Quando ancora si credeva nella Befana che veniva da lontano sulla scopa a portare doni ai bimbi, la festività a Capracotta si celebrava con modesta e semplice gioia per i piccoli. Modesta e semplice perché era molto angusta la “saccoccia” (tasca) della vecchina per comprare regali e nella “calzetta” (calza) appesa alla “ciummnera” (camino), la mattina del giorno tanto atteso, i bambini potevano scoprire soltanto poche cose: pezzi di carbone, simbolo delle bricconate commesse, qualche caramella, poche “pascterelle” (pasticcini), qualche mandarino, alcuni “caraceni” (fichi secchi). La calza veniva appesa prima di andare ad infilarsi sotto le coperte riscaldate dal “monache” (scaldino con brace), in ansiosa attesa del mattino per poterla svuotare e riferire, poi, agli altri bimbi del quartiere, i regali pervenuti.
L’amico Primiano Carnevale telefonicamente ha raccontato una storiella legata a tale evento. Ha ricordato che nella calza, oltre a trovare quanto sopra citato, scoprì una letterina che la Befana gli aveva scritto e nella quale gli prometteva un giocattolo che però sarebbe arrivato solo dopo una settimana. Attesa spasmodica furono per lui quei sette giorni fino a quando arrivò un perfetto autocarro di legno che il padre e suo zio avevano amorevolmente e con sapienti mani prodotto nel loro attrezzato laboratorio. Inutile dire della gioia con cui il dono, meraviglioso (per quei tempi), fu accolto dal fortunato destinatario.
Non tanti anni prima, correva l’anno 1928, la povera vecchina era stata arruolata, suo malgrado, dal regime e, da allora in poi, era diventata la “Befana fascista”. Numerosi commercianti e industriali erano stati “sensibilizzati” dai gerarchi affinché regalassero dolciumi e giochi per confezionare pacchi da donare, il sei gennaio, ai bambini più poveri, presso le case del Fascio. Già nel 1931 i pacchi raccolti e distribuiti furono oltre un milione. Fu allora che Mussolini, sorpreso dal grande successo dell’iniziativa, volle intestarsela e la signora con la scopa, ancora una volta nolente, divenne “La Befana del Duce”.
Tornando ancora più indietro nel tempo, in quel Molise terra di sentite tradizioni religiose frammiste a riti magici o propiziatori, provenienti dalla notte dei tempi, la notte tra il cinque e il sei gennaio era già una notte di attesa trepidante, evocativa e beneaugurante, ma i destinatari non erano i bambini bensì giovanette ormai in età da marito. La tradizione richiedeva, appunto, che quella notte le ragazze nubili, prima di andare a dormire, pronunciassero una formula di buon auspicio che recitava così: PASQUA BBEFANIA, PASQUA BUFFATE, / MANNEME NSUONNE QUILLE/ CA DIE M’HA DESTINATE.
Credevano, infatti, che se quella notte avessero sognato un ragazzo, costui sarebbe diventato il compagno di tutta una vita.
Felice e Clara dell’Armi