Il matrimonio di Pupetta (Antonia) Iacovone e Mario Di Tanna. Fotocomposizione: Amici di Capracotta
Un tempo diverse erano le occasioni per conoscersi tra giovani prima del fidanzamento. Le ricorda Oreste Conti nel suo lavoro “Letteratura Popolare Capracottese”.
I luoghi di furtivi incontri erano presso le fontane pubbliche, ove le nostre donne si recavano per attingere acqua con la “tina”, in chiesa o nei campi. Vigeva l’usanza secondo la quale, avvenuto ufficialmente il fidanzamento, il giovane si recava, poi, presso l’abitazione della fidanzata per incontrarla, sempre in presenza di qualcuno della famiglia.
Fidanzamento che, anche se poteva interpretarsi come intima espressione di amore, era pur sempre la conclusione ragionata del capo famiglia a stabilire più di quanto i fidanzati decidessero e ciò in rapporto a quella che, all’epoca, era la strutturazione patriarcale del nucleo familiare con l’autorevole potere decisionale paterno.
Occasione e sede, forse, per qualche furtivo bacio che il giovane stampava focosamente sulle labbra ardenti dell’innamorata, in qualche raro…momento di distrazione di chi era addetto alla vigilanza, o, ad arte creato dagli interessati.
Da parte dei parenti dello sposo, essendo prossimo il matrimonio, solitamente si procedeva a conoscere la consistenza del corredo che la futura sposa avrebbe avuto in dote e tale roba veniva trasferita a casa dello stesso la settimana precedente, redigendo, da parte di un familiare anziano della donna , un preciso e dettagliato elenco dei beni, il “duddario”, una forma di contratto matrimoniale.
E in riferimento a tale elenco, ho avuto il piacere, tra carte polverose dei miei avi, di leggere un “notamento del 31 luglio 1859 di oggetti mobili che Pasquale dell’Armi assegna alla figlia Geltrude in occasione del matrimonio conchiuso tra la medesima e Michele Comegna del fu Filippo”; in esso compaiono 28 voci, col relativo valore in ducati e grani, e di queste ne riporto alcune: “ federe per sacconi e cuscini, una coverta di panno torchino, tovaglie numero 3, salviette numero 3, calzette paia 4, una veste di panno fino, giacchette numero 3, scarpe paia 3, un panno per uso di testa, due vesti di panno di casa, fettucce per i cuscini, due casse di legno d’abete, orecchini, un anello, medaglia e cateniglia, oro donato dallo sposo” ecc. il tutto del valore complessivo pari a “ducati 139 e grani 75”. Corteo allegro e felice per la nuova famiglia che si andava a costituire; tutti vestiti a festa e le donne, in particolare, con postura elegante e piacevole grazia, portavano i contenitori del corredo preparato con attenzione per l’occasione a casa dei futuri sposi.
Corredo e regali avuti da parenti ed amici che in precedenza erano stati esposti a casa della sposa e valutati… per qualità e quantità dalla futura suocera ed eventuali cognate… nonché da amiche e comari intime della giovane.
I componenti del corredo venivano per lo più acquistati nei negozi dei paesi vicini e indicati nel detto elenco in termini di quantità con un numero pari non sempre molto…alto, oltre a quanto la sposa, con l’arcolaio, la spola, il telaio o i ferri da lana aveva approntato con le proprie man , abbellendolo con rifiniture e ricami.
Su alcuni capi, da quanto ho visto sul corredo di mia madre, (una P) veniva ricamata, con punto a croce, una “cifra”, ovvero la lettera alfabetica maiuscola con la quale iniziava il cognome della proprietaria; ciò determinato dal fatto di poter individuare facilmente la propria roba messa ad asciugare, dopo il bucato, all’esterno, spesso sull’erba dei prati, insieme ad altri capi di persone diverse.
Delineandosi l’approssimarsi della data del matrimonio, si procedeva al preliminare rito civile: i futuri sposi sottobraccio, insieme a parenti della donna, come ho potuto personalmente constatare, andavano presso la sede del Comune e da qui uscivano ormai…da soli (non più sorvegliati a distanza da feroci… guardie del corpo!) insieme agli invitati.
All’epoca la giovane promessa, per la mentalità operante, non doveva presentarsi in pubblico da sola con il fidanzato, se non assieme a qualcuno della sua famiglia.
A sera a casa della sposa si teneva un ricevimento offrendo cibarie e vino e parimenti presso l’abitazione dello sposo; a tale festoso incontro tra amici, talvolta, si poteva notare anche la presenza di estranei che, comunque a loro modo e fine, partecipavano alla baldoria.
Nel giorno tanto atteso del matrimonio, gli sposi, accompagnati in corteo da parenti ed amici più stretti, a piedi, si dirigevano nello splendore della nostra Chiesa Madre per la celebrazione del rito religioso. L’evento si realizzava, per lo più, di domenica e in particolari momenti dell’anno, quando il lavoro dei campi non era massivo.
A rito ultimato, la coppia, con tutto il corteo che l’aveva accompagnata, si dirigeva verso la casa della sposa; durante il percorso erano posti dei nastri che gli sposi dovevano tagliare per procedere oltre distribuendo confetti per lo più a bambini festanti; arrivati si consumava un lauto pranzo che si protraeva a lungo con diverse portate da parte di tutti i familiari e delle persone più intime della coppia. A sera, poi, presso la medesima abitazione, un gran numero di convitati, con rumorosa felicità, facevano festa agli sposi, non disdegnando cibo solido e…liquido in abbondanza.
