La famiglia di mia nonna era fatta di gente notoriamente distratta.
Mia nonna Nietta faceva l’anisetta in casa a S. Pietro Avellana mettendo insieme nell’alcool semi di anice con cannella e buccia di limone, agitando ogni mattina per 15 giorni il vaso di vetro ermeticamente chiuso. Poi vi aggiungeva lo zucchero sciolto nell’acqua calda e lo faceva riposare per una quarantina di giorni, passati i quali filtrava tutto e versava in bottiglie trasparenti.
Su ogni bottiglia incollava un’etichetta fatta con un foglietto ricavato da una pagina a quadretti con la scritta “Anisetta” e la data della preparazione.
La trasparenza del liquore era motivo di orgoglio!
Avendo 10 figli ne faceva anche per regalarla. Così pensò di regalarne una bottiglia a zia Iduccia, la figlia che stava a Capracotta.
Nonna Nietta, però, non si accorse che quella bottiglia confusa tra le altre, pur avendo l’etichetta fatta a mano con la scritta “Anisetta”, conteneva acqua. Semplice acqua.
Zia Iduccia, ricevuta la bottiglia, la mise nella cristalliera, in mezzo ai bicchierini che usava per gli ospiti, senza sapere che contenesse acqua pura.
La mattina dopo passò a consegnare la posta Manduccio, il postino, e zia Iduccia si sentì in obbligo di offrire un bicchierino di anisetta:
“Grazie, cummara Iduccia, cu stu fridde ce va bbuone” e con un sorso Manduccio vuotò il bicchierino.
Zia Iduccia ne fu contenta e con la bottiglia in mano, disse: “Mandu’, fatte n’ate bicchierine ka ste liquore nen fa male”.
“Cummara Iduccia, se è pe queste me pozze beve tutta la buttiglia!”.
Franco Valente