Un antico sogno… a “due ruote”: la bicicletta e lo scooter

Non sarà facile la comprensione di quanto scriverò, specialmente per i miei due nipoti più grandi, Lorenzo e Andrea, di 22 e 18 anni: troppo radicali, infatti, i cambiamenti socio-culturali, ambientali e tecnologici intervenuti negli ultimi 50-60 anni.

Mi piace comunque il tentativo di raccontare, anche per loro (?), il mio antico sogno, a … “due ruote”, da bambino e poi da adolescente a Capracotta: dapprima quello di una bicicletta e poi quello di uno scooter e arriverei certamente anche alle “quattro ruote” se non temessi di annoiare.

Premetto che questa mia passione risale a quando ero piccolo, già pochi anni dopo la seconda guerra mondiale: cui avevo davvero rischiato di non sopravvivere; in quel periodo, nel paese ancora semidistrutto, era eccezionale incrociare una bicicletta e tanto più una moto: gli unici mezzi in circolazione erano alcuni vecchi camion da lavoro e pochissimi autobus: per non parlare delle ancor più rare automobili private come la storica “Balilla” del caro Leo Conti, consorte di mia cugina Cecilia.

Solo più tardi qualche coraggioso pioniere acquistò una moto, ad esempio l’arciprete don Nicola Angelaccio una “Gilera” rossa e il veterinario dottor Giuseppe Turchetti una “Mondial” argentata; comprensibili perciò, a mio giudizio, le ragioni per cui è rimasto così vivace il ricordo, nella mia generazione, per l’arrivo a Capracotta del moderno spartineve americano nel 1950: che infatti segnò l’inizio di una più diffusa motorizzazione.

Come non citare, ad esempio, la FIAT 1400, di color verde scuro della famiglia De Renzis, targata CB 7013?  Ricordo che allora il nostro comune apparteneva alla provincia di Campobasso.

Tornando al mio sogno, ebbe inizio quando avevo circa 5 anni in un periodo in cui i miei genitori trascorsero alcuni giorni di vacanza al mare, a Pescara, che papà conosceva per averci lavorato prima della guerra; in realtà non assecondai molto il loro riposo a causa della mia patologica insofferenza per il sole e per il caldo, tanto è vero che, anche al momento attuale, tollero malissimo il clima di una località costiera; ebbi modo tuttavia di visitare, per la prima volta, una città con le sue luci ed i suoi negozi.

Così, più imbronciato che mai, un giorno rimasi letteralmente incollato ad una vetrina di giocattoli non riuscendo a staccare il mio sguardo da uno scooter a pedali, identico al popolare modello della Vespa le cui immagini comparivano su tutti i giornali.

La mamma fece molta fatica non solo a distrarmi da quella vetrina, ma soprattutto a rabbonirmi: già consapevole, tuttavia, che negli anni successivi non le avrei dato tregua su questo fronte e che la mia passione non si sarebbe certo affievolita.

Qualche tempo dopo infatti, nel periodo estivo in cui c’era tanta gente in paese, verificò che io ero in grado di riconoscere, dal rumore del motore e restando seduto a tavola, non solo il modello di auto che passava sotto casa, ma persino il suo proprietario: distinguevo cioè, anche la diversa sonorità dello scappamento tra veicoli in apparenza uguali; ed ebbe origine, da allora, anche la mia singolare capacità di rammentare i numeri di targa: mantenuta poi, nel tempo, ed estesa a tantissime autovetture di amici e conoscenti.

Fu necessario che attendessi la conclusione della scuola elementare e poi dell’esame di ammissione alla scuola media, per le mie prime “due ruote”; finalmente, un giorno in cui papà tornò in autobus a Capracotta, colsi nel suo sguardo un alone di mistero perché stava facendo scaricare, con mia incredibile sorpresa, una bicicletta di marca “PULCINI”: certamente non molto famosa, ma perfetta per la mia fascia di età e poi utilizzata a lungo anche dalla mamma.

Mi dispiace tantissimo che non sia stata conservata!

Eravamo nel giugno 1954 e non fu casuale che papà l’avesse comprata a Pescara, forse per compensarmi della delusione sofferta anni prima, ma non poteva immaginare che nel mio “cassetto” ci fosse già un altro, ancor più ambizioso “sogno”, quello di uno scooter.