Per il ricordevole giorno si uccidevano galline, polli, conigli, agnelli ecc. che poi venivano in vario modo cucinati; il menù, semplice, genuino e gustoso era molto ricco rappresentato da un antipasto costituito da fragrante buon pane prodotto in casa dal grano locale e cotto al forno di Pasqualino Di Tella a San Giovanni, il bonaccione Pasqualino “r’ furnàre”(il fornaio).
Insieme al pane venivano offerte saporite fette di ottimo prosciutto nostrano tagliate sottilissime con maestria, tanto da sembrare che si fosse adoperata l’affettatrice che, a quei tempi, non era ancora presente, e insieme al buon prosciutto non mancava parimenti dello squisito caciocavallo; seguiva il primo piatto, per la cui preparazione, al fine di fare bella figura con gli invitati, si chiedeva spesso la consulenza di esperti locali nell’arte della cucina: (mia nonna Leonilda, per il matrimonio di mia zia Benedetta Paglione nel 1949, si rivolse al compaesano Giovanni Di Tanna (Rɘmigna); ricordo un ottimo primo a base di brodo di gallina con caciocavallo e tocchetti di pane abbrustolito di delicato sapore: il caldo brodo ammorbidiva i pezzettini di caciocavallo che si fondevano con il pane mescolandosi insieme a polpettine di carne; venivano serviti, poi, piatti a base di diversi tipi di carne preparata in vario modo, stuzzicanti contorni per lo più di pere a pezzi conservate in aceto, dolciumi di differenti sapori e forma, “pasctarèlle” (dolcetti a base di farina zucchero, uova e latte), mescuòtte (tipo ciambellone fatto con uova, farina, zucchero, lievito e aromi), la deliziosa e profumata “pizza” di pane di Spagna fatta con farina, uova, zucchero e aromi, oltre ad altri di diversi tipi, liquori, confetti ricci di Agnone e frutta: il tutto veicolato…da poderose libagioni con vino proveniente dalla Puglia che si concludevano, in sonora allegria, con simpatici brindisi d’augurio alla coppia e, alla fine del ricevimento, con una manciata di confetti da parte degli sposi agli invitati.
A cerimonia ultimata la coppia si ritirava nel proprio appartamento per saggiare… l’elasticità delle reti del letto e, sotto le finestre, oppure davanti alla porta della camera ove erano gli sposi, amici di questi, con l’organetto, procedevano alla “serenata” intonando canzoni non sempre celestiali, fino a quando lo sposo, regalando loro una bottiglia di liquore, li invitava a…sloggiare.
La sposa usciva di casa dopo circa 8 giorni dal felice avvenimento, in quanto, secondo la mentalità dell’epoca, presentarsi in pubblico prima sarebbe stata causa di vergogna per la stessa, per aver commesso un…atto… nefando…! Nella celebrazione della festa del matrimonio a Capracotta, antiche, suggestive, fascinose manifestazioni in un piccolo paese che, in quell’occasione esprimeva sempre più coralmente il senso della comunanza, della partecipazione ad una gioia che, da privata, si estendeva a buona parte degli abitanti.
Persona semplice, genuina, senza fronzoli, temprata dal duro lavoro di ogni giorno, dotata di puri sentimenti, timorata di Dio, educata ad un preciso regime di vita, la giovane, con il matrimonio, perfezionato dal sacro sigillo della chiesa, realizzava il suo sogno d’amore cullato da tempo con trepida ansia. Ella lasciava il proprio nido familiare ma continuava a vivere nel suo paese, nel contesto della famiglia d’origine, dei parenti e dell’ intera comunità, se non costretta ad emigrare, insieme a suo marito, per necessità di lavoro impiantando la loro giovane famiglia altrove con il desiderio di allevare figli trasmettendo loro tutto il bagaglio di qualità avuto in eredità dai rispettivi genitori.
Oggi, alla luce delle modernità circa la costituzione di una coppia, si è detto addio per lo più al rito religioso, all’esposizione del corredo della sposa, al corteo al Municipio, all’antipasto con il prosciutto e il caciocavallo, alla serenata con l’organetto, oltre a tante e diverse manifestazioni inerenti il matrimonio. Rilevanti numeri di matrimoni civili, compagnie…tra uomini e donne, anomale unioni, divorzi, complicati problemi, separazioni consensuali o meno, con frequenti vertenze giudiziarie, figli con sindrome da deprivazione e spesso qualcosa ancora di più tragico è quanto oggi possiamo constatare.
Da credere che non mancassero problemi di sorta alle coppie anche allora, ma la risoluzione dell’epoca non era certamente paragonabile a quella di oggi. Insomma alla semplicità, alle regole di un tempo, la modernità ci ha imposte nuove norme e controversi comportamenti che hanno annullato il retaggio di anni di consolidati modi di essere che costituivano ferme basi per strutturare la famiglia e, quindi, la società fondata su sani ideali e principi da perseguire.
Alla luce della realtà attuale, il rimpianto del passato e l’obbligata accettazione del presente.
Felice dell’Armi