Foto: Sebastiano Falcone
“I miei pastori vanno pel tratturo antico al piano” scrive D’Annunzio facendo riferimento alla via naturale formata nel Tavoliere delle Puglie dai grandi armenti che scendevano lì per il pascolo dall’Abruzzo. Molti autori capracottesi hanno parlato della nostra transumanza a causa della quale i pastori con le loro greggi raggiungevano la Puglia prescelta per le sue condizioni climatiche e ambientali favorevoli.
Gli uomini con i loro figli maggiori affrontavano un viaggio spesso lungo ed estenuante vivendo un periodo di duro lavoro, di privazioni, in alloggi sperduti e improvvisati con la nostalgia nel cuore e l’incertezza dell’esito dell’impresa.
La scrittrice e poetessa pugliese Fulvia Miani Perotti, vissuta tra il 1844 e il 1931 tra la Puglia e la Toscana, grazie alla sua agile penna dal potere immaginifico straordinario descrive dettagliatamente il mondo, le usanze, l’ambiente che i nostri antenati trovarono nella regione del Sol Levante. L’ autrice di novelle mi fornisce lo spunto per immergerci nella Puglia di fine ottocento, per farci osservare quelle distese praterie dove i pastori conducevano le greggi. Essi partivano a settembre per tornare a Capracotta in primavera. “Settembre – cito la poetessa- era un mese sempre umido, piovoso e fresco. La flora autunnale spandeva dolci profumi che imbalsamavano l’aria purissima”. E ancora: “passata la stagione estiva, cadute le prime ed abbondanti acque autunnali, sopravvenuto il verno con i forti venti a spazzare i miasmi (di zone paludose), risanato l’ambiente, la regione deserta e muta si ripopola e si rianima. Ritornano sui terreni i contadini, fervono i lavori dei campi e laddove si stendeva il silenzio e lo squallore, si agita e si spande una nuova vita”.
Mi piace pensare che in questo paesaggio vivificato dalle piogge, i nostri pastori abbiano trovato ristoro alla fatica del viaggio e, magari, un’accoglienza propizia al loro insediamento temporaneo. Le greggi avranno apprezzato “le erbe nascenti vivificate dalla brezza marina “, i pastori avranno ascoltato “le mille voci e gli accenti diversi” provenienti dai campi. I nostri “emigranti” “camminavano su un terreno umido sul quale spesso si affondava. Intorno ginestre fiorite macchie di timi, (…) di spini, di cardi coprivano il terreno nascondendo fenditure e crepacci”. Ancora la scrittrice:” Numerosi armenti scendono dalle alture, sbucano dalle corti e dagli ovili a brucarvi timi e mentastri tanto appetiti. Si ode ovunque un tintinnio di campanelle e canti di giovani contadine”. Il racconto, poi, si fa dovizioso di particolari nel descrivere il modo in cui ci si preparava al Natale. I grandi proprietari terrieri imbandivano lauti banchetti per amici e parenti e premiavano il lavoro dei loro contadini con “focacce di farina mista a patate, soffici e leggere, condite con l’olio e l’origano, appena sfornate “.
Nel tempo di Natale si vedevano fumare i comignoli delle abitazioni e dagli usci venir zaffate di forte odore di frittura, di miele arrosolato, di vincotto bruciato, fragranti ed indispensabili condimenti per la confezione delle paste e dei dolciumi tradizionali natalizi. Sulla tavola imbandita vi erano” castelletti di croccante di mandorle e di marzapani, sopraccarichi di confettini multicolori, di stellucce, di banderuole di oro e di argento e poi riso al latte di mandorle, spolverato di zucchero e di cannella”. Mi immagino qualche giovane compaesano guardare queste prelibatezze da una finestra e, magari, avere suscitato la curiosità del padrone di casa che di fronte alla risaputa gentilezza e cordialità della nostra gente gli avrà fatto gustare di certo quelle bontà. Qualcun altro, invece, avrà desinato la sera di Natale come in tutte le altre, con pietanze semplici e frugali, affrettandosi per partecipare alla santa messa. In quella occasione, la nostra scrittrice ci informa che i contadini erano i primi a lasciare la chiesa dopo l’Ite missa est seguiti dalle donne che avevano svegliato frettolosamente i loro bambini addormentatisi tra le braccia delle madri. Esse ”retrocedevano con i figli al collo, avvolti da una trapuntina scura sotto la quale nascondevano il capo e il busto dei poppanti”.
In quei giorni di festa, a Capracotta, le famiglie di quei pastori si saranno riunite a discutere del tempo futuro, di quando sarebbe passato il freddo inverno e tornata la primavera. Di quando le mogli avrebbero rivisto mariti e figli e programmato nuovi lavori nelle campagne.
I passi citati sono tratti da “Novelle” di Fulvia Miani Perotti a cura di Felice Giovine – Centro Studi Baresi 2019.
Clara Dell’Armi