La Seconda Guerra Mondiale e il successivo decennio, con la sfida della ricostruzione dell’Italia, permettevano soltanto limitate opportunità di viaggio agli italo-americani desiderosi di visitare la famiglia nel “vecchio paese”. Tuttavia, a partire dagli anni ’60, in pieno boom economico, un’Italia in ripresa iniziò ad accogliere molti visitatori dagli USA intenzionati a rinnovare i loro legami con i loro parenti d’oltreoceano. La mia famiglia ha una storia toccante su questo periodo, durante il quale si cercava di riallacciare i contatti famigliari perduti.
Nel 1920 Maria Loreta Di Tanna, la mia nonna materna, giunse a Youngstown, Ohio, dall’Italia. Riuscì così a riunirsi con suo marito, Giangregorio Mendozzi. La donna poté risparmiarsi il successivo difficile decennio della Grande Depressione, poiché nel 1928, quando mia madre aveva solo sei anni, Maria Loreta morì dando alla luce il suo ultimo figlio. Dopo l’inattesa scomparsa di sua moglie, nonno Mendozzi affidò i suoi due figli più piccoli a delle famiglie italiane con l’incarico di farli crescere nel vicinato. Le figlie che restarono a casa, mia madre Francesca e sua sorella Norma, erano sorvegliate e accudite da Carmela, la sorella sposata a loro devota, e da due altre donne fidate, zia Assunta e comare Filomena. Svanì così ogni ricordo diretto che mia madre conservava di Maria Loreta. Nel giro di qualche anno sparirono il corredo e le fotografie personali della donna. In questo modo per molti anni mia madre continuò a sentire il desiderio di un oggetto, un ricordo tangibile di sua madre. Questo desiderio si sarebbe realizzato nel 1973, durante un viaggio di famiglia a Capracotta, il paese natale di Maria Loreta Di Tanna, nell’alto Molise. Lì una parente custodiva un prezioso cimelio di famiglia salvato dalla Seconda Guerra Mondiale.
Dal settembre 1943 fino al maggio 1944, l’esercito tedesco resisteva lungo la Linea Gustav, un fronte difensivo sugli Appennini. L’obiettivo era di impedire agli Alleati di liberare Roma. Dietro le linee i tedeschi operavano con la tecnica del “fare terra bruciata”, per non consentire all’esercito anglo-americano di utilizzare Capracotta e gli altri numerosi paesi di montagna sui quali poggiava l’odiato Fronte Gustav. Tra la fine dell’autunno e l’inizio dell’inverno del 1944, le truppe tedesche distrussero sistematicamente quasi tutti gli edifici di Capracotta. Le donne e i bambini andarono a rifugiarsi nel cimitero del paese o nella chiesa, dove trascorsero un terribile inverno. Gli uomini erano nascosti nei boschi intorno per evitare di subire il rastrellamento e l’utilizzo come manodopera coatta da parte delle SS naziste.
Quando i miei genitori e mia sorella si recarono in visita in Italia per la prima volta nel 1973, restarono per un po’ di tempo a Capracotta per andare a trovare zia Letta (Antonietta Del Castello), la zia di mia madre. L’aria fresca di montagna e la compagnia degli altri famigliari del posto rese il soggiorno veramente piacevole. Mia sorella racconta che un giorno, mentre lei e i miei genitori erano seduti in cucina a casa di zia Letta, la vecchia zia attirò l’attenzione di mia madre su un punto lungo la strada. “Quella era la casa che apparteneva alla famiglia di tua madre”, disse zia. Poi si girò e indicò un‘antica zuccheriera riposta nella credenza di ceramica. “Francesca,” disse zia Letta, “prendila, perché era di tua madre prima che partisse per l’America. Era una delle pochissime cose sopravvissute alla granata che ha abbattuto la casa. Per tutto questo tempo l’ho custodita per te.” Che dire, per certi doni le lacrime sono il ringraziamento migliore…
Avvolta amorevolmente in strati multipli di un quotidiano italiano, la preziosa zuccheriera (foto in alto) percorse in sicurezza il viaggio di ritorno a Girard, Ohio, per restare custodita orgogliosamente per quasi tre decenni nella credenza di ceramica dei miei genitori. Ora che si trova a casa di mia sorella, dopo la morte di mia madre, questo cimelio di famiglia non smette mai di sorprendere e di dare qualche insegnamento sulla morte, l’amore, la guerra e i legami famigliari.
Ben Lariccia
Traduzione a cura di Felice Santilli