dopo il 1842 e fino al 1852, altri compaesani si orientarono verso il sacerdozio, forse in attesa di sostituirsi nel posto alla morte di qualche vecchio canonico.
“Uno di essi fu don Antonio dell’Armi, che, aveva abbracciato il sacerdozio dopo essere stato avviato ad un più umile mestiere, che spesso gli fu rinfacciato. Ma era uno di quei furbacchioni che sanno insinuarsi presso personaggi altolocati o influenti e sanno spillare favori piagnucolando su proprie avversità e miserie. Sospettoso e guardingo, scurrile motteggiatore, se veniva provocato, si diceva che portasse nascosto sotto la sottana un pugnale, e che un giorno, con questo nella mano avesse aggredito, minacciandolo, il suo più ostinato avversario, il Segretario del Capitolo, il quale parecchi ricorsi aveva steso contro di lui don Vincenzo Santilli, mentre il poveruomo, seduto nella latrina dietro il coro, ponzava tutt’altro che ricorsi”
Recandosi spesso a Napoli presso il Direttore della facoltà di Teologia dell’Università mons. Cocle, costui seppe riuscire a farsi nominare 13° canonico con l’incarico di Custode delle suppellettili sacre della chiesa di Santa Maria di Loreto. La nomina fu osteggiata da parte degli altri preti che fecero ricorso alla Commissione dei Vescovi, in quanto venivano a ridursi le entrate per loro, essendo assegnata a don Antonio una prebenda annua di 58 ducati. Il caso arrivò a Roma al Papa Pio IX il quale, con una sua Bolla del 15 maggio 1854, stabilì definitivamente la convalida della nomina di 13° canonico ed una giusta prebenda annua pari a 40 ducati.
Il contesto dei motti e la storia…lavorativa di don Antonio evidenzia un birbone intelligente con una incessante voglia di emergere, insieme alla costante ricerca di denaro, anche con metodi e comportamenti non troppo da… prete!
Felice dell’Armi