In prossimità del santo Natale mi svegliava spesso, da bambino, il suono dolcissimo delle nostre “ciaramelle”, le classiche “zampogne” molisane, simbolo di un’antica tradizione che ci accompagnava per molti giorni nel periodo dell’Avvento; era consuetudine infatti che, indossando i loro “mantelli a ruota”, gli zampognari ci allietassero con la Pastorale natalizia in tutte le case: dapprima per la Novena dell’Immacolata Concezione e poi per quella dedicata alla Natività
“Udii tra il sonno le ciaramelle
ho udito un suono di ninne nanne.
ci sono in cielo tutte le stelle,
ci sono i lumi nelle capanne”
Per questo momento di Preghiera le famiglie, anche e soprattutto le più modeste, si raccoglievano davanti al Presepio illuminato, piccolo o grande che fosse: mi pareva così che, anche a Capracotta, riecheggiassero le parole del poeta Giovanni Pascoli ne “LE CIARAMELLE”
“Le pie lucerne brillano intorno,
là nella casa, qua su la siepe:
sembra la terra, prima di giorno,
un piccoletto, grande Presepe”
Perciò, sempre in tema di emozioni, mi piace ricordare che tempo fa ho avuto occasione di rivedere dopo tantissimi anni Ennio, un carissimo amico d’infanzia che avevo completamente perso di vista; giovanissimo infatti, era stato costretto a emigrare come tanti coetanei e confesso di non averlo riconosciuto immediatamente: lui invece, assai più bravo di me, mi ha abbracciato senza alcuna esitazione.
Accortosi poi della mia perplessità, si è affettato premurosamente a ricordarmi ciò che, a suo giudizio, aveva contribuito a tener vivo il suo ricordo per me: il bellissimo Presepio che, con tanta pazienza, mio padre Ottaviano mi allestiva in casa e che gli piaceva moltissimo; sarebbe stato anzi, lietissimo di averne uno altrettanto suggestivo.
Mi raggiungeva spesso, infatti, talora insieme agli zampognari sentendo un po’ come anche suo quel Presepio; e, in effetti, lo era davvero giacché ogni anno, insieme ad altri amici, mi offriva la sua preziosa collaborazione: sia raccogliendo il muschio in montagna prima che fosse ricoperto dalla neve, sia cercando nel bosco delle fantastiche radici di legno, già naturalmente sagomate per le diverse esigenze del cantiere natalizio.
Si fermava poi a lungo, specie nei giorni di vacanza dalla scuola e magari mangiando un dolcetto insieme a me: sempre più entusiasta delle casette di cartone che mi regalava mio cugino Ezio: che erano mirabilmente realizzate e dipinte a mano, vere e proprie opere d’arte in quegli anni remoti e già preludio del suo brillante futuro di ingegnere.
In ognuna di esse tra l’altro, tanto più nella capanna della Natività o dietro la volta azzurra del cielo, tutta di carta trasparente, restavano sospese delle piccole luci: proprio come nei versi del poeta:
“Nel cielo azzurro tutte le stelle
paion restare come in attesa:
ed ecco alzare le ciaramelle
il loro dolce suono di Chiesa”
Troppo facile, a questo punto, cedere alla tentazione di una puerile nostalgia, ma confesso che non riesco proprio ad accettare l’indifferenza attuale di tante persone o, peggio ancora, la loro malcelata derisione per queste innocenti espressioni di Fede popolare: specie in un periodo che pure ci ha offerto tanti preziosi spunti di riflessione e, perché no?, di ravvedimento.
Senza timore, perciò, di “rispetto umano”, io continuo a rimpiangere i giorni in cui si spandeva per tutta la casa il profumo del panettone scuro che mia nonna Guglielma preparava in largo anticipo e che, purtroppo, non ho più gustato dopo la sua scomparsa; era diventato del tutto naturale che lo chiamassi con il nome del suo dialetto in Emilia-Romagna: “pan da Nadèl” (“pane di Natale”): guarda caso, la stessa regione di Giovanni Pascoli.
Farei ancora l’impossibile, e non è un modo di dire, per rivivere la calda atmosfera che si creava in casa, spesso così in contrasto con il gelo esterno, durante la notte di Natale; mentre scorrevano le “Ave Maria” del santo Rosario recitato insieme e tutti, bambini compresi, collaboravano sereni alla preparazione, o meglio alla Benedizione del cibo per la Festa.
Sorvolo, infine, sul mio indicibile dispiacere di non poter partecipare alla santa Messa della Natività a Capracotta; farei chissà cosa, come ho sempre ripetuto, pur di riascoltare “dal vivo” la “ninna – nanna” (in dialetto capracottese “ninna-nonna”) del nostro amatissimo organo: che, neanche a dirlo, riproduce mirabilmente il suono delle “zampogne”.
Risuonano così, quasi in chiave teologica, i versi del poeta:
“O ciaramelle degli anni primi,
d’avanti il giorno, d’avanti il vero,
or che le stelle son là sublimi,
conscie del nostro breve mistero”
Perciò, nel piccolo, grande mistero della mia mente, mi sorprendo a riflettere sul significato esistenziale della Stella Cometa e della sua Luce che, come ogni anno, vorrei illuminasse anche me;
sarò in grado di trasformarla in rinnovata energia spirituale?
Non so davvero rispondere a questa impegnativa, certamente provocatoria domanda, non dimenticando tuttavia la famosa massima che, saggiamente, ammonisce:
“è impossibile ammirare la Stella di Natale se si attende di vederla prima di mettersi in viaggio; si potrà invece scoprirne la Luce e godere del suo splendore solo allorquando ci si è già messi in cammino per cercarla”.
Così spero vivamente che, nonostante il travagliato periodo attuale, si possa ripartire con maggiore coraggio: ed è l’augurio che rinnovo di cuore a me stesso, come a tutti: pregustando, ancora una volta, la gioia cristiana del santo Natale.
Sempre rivolto, infine, alle “ciaramelle che, ancora una volta “sono venute dai monti oscuri”, con lo stupore di quando ero bambino davanti al Presepio, non mi vergogno di ripetere:
“Prima del grido delle campane,
fatemi dunque piangere un poco”
BUON NATALE e un ABBRACCIO A TUTTI: vicini e lontani
Aldo Trotta
“Ti rendo lode, o Signore perché hai
nascosto queste cose ai grandi ed ai
sapienti e le hai rivelate ai piccoli “
(Mt- 11, 25-27)