Non passò inosservato infatti, nella mia camera, un avveniristico poster in cui si riconosceva il celebre attore francese, Ives Montand, quello del famoso film “Uomini e lupi” ambientato a Scanno; non ricordo davvero chi me lo avesse portato ma, neanche a dirlo, faceva pubblicità alla Vespa, di cui appresi più tardi che era stata progettata da un ingegnere abruzzese, Corradino D’Ascanio.

Al termine della scuola media solo la nonna Guglielma conosceva il segreto dell’altro mio, insopprimibile desiderio; si stava profilando infatti, il sofferto trasferimento di residenza che mi avrebbe consentito di proseguire gli studi, ed ero già triste e preoccupato; così, anche un po’ per reazione psicologica, diventai davvero noioso nella mia richiesta assillante, di cui pure non sottovalutavo la portata.

Nel frattempo qualche altro pioniere cominciava ad avere uno scooter a Capracotta: ad esempio il compianto professor Romeo Paglione e poi l’amico Pietro Carugno: mi risulta anzi che la sua Vespa, targata “CB 6016” e utilizzata persino in alcune esposizioni storiche, sia tuttora in perfette condizioni.

Tornando ora al mio racconto la nonna, in assoluto la mia migliore confidente, facendomi quasi da garante riuscì a farmi vincere la contrarietà e il timore dei miei genitori: e pensare che, in tante occasioni, mi era parsa molto severa nei miei confronti!

Fu così che una mattina, a neppure 15 anni, mi consentirono di andare in autobus a Campobasso portando con me la strabiliante somma di 120.000 vecchie lire; comprai infatti, nel 1958, l’ultimo modello della Vespa 125, la prima con il faro in alto, ma nessuno fino a quel momento, mi aveva insegnato a guidarla. Perciò non avrei certo potuto tornare a Capracotta e fui costretto, conducendola a mano, a parcheggiarla nell’androne della vicina casa di zio Romeo Trotta.

Dopo qualche giorno si offrì di andarla a prendere un nipote acquisito della mamma, il caro zio Renato Mosca: che finalmente me la consegnò ed io dimostrai di saperla utilizzare subito, sebbene su brevi percorsi inizialmente, e su strade non trafficate: in quegli anni remoti non era neppure necessaria la patente e mi sentii davvero un privilegiato.

Superfluo aggiungere che la Vespa è stata la mia più grande amica per circa sei anni, almeno fino alla pur agognata stagione delle “quattro ruote”; si rivelò davvero provvidenziale, tra l’altro, per il mio andirivieni da e per Capracotta e sia pure, ogni tanto, a costo di un imprevedibile acquazzone estivo.

A questo punto sarebbe bello che potessi soffermarmi sui tanti altri momenti di serenità e di svago che quello scooter mi ha consentito; non è certamente possibile, ma voglio solo accennare all’unico e per fortuna innocuo incidente cui sono andato incontro guidandolo.

Fu all’imbrunire di un giorno a fine settembre ed io avevo a tracolla, naturalmente scarico, il mio fucile: altro incredibile regalo della nonna che avevo utilizzato quel pomeriggio, insieme ai miei cugini, per una breve. battuta di caccia.

A breve distanza dal paese avevo incontrato e fatto salire con me sul sellino posteriore un carissimo amico, il compianto Michelangelo Battista quando, verosimilmente per le mani infreddolite, uscii di pochissimo dalla carreggiata stradale; stavo già correggendo la traiettoria, quando la piccola ruota anteriore impattò in un incavo del terrapieno e fui proiettato come da una catapulta, ma senza conseguenze, in un folto cespuglio di vimini: avevo riportato solo un piccolissimo graffio sulla fronte.

Michelangelo, per fortuna altrettanto incolume, era caduto sul manto erboso, a provvidenziale distanza dal mio fucile di cui si era spezzata solo la tracolla: eravamo, guarda caso, a pochi metri dal Santuario della Madonna di Loreto!

Così, concludendo a malincuore il racconto del mio antico “sogno”, confesso che tuttora mi sorprendo spesso ad ammirare per strada una Vespa, anche diversa dalla mia di allora; e, nonostante la mia venerabile età, stento davvero a controllare l’impulso di salirvi, quasi fossi…un ladro: partirei spensierato, come tanti anni fa’ e non sarebbe certamente un mistero la mia destinazione!

Aldo Trotta