Riceviamo e volentieri pubblichiamo il seguente testo scritto dal nostro compaesano Antonio D’Andrea dell’associazione Auser-Vivere con Cura, Circolo Irene e Lucia di Milione di Capracotta, in vista della Marcia della Pace Perugia – Assisi in programma domenica 24 aprile prossimo.
Viviamo in una cultura intrisa di modelli e simbologie violente, se non apertamente militariste, che fomentano pulsioni di morte, alimentando lo stereotipo maschile del “vero uomo-guerriero”. Una di queste simbologie ereditate dalla “civiltà” Greco-Romana è Marte, il dio della Guerra.
Come mai era stato necessario inventare addirittura un dio della guerra, con tanto di Tempio, feste e ricorrenze? Il perché è fin troppo semplice: dalla nascita di Roma, le classi dominanti impressero una visione maschilista-patriarcale, espansionistico- imperialista e di autoesaltazione, sia durante la monarchia che nella repubblica e l’impero. Per celebrare la propria identità di popolo e civiltà superiore, capace di portare progresso e sviluppo, e per mantenere uno stile di vita centrato sulla sovrabbondanza attraverso monumenti e colossali strutture pubbliche, feste (i così detti Ludi negli anfiteatri) ed elargizioni di ricchezze, la grande Roma muoveva al resto del mondo quelle “sacre ed indispensabili guerre”, capaci di garantire sempre nuova forza lavoro e manodopera, la schiavitù (anche sessuale) degli sconfitti, inestimabili tesori frutto di saccheggi, materie prime di pregio ed espansione dei commerci. La “grandezza” di Roma caput mundi-città eterna, andava mantenuta attraverso un’incessante campagna di aggressione, rifiutando con qualsiasi motivazione, collaborazioni e/o coesistenza pacifica, contrariamente a quanto, per esempio, tentò di fare Cleopatra. Per questo il primo mese dell’anno, a partire da Romolo (753 a.C.) era dedicato a Marte, con cerimonie in pompa magna. La stagione delle campagne militari, in cui si programmavano guerre le cui cause erano strumentalmente attribuite ai popoli da sottomettere, si sarebbe interrotta verso la fine di ottobre, celebrata con feste e cerimonie, per riprendere il Marzo successivo. Invito a rileggere anche la storia della Grecia, culla del maschilismo militarista “democratico”.
Ma Marte non era solo il dio della guerra, era anche il “padre” di Romolo e Remo. Questa in sintesi la storia: Marte si era accoppiato in modo violento, leggi stupro, con Silvia, una delle Sacerdotesse del Tempio di Vesta. Le Vestali, scelte in modo autoritario dal Pontifex, curavano il fuoco sacro simbolo della funzione attribuita ad ogni donna nella civiltà romana: essere muta servitrice del maschio di ogni condizione sociale e civile. Durante i trenta anni di missione (iniziavano in un’età compresa tra i sei ed i dodici anni, strappate, “captate” alle famiglie) le Vestali non dovevano far spegnere il fuoco, nè potevano avere rapporti sessuali se non dopo la fine del sacerdozio. In quel caso sarebbero state condannate a essere sepolte vive, sorte che ebbe la Vestale Silvia, tanto che da allora al suo nome venne aggiunto il termine Rea, cioè colpevole, nonostante l’acclarata responsabilità del dio Marte: oltre al danno la beffa.
Questa è l’eredità velenosissima giunta fino a noi, mai messa in discussione e quindi tacitamente accettata nonostante proclami di pace. Al dio della guerra è dedicato Marte, il pianeta Rosso, il terzo mese dell’anno, Marzo, e il Martedì, il secondo giorno della settimana.
Personalmente mi sento e reputo estraneo alla guerra, così come al maschilismo sessista anche in campo culturale ed economico. Pertanto propongo di cambiare le dediche dei nomi di questi tre “oggetti” simbolici, invitando ad un ampio dibattito. E mentre si scelgono altri termini, propongo come transizione eco-pacifica di sottrarre la M a Marte e di trasformarlo in ARTE.
E’ stato notato e sottolineato da piu’ parti che l’Arte, il Senso del Bello, dell’Armonia e tutto quanto attiene alla sfera della sensibilità ed interiorità, siano antitetici alla guerra, e proprio per questo occorrerebbe promuovere un’educazione artistica di tutte e tutti fin dall’infanzia. Anche se ciò non è detto in assoluto. L’Arte greco Romana era improntata all’esaltazione delle imprese di guerra. Per fare un esempio la Colonna Traiana a Roma, è forse il monumento più famoso, le cui 2500 formelle raccontano la conquista- genocidio della Dacia (Romania). Un altro esempio di arte violenta è stato il Futurismo italiano, movimento di esaltazione del progresso, che vedeva la guerra come igiene del mondo. Personalmente ritengo che l’Arte diventa antidoto alla guerra se declinata come:
-arte della cura della vita, in tutte le sue forme, e delle relazioni con tutti i soggetti del pianeta;
-arte come la intendeva Goethe e cioè: “Vero artista è chi non guasta le opere grandiose della Natura”. Carla Lonzi scriveva che non basta vivere ma occorre “Vivere con Cura”;
– arte come: “Vivere la propria vita come Opera d’Arte”, rendendo le opere testimonianze di uno stile di vita che rispetta la Natura ed il Creato, e non ne depaupera le ricchezze materiali.
PS: Il Pianeta Rosso è dedicato a Marte anche perché il colore Rosso, con l’avvento delle società guerriere, divenne simbolo del sangue versato in battaglia. Poi con il cristianesimo diventa simbolo del sangue versato da Gesù sulla Croce per il bene di tutta l’Umanità (ma incolpando Eva di tutto il male originario, come Pandora per i greci e Rea Silvia per i Romani). Ma sin dalla comparsa delle prime civiltà umane, il Rosso era simbolo del sangue delle donne che esce dal proprio corpo per dare la vita e del ciclo mestruale, sangue che esce senza colpo ferire. Altre considerazioni: Marte presso le società preromane (e in parte nei primi secoli della nascita di Roma) era il dio della Pioggia, del Tuono e della Fertilità ma con la centralità delle campagne di conquista viene “Militarizzato” e diventa soprattutto Dio della guerra. E ancora: a causa delle continue guerre tra Sparta e Atene, le donne, capeggiate da Lisistrata (letteralmente colei che scioglie gli eserciti) diventata poi commedia di Aristofane nel V secolo Ac, lanciano lo sciopero dell’amore. Nel ’68 in Europa e America i giovani invece lanciano lo slogan: “Facciamo l’Amore non la Guerra”.
Marte, dio della guerra? No, grazie. Impariamo l’arte e non mettiamola da parte.
Un cordiale saluto.
Antonio D’Andrea
Auser-Vivere con Cura,
Circolo Irene e Lucia di Milione di Capracotta