Il prof. Domenico Di Nucci
Nel linguaggio corrente si sente spesso ripetere, a proposito di un evento del passato e dell’apparente velocità del tempo, questa espressione di meraviglia: “sembra che sia accaduto ieri!”; ed io ho sempre pensato che questo modo di dire fosse particolarmente irriverente se riferito alla scomparsa di persone che ci sono vissute accanto: sia che si tratti dei propri cari sia, a maggior ragione, degli amici che andrebbero piuttosto ricordati ogni giorno, magari con una Preghiera.
Ciò nonostante per tantissime, per lo più involontarie ragioni, ci lasciamo sorprendere spesso da un anniversario o da una ricorrenza, ed è il mio cruccio di questi giorni, ripensando alla dolorosa perdita, un anno fa, del caro Domenico: sebbene fosse un po’ fuori dalla cerchia vera e propria di amici e di coetanei che hanno vivacizzato la mia infanzia e la mia adolescenza.
Le nostre case erano abbastanza limitrofe e ci incontravamo spesso anche a scuola pur non frequentando la stessa classe elementare; oltre tutto io rischiavo spesso di finirgli addosso con gli sci al termine della nostra breve ma fiabesca “pista di quartiere”: che terminava proprio in località la “fundionɘ”, quasi a ridosso della sua abitazione, ma allora il paese pullulava di tanti ragazzi ed ognuno, specie nel periodo estivo, aveva il suo gruppo.
Oltre tutto, ancor prima a di me, Domenico si era dovuto allontanare da Capracotta trasferendosi con la famiglia ad Agnone.
È abbastanza sorprendente, perciò, che ci siamo ritrovati così in sintonia negli ultimi anni, durante i quali è stato paradossalmente ancor più difficile incontrarci: non solo per il mio particolare impedimento dovuto a gravi malattie in ambito familiare, ma soprattutto per la mia impossibilità di rientrare stabilmente a Capracotta come avrei desiderato o anche solo di soggiornarvi spesso; e sorvolerei volentieri sull’isolamento dovuto alla pandemia tuttora in corso, di cui Domenico è stato purtroppo vittima.
Mi sono pure chiesto quali fossero i motivi che mi hanno fatto sentire così vicino a lui e mi sono convinto, senza ombra di dubbio, che il merito sia stato tutto suo; considero provvidenziale, infatti, la sua idea di fondare l’associazione degli “Amici di Capracotta”: sebbene il momento storico non fosse certo tra i più propizi, a cominciare dal grosso problema dello spopolamento e di tante altre svantaggiose congiunture degli ultimi tempi.
È tuttora incredibile, inoltre, non tanto e non solo che Domenico sia riuscito in questa sua lodevole “iniziativa”, quanto e soprattutto che ne abbia promosso la crescita e la diffusione nonostante le prevedibili difficoltà iniziali e sia pure costretto, talora, a difenderla da alcune pretestuose critiche: non sarebbe riuscito a farlo, secondo me, se non fosse stato animato da quello che io definisco l’ “irresistibile richiamo delle nostre radici”, una vera “malattia” per tanti capracottesi della nostra generazione; parlando con lui infatti, riconoscevamo entrambi di esserci sentiti sempre un po’“esiliati”, esattamente come gli emigranti oltre oceano (“A la Mèreca” per intenderci) e non ci nascondevamo un certo imbarazzo: le nostre, infatti, erano residenze “domestiche” come Agnone nel suo caso, oppure Bojano e l’Aquila nel mio.
Così è solo grazie a lui, che sono un po’ riuscito a ricostruire una mia presenza virtuale in paese, che non mi ripaga certamente dell’assenza fisica, ma che è divenuta ogni giorno più importante: specie nella convinzione che quell’insopprimibile richiamo resterà purtroppo, per me, un “miraggio evanescente”; per quanto possa apparire incredibile infatti, nella maggior parte delle occasioni, preferisco non raggiungere Capracotta piuttosto che farlo come con un “permesso di soggiorno brevissimo”: troppo grande sarebbe il mio dispiacere di dover ripartire subito!
Immensa è ancora la mia gratitudine nei suoi confronti per avermi dato modo di conoscere tanta parte della stessa storia di Capracotta e del suo territorio: offrendomi persino l’occasione di collaborare direttamente, in piccola misura, a qualcuna delle interessanti ricerche di cui è occupato.
Ancor più significativo, perciò, quello che ho scritto un anno fa in occasione della sua scomparsa: specie la mia soddisfazione per aver recuperato, con il suo aiuto e con quello di altri “AMICI”, anche un po’del nostro dialetto; nel mio caso anzi, quasi riuscendo ad impararlo “ex novo” perché, come ho più volte ricordato e pur comprendendolo perfettamente, ero costretto da bambino a parlare in italiano perché mia madre e mia nonna erano di origine emiliana.
A questo punto ho la netta impressione che le mie parole non risultino adeguate all’elogio che merita il caro Domenico nel primo anniversario dalla sua scomparsa: ho il timore, oltre tutto, di lasciarmi sommergere dalla commozione e le mie figlie non perdono occasione per sottolineare che il modo migliore per ricordare una persona cara non deve mai essere di rimpianto e di sconforto, ma di gratitudine a Dio per avercela posta accanto.
Cercando perciò di seguire questo affettuoso consiglio, mi avvio alla conclusione aggiungendo semplicemente un altro “grazie” a Domenico: che estendo, di vero cuore, alla sua bellissima famiglia ed in particolare alla cara consorte, Maria Pia, della cui particolare forza d’animo non ho mai dubitato.
Mi piace infine riflettere al fatto che ho incontrato Domenico, l’ultima volta purtroppo, sulla strada per Agnone, al bivio di “Guado Liscia: mi aveva pazientemente atteso per consegnarmi uno dei volumi curati dagli Amici di Capracotta e restammo insieme a seguire il bellissimo volo di una poiana; così, un giorno della scorsa estate in cui rifacevo, in macchina, quello stesso percorso. il mio primo pensiero è stato per lui, come gli avevo idealmente promesso.
È stato istintivo che sollevassi lo sguardo e, non è casuale, nel cielo azzurro di monte Campo, volteggiava una magnifica poiana.
Riposa nella Pace del Signore, caro Domenico
Ti abbraccio forte, anche a nome di tutti i tuoi “Amici di Capracotta”: assai più numerosi di quanto si potesse immaginare
Aldo Trotta