Contadine capracottesi (inizi Novecento). Archivio fotografico: Cav. Giovanni Paglione
I nostri popolani s’innamorano in chiesa, alla fontana, alle libere aure de’ campi, tra i solchi, seminando o mietendo il grano. Si amano dapprima di nascosto e, quando i genitori sono a giorno di tutto, si fidanzano, ed allora il giovine va tutte le sere a bearsi nel guardo dell’amata, e la dolce scena ha luogo presso il focolare, già testimone degli amori degli avi. La sera precedente il giorno del matrimonio, i parenti dello sposo si recano in casa della sposa per dare un valore al corredo, che generalmente è sempre inferiore al vero. Avvenuta l’operazione di stima, tutta la roba della sposa viene trasportata in casa dello sposo. Il corredo è messo in grossi canestri e portato in capo da donne. Precedono i sacconi arrotolati e messi sopra un’assicella di legno, alla quale vengono assicurati mercé nastri, perché si mantengano rigidi; poi, vengono i guanciali, le vesti collocate intorno al canestro sì da essere visibili e in ultimo il tirapieànne (cantarano) con la cascetèlla (cassetta) contenente scarpe ed oggetti intimi della sposa. Dopo qualche giorno si fa la scritta. La giovane va a braccio dello sposo ed entrambi tra due parenti della prima: nell’uscire dal Municipio vanno soli. Il corteo nuziale si dispone a coppie con gli sposi alla testa. Spesso è costretto ad arrestarsi, ché gli amici della sposa, dolenti di perdere l’ornamento del rione, stendono da casa a casa un nastro di seta: lo sposo, allora, dà in regalo del danaro e il corteo procede.
Anticamente, la suocera rompeva sulla testa della nuora una scodella di creta, e ciò per significare che, nella nuova condizione, le doveva rispetto e sudditanza. Oggi, dello antico non è rimasto che l’uso delle ossa nel piatto, di cui è parola in altra parte dell’opuscolo. A pranzo, la lista di prammatica è la seguente: antipasto di affettato o prosciutto, condito con zucchero e pepe, poi il tradizionale brodo con verze, maccheroni, carne in umido e arrosto, insalata e frutta. Per pudore, i genitori della sposa non prendono parte al corto, né al banchetto nuziale.
A notte alta, mentre gli sposi incominciano a tessere la trama della felicità, gli amici, con chitarra e organetti, vanno a cantare e suonare sotto le finestre della camera nuziale.
La famiglia dello sposo, allora, lascia scendere all’allegra comitiva dolciumi e liquori per mezzo di nastri colorati.
Il giorno dopo le nozze, la sposa si leva per tempo e, sempre per pudore, per otto giorni si intrattiene in casa.
In genere, le nostre popolane sono virtuose e tengono la famiglia in grande onore.
Oreste Conti
Fonte: O. Conti, Sponsali in O. Conti, Letteratura Popolare Capracottese, II edizione, Editore Luigi Pierro, Napoli, 1911