Bevitori e vino nella cultura popolare capracottese

Un fiasco di vino e una pagnotta di pane (nu panon). In questa foto, scattata nell’inverno del 1938, si vede bene il senso di solidarietà tra capracottesi nelle difficoltà…

Trè pì le vine t’arrèca: te fa puòrche, pazze e poèta: tre “pì” il vino ti procura: ti fa diventare porco, pazzo e poeta. Una forte ubriacatura ti rende incosciente, una lieve ti fa fare una cosa che non faresti mai, qualche buon bicchiere di vino ti stimola la fantasia e ti concilia il sonno.

In riferimento al vino, la lettura di una copia di un documento ufficiale, forse prodotto dalla Camera di Commercio di Campobasso, del 1928, rinvenuto tra gli articoli trasmessi ai giornali e scritti negli anni ’50 dal collega Ufficiale Sanitario e Condotto della nostra Capracotta dott. Durante Antonarelli, tra le tante fiorenti attività produttive presenti nel nostro paese, compare la voce VINO (produttori) nelle persone di Campanelli Cav. Luigi e Fratelli Conti.

Si è avuto modo di conoscere, attraverso notizie attinte da altre fonti, che all’epoca tali commercianti, procedendo all’acquisto di uve in alcuni paesi del chietino, realizzavano vino che, poi, veniva consumato a Capracotta.

Consumo che allora doveva essere molto…abbondante per quanto si legge in un componimento di Culitto d’Andrea del 1948 intitolato “I Bevitori” che recita: “ne ho visto…di recipienti umani, di bevitori assidui di oggi e di domani, cioè di tutti i giorni; la sera, la mattina e a qualunque orario, star sempre alla cantina… non bevono col bicchiere ma con la damigiana”; segue, poi, un’elencazione di famosi…bevitori locali.

Bevitori che ho avuto modo di osservare personalmente negli anni ’50 affacciato alla finestra della mia abitazione in Via S. Giovanni, a via sòtte, quando di sera uscivano a frotte, dalla cantina di Antonio Fenocchie avventori palesemente avvinazzati.

In merito alla figura del bevitore in preda ai fumi dell’alcol, l’espressione: “Stà còme a nu cavasorge” (sta come un rondone che vola a zig zag), rivela in modo eloquente l’incedere dell’ubriaco, che è “còme l’acca alla calge”, ossia è come una spugna che assorbe acqua, bevitore al quale, per osservare una maggiore teatralità nell’incedere di costui, si propone di “mette l’uoglie ‘ngoppe a ru perètte” (mettere l’olio sulla damigiana per conservare la composta), ossia di bere ancora un bicchiere di vino che “se po’ spaccà che l’accètta (si può spaccare con l’accetta) tanto che è generoso e tanto buono che addirittura… “pieàce a Criste la matina”(piace a Cristo la mattina).

Si faceva uso frequente del vino tanto da utilizzarlo anche al posto di un innocuo aperitivo, come traspare nell’invito: “fatte na vevèta, accuscì schiazzeche l’appetito”: fatti una bevuta, così stimoli l’appetito.

Anche l’espressione: “a la calata”: alla discesa, che si pronunciava allorquando il soggetto, invitato a bere vino, liquore o altro liquido alcolico, ingoiava tutto d’un fiato il contenuto del bicchiere, faceva credere molto probabilmente che la velocità nell’ingoiare fosse foriera di altrettanta sorsata di salute…!    

E sempre in tema del bere, giustificandosi rispetto alla propria coscienza, per una riferita zoppia, il buon…cristiano afferma: “né vaie a la messa pecchè so ciuoppe, ma vaie alla candina chiane chiane” (non vado ad ascoltare la messa perché sono zoppo, ma vado alla cantina piano piano); manco se la cantina gliela avesse prescritta il medico! ogni scusa buona per i viziosi!

Identico ringraziamento all’offerente da parte dell’invitato ad un buon bicchiere di vino nell’espressione “alla cunsulazione”; vino che certamente non era disdegnato nemmeno dalle nostre donne le quali, in assenza dei loro mariti in Puglia. durante l’inverno, mentre lo gustavano esclamavano: “a la salute de r’uommène nuosce” (alla salute dei nostri uomini).

Bevanda che per conciliare…il sonno veniva prescritta…con tale ricetta: “ngè vò la vattecòleca” (ci vuole il “va a dormire”), farmaco… utile come ipno inducente!

Alcolismo da collocare nel contesto socio- culturale dell’epoca che non trova qui, riportandone solo aspetti più esteriori, la giusta e intima valutazione., ma degno di diverso specifico approfondimento.

Sempre in riferimento all’argomento, avendo letto delle note di un nostro compaesano nella rivista “Collana- Verso il Tiaso” scritte nel 1995. Questi dice che, a suo parere, tra le tante cause, l’alcolismo dell’epoca fosse “rifugio per padri che non avevano figli maschi”: nella cultura propria della civiltà contadino-pastorale, si riteneva ricchezza della famiglia la presenza, nel contesto familiare, di queste figure, e certamente non era la sola…!

Per concludere, sempre in merito al vino, riporto un piacevole aneddoto raccontatomi da mia nonna Seppuccia Carugno, classe 1888.

Negli anni ’60 a Capracotta da Villa Canale, veniva con un mulo, portando dei barili su un basto, un individuo a vendere vino. Questi faceva scorrere direttamente dai citati barili il vino nei contenitori portati dalle donne del quartiere San Giovanni sulle pubbliche strade.

In una delle sue solite venute, allorquando si accorse che il suo prezioso liquido era finito, a queste disse di aspettare perché sarebbe andato a fare rifornimento. Ritornato nella zona, dopo un certo tempo, quelle donne in attesa, allorquando si accorsero che da barili, invece di venir fuori del vino, veniva limpida acqua, lo inseguirono con violentissima reazione collettiva, in quanto frodate; l’imbroglione dovette ben scappare insieme al mulo e ai barili, per evitare percosse.

Si appurò che il soggetto in questione, invece di vendere il suo decantato Montepulciano d’Abruzzo, miscelava acqua, che attingeva alla fonte Cumenice, con una… buona polvere colorante, producendo vino fasullo.

Felice dell’Armi